L’Uruguay, che aveva introdotto il matrimonio civile nella sua legislazione già nel 1837, nazionalizza i cimiteri, togliendone il controllo alla Chiesa. È una politica laicista incoraggiata, in America Latina, dalle vittorie di Benito Juarez, che l’11 gennaio (vedi) torna a Città del Messico.
Rovesciato il governo del generale Miramón, Benito Juárez, grazie anche all’aiuto degli americani, è rientrato a Città del Messico, dove è certo che sarà rieletto presidente. Nel frattempo, il suo governo in esilio ha profondamente rinnovato la costituzione, in un modo che non può essere gradito a Roma: con legge del 12 luglio 1859 ha nazionalizzato i beni ecclesiastici; con la legge del 23 luglio 1859 ha introdotto il matrimonio civile; con la legge del 4 dicembre 1860 ha reso possibile la libertà di culto.
«I governi di Gran Bretagna, Francia e Spagna, sostenuti indirettamente dall’Austria e forse anche dal Vaticano, strinsero un accordo per un intervento militare in Messico (Convenzione di Londra - ndr) adducendo il pretesto della moratoria su alcuni debiti decisa dal governo liberale messicano (vedi 17 luglio - ndr). La forza d’intervento sarebbe sbarcata sulle coste messicane con due obiettivi: recuperare i crediti e istituire un protettorato francese sul Messico. L’intento di Napoleone III, tuttavia, era ancor più ambizioso: si proponeva di formare un impero fondato su un comune retaggio latino e cattolico, che arrestasse e controbilanciasse l’influenza anglo-statunitense sul continente americano. I francesi e i conservatori messicani avrebbero indicato nell’arciduca d’Austria Massimiliano il nuovo imperatore del Messico, provocando così l’abbandono dell’alleanza da parte della Gran Bretagna» (Alicia Hernández Chávez, Storia del Messico, Bompiani 2005).
«In un’azione congiunta truppe francesi, inglesi, spagnole e messicane invadono il territorio messicano passando da Veracruz e avanzando verso Orizaba» (Alicia Hernández Chávez, Storia del Messico, Bompiani 2005).
Reagendo alla decisione di Benito Juárez di non pagare i debiti per due anni (vedi 17/7/1861), le flotte inglese, francese e spagnola approdano a Vera Cruz con intenzioni bellicose.
Arriva a Vera Cruz, per costringere Benito Juárez a pagare i debiti del Messico (vedi gennaio) anche un corpo di spedizione francese comandato dal generale Charles de Lorencez.
Spagna e Gran Bretagna, soddisfatti nelle loro richieste da Benito Juárez, sospendono i negoziati della Convenzione di Londra (vedi 31/10/1861) e abbandonano il Messico. I francesi non vogliono abbandonare la partita e arrivano al punto di insinuare che il capo del corpo di spedizione spagnolo, gen. Joan Prim i Prats, conte di Reus (1814-70), ambisca al trono di Montezuma. La Spagna è inoltre contraria alla nomina di un imperatore straniero e insiste per un capo di stato messicano a che il vertice dell’esecutivo fosse uno straniero, preferendo piuttosto un capo di Stato, espressione dei messicani stessi (Giovanni Armillotta. Leggi qui il suo racconto).
«Gli occhi del mondo repubblicano sono puntati sul Messico: nelle parole dello scrittore francese Victor Hugo, “il destino della Repubblica si decide in Messico”. Le truppe repubblicane, guidate da Ignacio Zaragoza e Porfirio Diaz, sconfiggono gli invasori nella battaglia di Puebla» (Alicia Hernández Chávez, Storia del Messico, Bompiani 2005).
Dopo la sconfitta di Puebla, la Francia ha inviato «nuovi quadri militari e 30 mila uomini di rinforzo, che riescono a prendere Puebla e ad avanzare verso la capitale nonostante i continui attacchi della guerriglia. Il governo liberale di Juárez - facendosi carico dei destini della repubblica - si sposta verso nord dando inizio a un periodo di attività itinerante. Oggi, tra l’esultanza della Chiesa e dei conservatori messicani, viene proclamato il Secondo impero (il primo impero essendo stato quello di Iturbide nel 1822» (Alicia Hernández Chávez, Storia del Messico, Bompiani 2005).
