Il «Majlis» persiano, riunitosi stamane in seduta segreta, ha proposto allo Scià di nominare Primo ministro in sostituzione del dimissionario Ala Hussein il dott. Mohammed Mossadeq che capeggia il gruppo nazionalista al quale si attribuisce l’organizzazione dei sanguinosi disordini di Abadan. La proposta del Parlamento, approvata da 79 deputati su 91, dovrà essere confermata dallo Scià. Stasera, poi, il Majlis, dopo una seduta durata sette ore e mezzo, ciò che costituisce un record nella storia parlamentare persiana, ha approvato all’unanimità il progetto di legge per la nazionalizzazione dell’industria petrolifera, invitando il Governo ad espropriare senz’altro la Compagnia Anglo-Iranian, controllata dal Governo di Londra. È stata inoltre proposta la creazione di una commissione mista governativa e parlamentare per esaminare gli eventuali reclami di altri Governi o delle compagnie petrolifere. Si afferma a Teheran che lo Scià è furente per la decisione del Majlis tendente ad imporgli di nominare Primo ministro il più accanito nazionalista del Paese. Vi è persino chi assicura che il sovrano potrebbe invocare i suoi poteri costituzionali per sciogliere il Majlis col proposito di instaurare un Governo stabile. Oggi Mossadeq, a nome del suo gruppo, ha precisato che intende dissociarsi dal partito comunista Tudeh messo al bando, al quale solo spetterebbe la responsabilità di aver fomentato i torbidi di Abadan e Isfahan. Oggi il Parlamento ha anche bocciato una mozione che prevedeva la vendita del petrolio nazionalizzato al maggior offerente (la Russia?) e ha stabilito che il petrolio deve essere venduto ai clienti precedenti in base ai prezzi internazionali. L’Anglo-Iranian Oil Company, dal suo canto, ha protestato già oggi contro le decisioni prese a suo danno dal Parlamento persiano. Viene riferito che in una nota inviata al Governo di Teheran l’Inghilterra si oppone risolutamente alla «possibilità di una simile infrazione all’accordo esistente tra il Governo imperiale (persiano) e la Compagnia». Si aggiunge che l’Inghilterra ha intenzione di inviare sul posto alcune cannoniere, che si trovano a non più di 48 ore di navigazione dai principali porti persiani, a protezione delle vite e dei beni britannici. Un portavoce del Foreign Office ha precisato che la Anglo-Iranian ha alle sue dipendenze in Persia circa 3.500 impiegati britannici.
«La sorte del petrolio persiano non è più dubbia: esso sarà nazionalizzato» Il dott. Mohamed Mossadeq si batte da decenni per la nazionalizzazione del petrolio, è andato al potere con questo programma, e non c’è ombra di dubbio che lo attuerà a qualunque costo. Quando ha prresentato il suo Governo al Majlis, ha detto: «Questo Governo, senza fare promesse a lontana scadenza, e considerando l’attuale situazione del Paese, limita il suo programma ai seguenti punti: 1) L’attuazione della legge del 30 aprile per la nazionalizzazione e l’assegnazione dei profitti al rafforzamento dell’economia del Paese e alla creazione dei mezzi di comfort e di agiatezza per il pubblico. 2) Il perfezionamento della legge elettorale». E, dopo aver fatto questo breve discorso, Mossadeq è svenuto. Sviene spesso. È un abile oratore, ma ogni volta che fa un discorso in Parlamento, sviene. Gli si apprestano cure, ed egli rinviene, . finisce il discorso, e, poi, sviene di nuovo, ed è portato via di peso. Probabilmente, continuerà a far cosi anche ora che è Presidente del Consiglio: a far discorsi e a svenire, e, fra uno svenimento e l’altro, « nazionalizzerà » il petrolio.