«Il Messico fino ad alcuni anni fa era all’avanguardia ed i suoi romanzi della rivoluzione (ricordo fra i migliori quelli di Martin Luis Guzmán, L’aquila e il serpente, e di Maurizio Magdaleno, Il deserto di calce, tradotti anche in italiano) hanno la stessa importanza di testi di storia; si potrebbe dire se mai che la fantasia o la grazia dell’autore ha piuttosto addolcito che inasprito certe crudezze della realtà. Recentemente ne sono apparsi due anche nel Guatemala, uno dei Paesi dell’America centrale che nel passato ha più sofferto dalle dittature (quasi altrettanto che dai terremoti mi diceva un amico): Ecce Pericles di Rafael Arévalo Martinez e El Señor Presidente di Miguel Angel Asturias, entrambi già tradotti in varie lingue europee. L’apparizione dei romanzi sulle dittature è il primo segno dello scampato pericolo, la sirena del cessato allarme; non solo, ma gli stessi libri, in verità poco edificanti, che prima avrebbero procurato ai loro autori arresto e galera, vengono diffusi con lo stesso spirito propagandistico con cui gli’ enti turistici diffondono opuscoli sulle bellezze panoramiche del loro Paese.»
Il principale comitato della Conferenza dei 21 ministri degli Esteri americani ha approvato una dichiarazione di solidarietà dell’emisfero occidentale contro il comunismo. Chiamata « dichiarazione di Washington », essa afferma la decisione delle Nazioni americane sui punti seguenti: 1) opposizione al comunismo; 2) riaffermata solidarietà interamericana; 3) rafforzamento della cooperazione economica contro l’aggressione russa [...] L’Argentina ha appoggiato in pieno la dichiarazione contrariamente a quanto si riteneva; l’adesione argentina è stata vivamente applaudita dagli altri delegati. Giovedì i rappresentanti del Governo di Buenos Aires si erano opposti ad altre risoluzioni che invitavano le Nazioni americane a preparare delle forze armate non soltanto per la difesa dell’emisfero ma anche per un possibile aiuto alla politica delle Nazioni Unite in altri Paesi. Insieme al Messico ed al Guatemala, l’Argentina aveva fatto delle riserve sull’opportunità che l’organizzazione degli Stati americani abbia il diritto di prendere provvedimenti militari che esorbitano dal territorio dell’emisfero occidentale.
La Fallaci ferita durante i disordini di Città del Messico. Testimonianza di Massimo Fini: La strage prima dei giochi olimpici del 1968, in cui rimase colpita? Ricostruisce quei fatti nella prima parte di Niente e così sia, mi pare. «Sì, lei scrive, più o meno, “tre pallottole mi entrarono nel costato”. Ora Gianfranco Moroldo, che era il suo fotografo, mi disse che lei stava alla finestra a guardar giù, quando una bomba carta fece andare in frantumi i vetri e probabilmente lei si prese delle schegge di vetro, non proiettili».
Giovanni Paolo II parte per il suo primo viaggio apostolico. Destinazione Santo Domingo, Messico e Bahamas. Alle 7.45 arriva all’aeroporto di Fiumicino dove lo attende il presidente del Consiglio Andreotti (un grande amico che sosterrà anche dopo il processo per mafia). «Sarà il primo di una lunga serie di viaggi», ha annunciato il giorno prima. A Santo Domingo, appena sceso dalla scaletta dell’aereo si china a baciare la terra (gesto che ripeterà in ogni viaggio finché le forze lo sosterranno).
«Sul mercato libero - dove Iraq, Nigeria, Libia, Qatar e Emirati vendono tutto il petrolio prodotto in eccesso ai livelli precedenti la rivoluzione di Khomeini — i prezzi restano sensibilmente superiori a quelli ufficiali. Su questo mercato passa tra l’altro tutto il greggio iraniano attualmente esportato (1,8 milioni di barili al giorno) dato che Teheran non ha ancora stipulato i nuovi contratti con le compagnie. I sovrapprezzi annunciati dalla maggioranza dei paesi Opec, oscillanti tra 1,14 e 5 dollari a barile, stanno inoltre provocando un rialzo quasi proporzionale del prezzo per il petrolio prodotto nel Mare del Nord, in Alaska e in Messico, il greggio britannico e norvegese è già salito a 18-19 dollari per barile, in linea con le quotazioni dei greggi nordafricani, quello messicano rincarerà intorno ai 16,50 dollari, quello dell’Alaska era già tra i più cari in assoluto. Il Canada ha fatto sapere che il suo petrolio leggero salirà a 18,41 dollari. Infine, è di ieri la notizia che l’Iran intende stipulare contratti a lungo termine con le compagnie nipponiche ad un prezzo rincarato del 32% rispetto al 1978 per il petrolio leggero e del 28% per quello mediopesante. Il prezzo medio predominante sul mercato mondiale si sta dunque avvicinando ai 17 dollari per barile contro poco meno di 13 dollari che costituivano la quotazione base soltanto alcuni mesi fa» (Corriere della Sera)
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