Il Governo persiano ha intimato un ultimatum di sette giorni alla Compagnia petrolifera britannica. Se entro il 30 maggio la Anglo-Iranian Oil Company, l’ex-Compagnia, come dicono i Persiani, non avrà accreditato i suoi rappresentanti per fissare le modalità del trapasso d’accordo col Governo, questo procederà alla nazionalizzazione senz’altro indugio. L’ultimatum è in realtà rivolto al Governo britannico, che possiede la maggioranza delle azioni della Compagnia, e risponde di fatto alla nota inglese di sabato scorso. La linea di condotta della diplomazia persiana che, essendo orientale, non manca di sottili furberie, consiste nel rivolgersi direttamente alla Compagnia e di rifiutare ogni intervento britannico col pretesto di dover respingere le intromissioni nei propri affari interni. Ma non c’è dubbio che l’azione di Mossadeq colpisce in pieno e direttamente l’Inghilterra nel suo prestigio, nella sua forza politica e militare e nei suoi interessi economici. Questo agitato parlamentare, sempre barricato dentro l’edificio del Parlamento, sta per infliggere all’Inghilterra il colpo più grave che essa abbia subito dopo la vittoria
Il Premier persiano, Mohammed Mossadeq, ha avvertito gli Inglesi che è meglio cedere le concessioni petrolifere dell’ Iran sudorientale ai legittimi proprietari, anziché subire le probabili conseguenze di un rifiuto: una terza guerra mondiale e la caduta della civiltà occidentale. Mossadeq, che è un tipo altamente emotivo, ha avuto scoppi di pianto e frasi assai aspre nell’intervista concessa ai giornalisti, alla quale s’è presentato appoggiandosi a un deputato che lo aiutava a tenersi dritto. È la prima volta che il ministro appare in pubblico dopo esser riparato al palazzo del Parlamento per difendersi dagli attentati e difendere la nazionalizzazione dell’industria petrolifera persiana e comunicare ufficialmente che l’Anglo-Iranian non è più gradita in Persia. Ricordando e illustrando le fatiche e le miserie del povero popolo persiano Mossadeq ha pianto abbondatemente, ma la sua voce si è indurita minacciosa quando ha fatto ricadere ogni colpa sulla malvagia politica coloniale della Anglo-Iranian, sulla quale il Governo inglese ha un interesse preminente. Mossadeq ha lasciato poche speranze di compromesso: la Compagnia deve andarsene, egli ha detto, perché è una fonte di intrighi, di corruzioni e di interferenze negli affari interni della Persia. E con essa debbono andarsene anche gli agenti della Compagnia, perché essi hanno sacrificato tutto il Paese alle loro cupidigie.
Secondo notizie giunte da Teheran al Daily Teiegraph le relazioni fra il Governo Mossadeq e la Corte dello Scià sarebbero peggiorate a tal punto che si prevedono nei prossimi giorni importanti sviluppi nella critica situazione interna della Persia. Lo Scià sembra ora deciso ad appoggiare le correnti di opposizione al Fronte nazionale, il partito di cui è capo l’attuale Primo ministro. La regina madre in particolare avrebbe manifestato la sua simpatia per quei deputati e per quei direttori e redattori dei giornali di opposizione che si sono rifugiati nel Parlamento l’8 dicembre scorso per sfuggire alle rappresaglie dei fanatici gruppi nazionalisti persiani. Mossadeq, essendo venuto a conoscenza che lo Scià, preoccupato della sempre più difficile situazione economica in seguito al punto morto cui è giunta la crisi dei petroli anglopersiana, avrebbe deciso di agire per la salvezza del Paese, gli ha inviato un ultimatum perché faccia cessare le interferenze della Corte nelle questioni politiche. Nella sua rischiosa intimidazione Mossadeq avrebbe minacciato anche di dimettersi per iniziare subito dopo una campagna contro la Corte stessa. Nel suo ultimatum il Primo ministro avrebbe poi denunciato gli intrighi della regina madre a favore dell’opposizione e dei rifugiati nel Parlamento ai quali ella avrebbe fatto giungere doni e viveri. Non appena ricevuta la lettera di Mossadeq lo Scià invitava nel suo palazzo la regina madre e le ingiungeva di attenuare le sue manifestazioni politiche. Questo gesto avrebbe soddisfatto il Primo ministro, ma in realtà sulla capitale persiana pesa ora un incubo grave. La regina madre si è rifiutata di ritornare nella sua residenza fuori di Teheran per timore di qualche vendetta. Sembra che la madre dello Scià abbia informato il figlio che Mossadeq tenterebbe di impossessarsi del potere obbligando la famiglia reale a ritirarsi in esilio. La situazione persiana è insomma peggiorata in questi ultimi giorni in seguito ai contrasti fra il Governo e la Corte: appare sempre più manifesta l’intenzione, da parte dei capi dell’esercito, di intervenire per ristabilire l’ordine e la calma politica e rimettere in funzione le raffinerie di Abadan e i pozzi petroliferi che sono la sola e grande risorsa economica persiana.
Il Primo ministro persiano, dott. Mossadeq, in un discorso alla radio, ha rivolto ieri sera un appello al suo popolo perché sottoscriva entro i prossimi due mesi un prestito nazionale di dieci milioni di dollari, destinato a fornire allo Stato i mezzi finanziari di cui oggi esso difetta per la perdita dei redditi del petrolio. Dopo una burrascosa seduta a porte chiuse, il Senato ha invitato iersera Mossadeq e i membri del Governo a una riunione segreta da tenere oggi per spiegare il prolungarsi della crisi petrolifera che aggrava la situazione del Paese. Continuano, frattanto, i negoziati tra Mossadeq e la Banca Mondiale sulla proposta della Banca stessa per un finanziamento dell’industria dei petroli persiani. Pare che il Governo dell’ Iran sia interessato alla proposta, ma non si pronunci definitivamente per tenere alto il più possibile il prezzo di vendita del petrolio.È stato confermato ieri che una settimana fa il Primo ministro Mossadeq aveva deciso di rassegnare le dimissioni per l’ostilità della madre dello Scià al suo Governo. Il fatto sarebbe accaduto il 16 dicembre, allorché Mossadeq convocò il ministro di corte per comunicargli che aveva deciso di rassegnare le dimissioni lanciando nel contempo un radio-messaggio al popolo. In quella occasione egli accusò la regina madre di avere rapporti troppo stretti con l’ex-Premier Ahmad Qavan che nella stampa d’opposizione era stato menzionato quale probabile successore di Mossadeq. Dopo dodici ore di negoziati, comunque, il Premier rinunziò ai suoi battaglieri propositi.
Nella seduta odierna del Parlamento iraniano, che doveva autorizzare il pagamento degli stipendi agli statali, i « leaders » dell’opposizione hanno consegnato al presidente della Camera una lettera con la quale chiedono la convocazione del Parlamento in una sessione straordinaria, durante la quale l’opposizione proporrebbe che Mossadeq e il suo Governo vengano posti in stato di accusa. In base alla procedura vigente nell’ Iran, il presidente della Camera è tenuto, dopo consultazioni con il Primo Ministro, a convocare la sessione straordinaria entro un mese dalla richiesta. La lettera dei « leaders » dell’ opposizione è accompagnata dal testo della mozione con la quale il Governo verrebbe posto in stato di accusa perché : 1) ha violato la legge; 2) ha privato il popolo della libertà e della sicurezza; 3) ha seguito una politica economica disastrosa; 4) ha mancato di rispetto al Parlamento.
Il primo ministro persiano Mossadeq si è presentato stamane alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja per patrocinare la causa del suo Paese nella vertenza dei petroli. Mossadeq è giunto alla sede della Corte una ventina di minuti prima che si aprisse l’udienza, a bordo di una automobile del Ministero della Giustizia olandese, scortata da agenti in motocicletta. Altri agenti vigilavano intorno al palazzo e nell’aula delle udienze. Il Primo ministro iraniano, che indossava un elegante abito da mattino, è entrato in aula appoggiandosi a un bastone da passeggio, aiutato dal figlio, suo medico curante, e dal ministro persiano all’Aja, Navab. I rappresentanti legali della Gran Bretagna avevano preso posto in precedenza. L’udienza ha avuto inizio alle undici, sotto la presidenza di José Gustavo Guerrero, della Repubblica del Salvador, che sostituiva il presidente della Corte Sir Arnold McNair, cittadino inglese, e quindi legato a una delle parti in causa. Appena dichiarato aperto il dibattimento, il ministro persiano all’Aja ha presentato alla Corte Il Primo ministro Mossadeq. Quando il Premier si è nuovamente seduto, il belga Henri Rolin, consulente per la Persia, ha preso la parola sostenendo in particolare che la vertenza è una questione interna dell’Iran, completamente al di fuori della competenza della Corte. Quando è stato il suo turno, Mossadeq si è alzato ad affermare solennemente che la Gran Bretagna aveva fatto della Anglo Iranian Oil Company «uno Stato entro lo Stato». Mossadeq ha parlato in francese con voce chiara. Egli ha detto che la Anglo Iranian prima del 1950, quando il petrolio venne nazionalizzato, aveva un proprio servizio di spionaggio non solo nell’ambito della Compagnia ma in tutta la Persia. Egli ha quindi osservato che da mezzo secolo la Persia è sempre stata presa di mira, per la sua ricchezza petrolifera, da due Potenze rivali, la Gran Bretagna e la Russia. Dopo avere sostenuto che la legge persiana per la nazionalizzazione è molto moderata, il Premier ha espresso la speranza che sarà resa giustizia al suo Paese. «La Persia è uno Stato sovrano e libero — ha esclamato alla fine Mossadeq — pertanto la Persia chiede alla Corte di rifiutarsi di intervenire in questa questione».
Epurazioni senza spargimenti di sangue alla corte persiana, simili a quelli in atto al Cairo dove re Faruk ha preso la via dell’esilio verso Capri dopo aver stretto la mano all’uomo che lo ha spodestato, il generale Neguib. Allo stesso modo, Mossadeq ha preteso che la regina madre Taj al-Moluk e la sorella gemella dello Scià, principessa Ashraf, si imbarcassero per gli Stati Uniti. Dovrà andarsene anche il fratello dello Scià, principe Alì Reza, ed è già partito per gli Stati Uniti il capo di stato maggiore, generale Yazdanpanaz. Il Parlamento è totalmente schierato con Mossadeq. Mossadeq è anche protetto da Seyed Abolghassem Kashani, capo della setta dei Devoti di Allah, il gruppo responsabile dell’assassinio di Ali Razmara. «Kashani è « l’eminenza nera » della Persia e Mossadeq è il suo protetto, il beniamino, ma soprattutto lo strumento politico del momento. Il capo dei « devoti di Allah » fu durante l’ultima guerra favorevole ai Tedeschi e per queste sue simpatie gli Inglesi lo arrestarono nel 1944. A quel tempo Kashani non aveva la potenza che esercita oggi e il suo imprigionamento non fu seguito da alcuna rivolta popolare come ci si aspettava. Ma dopo la guerra, quando riacquistò la libertà, egli cominciò a battersi per la sua rivincita contro gli Inglesi e divenne l’anima della battaglia di Abadan. Quando il ministro laborista Stokes si recò a Teheran per discutere la questione dei petroli, Kashani gli dichiarò: « Dite al vostro Governo che se il Primo ministro Mossadeq dovesse deviare anche di un pollice soltanto nella legge per la nazionalizzazione delle industrie e delle risorse petrolifere dell’ Iran, il popolo persiano lo spedirebbe senza complimenti dove è stato spedito il generale Razmara ». Quale capo dei « devoti di Allah » e di tutti i musulmani della Persia, Kashani esercita un potere illimitato sia sull’intero Paese sia su Mossadeq e sugli uomini politici. Tuttavia e malgrado la sua potenza egli potrebbe cadere vittima del partito comunista che sembra essersi infiltrato largamente anche nei ranghi della sua setta di terroristi.
Reza Pahlavi, dopo aver annunciato che sarebbe partito da Teheran (in obbedienza a un ordine del premier Mossadeq), ha deciso di restare, commosso dalle dimostrazioni della folla che s’è radunata sotto il suo palazzo. Il presidente del Majinlis, Kashani, gli ha fatto recapitare una sua lettera personale nella quale gli ha chiesto di non andarsene. La volontà di autoesiliarsi dello Scià è dovuta ai contrasti sempre più forti col primo ministro Mossadeq, successivi alla decisione di nazionalizzare l’industria petrolifera (1 Maggio 1951). Sebbene lo scià abbia firmato a suo tempo i due decreti che sottoposero al controllo dello Stato persiano le concessioni petrolifere e gli impianti della Anglo Iranian Oil Company ad Abadan, si sa che più di una volta egli s’è scontrato con Mossadeq, che è in realtà il vero campione della nazionalizzazione. Altri contrasti sono sorti poi nell’ultima settimana. Mossadeq critica le spese di corte (sette milioni e mezzo di dollari) ed è contrario al progetto imperiale di distribuire ai contadini alcune terre di proprietà dello Scià. Mossadeq è a sua volta un ricco proprietario terriero. In passato vi furono altri contrasti: dopo i disordini del 16 luglio 1952, Mossadeq, che si era dimesso, chiese per sé il ministero della Guerra e lo Scià glielo rifiutò. Salì allora al potere Es Sultaneh il quale però, tre giorni dopo, dovette dimettersi a sua volta a causa di nuovi sanguinosi disordini. Mossadeq tornò così al suo posto e, prima della fine del mese, ottenne il pieno appoggio della Camera per un vasto programma di riforme. Pochi giorni dopo la sorella del sovrano, principessa Ashraf, partì in volo diretta a Ginevra insieme coi bambini, per una permanenza all’estero di durata imprecisata. Nel dicembre scorso Mossadeq avrebbe preteso l’esilio della regina madre, accusata di complottare con l’opposizione, mentre l’opposizione chiedeva al sovrano di por fine «al dominio illegale di Mossadeq». All’ultimo si apprende che la forza pubblica ha dovuto usare le armi per sgombrare la folla che voleva invadere la residenza di Mossadeq. Le porte di ferro sono state abbattute e molti sono riusciti a penetrare nella casa. Vi sono stati un morto e due feriti. Mossadeq, in pigiama, s’è rifugiato in Parlamento.
Mossadeq, obbedendo a un appello di 28 parlamentari a lui fedeli, ha destituito il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Mahmud Bahmarst, e il capo della polizia, generale Afsciartos. Al posto del primo è stato designato il sottosegretario alla Difesa generale Taghi Riahi, ed al posto del secondo il generale Ginji. Quanto al capo della polizia, generale Afsciartos, il ministro Fatemi lo ha accusato di essersi reso irreperibile mentre la folla infuriava per le strade. L’annuncio delle due destitituzioni dava in mattinata nuova esca ai dimostranti che, inalberando gli uni grandi ritratti di Mossadeq e gli altri grandi ritratti dello Scià, si scontravano in vari punti della capitale. Ad ingrossare le file degli esaltatoti dello Scià contribuivano in misura sempre più grande i seguaci dell’Ayatollah Kasciani, mettendo in tal modo a nudo i veri termini della lotta per il potere in corso al Parlamento. Gli scontri venivano aperti da una battaglia a base di pietre e randellate, ancora prima dell’alba, nonostante il coprifuoco, nelle vicinanze dell’albergo Park, con grida di morte ed abbasso da entrambe le parti. La polizia riusciva a ristabilire l’ordine dopo due pesanti cariche. Un altro tentativo di dimostrazione veniva poco dopo sventato da importanti forze di polizia dinanzi all’abitazione di Mossadeq. Altri incidenti avvenivano poi nella piazza del Parlamento e in seguito al tentativo di occupare Radio Teheran da parte dei seguaci di Mossadeq.
Un portavoce del Governo ha annunciato stamane che circa 470 persone sono state arrestate a Teheran. Tra queste sono numerosi generali in pensione, l’ex-leader dell’opposizione alla Camera Jamal Imami e una decina di esponenti del partito comunista Tudeh. Secondo alcune fonti, le persone ora arrestate saranno accusate di complotto contro lo Stato e giudicate da un Tribunale straordinario che Mossadeq istituirà quanto prima con un decreto-legge. Stamane, allo scadere del coprifuoco, non si sono avute dimostrazioni né in favore di Mossadeq, né in favore dello Scià La città è calma, i negozi sono tutti riaperti. Solo la presenza della polizia e della truppa nei centri nevralgici fa capire che tutto non è perfettamente normale. È opinione generale che oggi non vi saranno più tumulti di piazza. Mossadeq ha praticamente vinto la partita con lo Scià e attende ora che il Majlis, ossia il Parlamento, convalidi questa vittoria, accordandogli un voto di fiducia. È quasi certo che Mossadeq otterrà questo voto perché ormai i suoi maggiori avversari sono stati allontanati o semplicemente intimoriti.
Un tentativo di colpo d Stato è fallito sabato sera in Persia, dopo che le Guardie reali dello scià avevano arrestato il ministro degli Esteri, Hussein Fatemi, ed il ministro dei Lavori Pubblici, Rajabi. Un comunicato diramato dal Governo rivela che il comandante delle guardie reali ha guidato un reparto, scortato da carri armati per arrestare il Premier Mossadeq, ma le guardie del Primo ministro hanno arrestato il generale non appena giunto alla residenza del Premier. I primi indizi del colpo di Stato si sono avuti sabato sera, poco dopo le 23.30, allorché i carri armati hanno cominciato a rombare per le vie in direzione della residenza del Premier. Le truppe che prendevano parte al tentativo di rovesciare il Governo erano armate di mitra e fucili. La mossa ha fatto seguito allo scioglimento del Parlamento avvenuto sabato ad opera di Mossadeq. In una lettera allo scià il Premier aveva proposto nuove elezioni. Lo scià Mohammed Reza Pahlavi e l’imperatrice Soraya, che erano in vacanza sui Mar Caspio, sono ieri fuggiti dalla Persia, dopo il fallito colpo di Stato da parte delle guardie reali del sovrano. Si prevede che Mossadeq verrà nominato Presidente, ma non subito. Intanto sarà nominato un Consiglio di reggenza. Ai dimostranti che sono sfilati per le vie per inneggiare a Mossadeq si sono uniti gruppi di comunisti che hanno chiesto a gran voce l’espulsione di tutti gli Americani dal Paese. Alcune fonti governative hanno detto che potrebbero essere chiuse tutte le istituzioni americane a Teheran, per asserita complicità americana nel colpo di Stato. Il Premier ha ufficialmente sciolto il Parlamento, ed ha ordinato l’arresto dei deputati dell’opposizione e di circa cento persone coinvolte nel colpo di Stato. Egli ha poi fatto occupare i palazzi dello Scià ed ha circondato con truppe l’edificio del Parlamento. A complicare la già ingarbugliatissima situazione il generale Zahedi ha affermato di essere il legale Primo ministro dell’Iran. La sua dichiarazione è stata comunicata alla stampa da alcuni inviati, in un convegno segreto tenuto sulle colline a nord della capitale. Zahedi sostiene senz’altro di essere il «legale» Primo ministro della Persia. Egli sarebbe stato nominato giovedì a tale carica dal sovrano. I giornalisti hanno ricevuto una copia fotografica del decreto firmato dallo scià.
Il ministro degli Esteri iraniano, Hussein Fatemi, ha dichiarato oggi che il Governo di Mossadeq, riunitosi stamane, sta convocando un consiglio di reggenza — con l’esclusione dei membri della famiglia reale — per incaricarlo dei compiti spettanti allo Scià, fuggito all’estero. Egli ha poi aggiunto che il Governo non ha alcuna intenzione di dichiarare la Repubblica nel Paese, anche se molti cittadini, fedeli di Mossadeq stanno manifestando tuttora, chiedendo appunto l’abolizione della monarchia. Il ministro degli Esteri ha inoltre reso noto di aver dato subito istruzioni all’ ambasciatore iraniano a Bagdad perché eviti qualsiasi contatto con ti sovrano iraniano in esilio e con sua moglie. Pertanto — secondo quanto si apprende da Beirut — quando questa mattina lo Scià ha chiesto un colloquio all’ambasciatore persiano per «chiarire alcune questioni», il colloquio gli è stato rifiutato. Da parte sua lo scià di Persia — secondo quanto si apprende da buone fonti — ha fatto sapere che non ritornerà a Teheran, a meno che Mossadeq non obbedisca ai suoi ordini, lasciando il posto al maggior generale Fasulla Zahedi, da lui nominato Primo ministro. Lo scià non ha abdicato e non intende — dicono tali fonti — abdicare; egli rimarrà per il momento nell’Iraq unitamente alla consorte, come ospite del Governo. Lo scià avrebbe anche espresso il desiderio di trasferirsi in un secondo tempo in Italia. Gli avvenimenti di ieri dimostrerebbero che anche gli Stati Uniti hanno subito una grossa sconfitta perché l’opinione pubblica è convinta che Washington abbia fatto di tutto per sostenere e appoggiare lo Scià contro Mossadeq. Il Niroye Sevom che riflette generalmente il punto di vista governativo, scrive: «I frequenti viaggi della principessa Asrhaf e del generale americano Schwarzkopf indicavano che qualche cosa si andava tramando sulla scena politica a danno del coraggioso popolo iraniano. Gli organizzatori del complotto si sono appoggiati, fin dal principio, sulle promesse del Presidente Eisenhower e di Winston Churchill. Gli Americani pensavano di poter vincere giocando la carta dello Scià contro il popolo iraniano».
Radio-Teheran ha annunciato oggi alle 13 che insorti realisti hanno rovesciato il Governo Mossadeq. La stazione radio e tutti gli uffici statali della capitale sono stati occupati dagli insorti fedeli allo scià. Le forze armate appoggiano il movimento. Migliaia di dimostranti hanno deposto ritratti del sovrano sui rottami delle statue demolite ieri dalle manifestazioni filogovernative. Una grande confusione regna in città ed è impossibile per ora dire con esattezza se in Persia sia in atto un nuovo colpo di stato. Le truppe e la polizia sono partite dalla piazza principale della città lanciandosi nei bazar al grido « Viva il nostro amato imperatore! Abbasso i traditori! ». La folla ha strappato le bandiere e gli striscioni filogovernativi e quelli del « Fronte nazionale » issati sulle rovine delle statue dell’imperatore. Gruppi di rivoltosi, a cui si sono uniti agenti di polizia e soldati, hanno poi tentato di sfondare con un autocarro i cancelli della residenza di Mossadeq, ma sono stati respinti a raffiche di mitra dalla guardia del corpo del Primo ministro. Mentre dalla residenza del Premier si diceva che la situazione era « sotto controllo », nella piazza del Parlamento veniva annunciato alla folla che Mossadeq è già stato arrestato. Le dimostrazioni hanno avuto luogo malgrado il divieto governativo contro qualsiasi manifestazione. Sulle prime non vi è stata resistenza alcuna da parte di elementi della polizia e dell’esercito e in seguito si sono visti gruppi di agenti e soldati intervenire attivamente a fianco dei dimostranti. Gli osservatori sostengono che è chiaro che le dimostrazioni sono sostenute dagli stessi elementi delle forze dell’ordine. Nella piazza del Parlamento vi sono autocarri carichi di truppe agli ordini del generale Dastari. Il Governo ha infine annunciato la firma di un accordo irano-sovietico sulle vertenze di confine e le concessioni di pesca russe nel Caspio,
Il dott. Mossadeq, con tre dei suoi collaboratori, è stato arrestato. Non ha fatto in tempo a raggiungere il confine settentrionale né il territorio della tribù Cashgay, nello Shiras, che avrebbero potuto schierarsi a suo favore, non per convinzione politica ma per opposizione alla loro tradizionale rivale, la tribù dei Bakhtyari sostenitrice dello Scià. Zahedi ha avuto cura di far diramare un comunicato che annunciava l’arresto di Mossadeq e dei suoi compagni. Mohammed Reza Pahlevi si è preoccupato di salvare la vita di Mossadeq, il che accade per la seconda volta. Radio Teheran ha aggiunto che su Mossadeq «consegnato alla giustizia » si procederà con tutto il rispetto della legalità possibile. A Teheran non si riesce a dormire per il continuo passaggio dei carri armati. La legge marziale vige con severità, gli assembramenti di più di tre persone sono vietati, sui cortei e sui gruppi non autorizzati la forza pubblica ha l’ordine di sparare. Tutto ciò non ha impedito nella mattinata che Teheran assumesse un aspetto quasi gaio, con molta gente affaccendata nel rimettere l’ordine nelle strade e negli edifici ieri attaccati dalla folla e dalle truppe in rivolta contro il Governo di Mossadeq. Imbandierate e adorne di grandi ritratti dello Scià molte strade di Teheran sarebbero parse in festa senza le pattuglie e le intimazioni.
L’abitazione di Mossadeq ha riservato molte sorprese agli insorti che l’hanno conquistata ieri dopo parecchie ore di assedio: era munita di muri in calcestruzzo, di nidi per mitragliatrice e di piastre corazzate, sicché la sua lunga resistenza non appare più un fatto straordinario. Si sono appresi a tarda ora alcuni particolari sull’arresto di Mossadeq. Pallido, magro, in grado a mala pena di camminare, Mossadeq è giunto stasera in una limousine nera davanti al Club degli ufficiali, in cui Zahedi ha costituito il suo quartier generale e la sede provvisoria del Governo. Mossadeq aveva ascoltato a una radio, durante la sua breve latitanza, l’intimazione di Zahedi, che gli dava 24 ore per consegnarsi alle autorità, e il telegramma dello Scià che raccomandava di proteggere la sua vita Come un anno fa, quando fuggi a un altro attacco di manifestanti alla sua abitazione, Mossadeq era in pigiama. Tuttavia egli ha saputo mantenere un contegno dignitoso. Nei corridoi del Club erano schierate le guardie del corpo di Zahedi, che hanno salutato militarmente l’ex-ministro: Mossadeq, con mano stanca — era visibilmente sfinito —, rispondeva al saluto. Zoppicando egli ha raggiunto la sala in cui Zahedi lo attendeva. Il colloquio fra i due è stato abbastanza lungo. Poi Mossadeq è stato trasportato in un luogo di custodia che viene tenuto rigorosamente segreto. Questa sera Hussein Fatemi veniva dato ancora ufficialmente come disperso, ma riprendevano a circolare con insistenza le voci secondo cui la notizia della sua morte nei tumulti di ieri sarebbe esatta, si tratterebbe solo di identificare il suo cadavere fra i molti corpi irriconoscibili che testimoniano della violenza e della ferocia della breve battaglia di ieri. Si attende per domani l’arrivo dello Scià, al quale Zahedi sta preparando accoglienze trionfali
Il Tribunale militare di Teheran ha oggi riconosciuto colpevole di tradimento l’ex-Primo ministro Mohammed Mossadeq, ma lo ha condannato a soli tre anni di reclusione in seguito all’intervento dello Scià. Nella sentenza è specificato che i tre anni di reclusione dovranno essere scontati sotto forma di segregazione cellulare, e che l’imputato non è stato condannato a morte soltanto in considerazione dei servizi da lui resi in passato alla Nazione. Il generale di brigata Riahi, che fu capo di stato maggiore durante il regime di Mossadeq, è stato condannato a due anni di reclusione e all’espulsione dall’Esercito. Il pubblico ministero Hussein Azemudeh aveva chiesto per Mossadeq la pena di morte, nonostante il codice penale persiano proibisca le esecuzioni capitali di persone di età superiore ai sessant’anni. Tuttavia, all’ultimo momento, lo Scià, per la seconda volta nella sua vita, è intervenuto in favore di Mossadeq, perdonandogli i suoi misfatti e raccomandando al Tribunale clemenza per l’imputato. Mossadeq ha seguito tremando la lettura della sentenza, che è durata un’ora. I giudici hanno emesso il verdetto dopo sette ore di camera di consiglio. Nel tardo pomeriggio, si è avuta nelle strade della capitale una dimostrazione a favore di Mossadeq. Una sessantina di giovani che gridavano: «Mossadeq è vittorioso » e « Morte agli Inglesi », ha percorso le vie del centro, sciogliendosi all’arrivo delle forze di polizia. Sei giovani sono stati arrestati.
19 notizie mostrate (su 19 trovate) per l'anno