Assalto di guerriglieri non ancora identificati contro l’ambasciata americana a Teheran, sanguinosi incidenti nella città di Tabriz (si parla di 700 morti soltanto martedì), pericolo non più teorico di un «contagio» iraniano agli altri Paesi della regione. A Kabul, capitale dell’Afghanistan, l’ambasciatore degli Stati Uniti, Adolphe Dubs, è stato catturato da quattro elementi armati, mentre in auto si recava alla sede diplomatica americana. Gli assalitori si sono barricati con l’ostaggio nell’hotel Kabul. La polizia li ha uccisi e ha trovato il diplomatico mortalmente ferito. I responsabili dell’operazione sarebbero elementi sciiti che si oppongono al regime filosovietico di Kabul. Adolph Dubs, diplomatico di carriera, era stato nominato ambasciatore a Kabul l’anno scorso, dopo il sanguinoso colpo dl Stato con il quale era stato rovesciato il presidente Mohammed Daoud. Il nuovo regime, sotto la presidenza di Mohammed Taraki, ha collocato saldamente l’ Afghanistan nell’orbita sovietica. Secondo vari resoconti, negli ultimi mesi In Afghanistan si sarebbe andata sviluppando una vivace opposizione al regime di Taraki, specialmente nei circoli conservatori religiosi, legati all’ortodossia musulmana. Valutazioni non si sa quanto attendibili, indicano che il numero dei prigionieri politici detenuti dall’attuale regime potrebbe aggirarsi sui quindicimila. Le fonti ufficiali di Kabul, da alcune settimane, insistevano nel definire le voci dl insurrezioni antigovernative musulmane frutto dl «pura fantasia della stampa occidentale». Il rapimento, invece, sembra confermare che la militanza anti-governativa sia più diffusa di quanto non si pensasse e che il presidente Taraki si trovi a dover affrontare un’autentica sfida al proprio regime da parte di dissidenti infiltrati dall’esterno. I mujahiddin («combattenti sacri») hanno già dichiarato dl aver intrapreso una «guerra santa» per abbattere il regime filo-comunista afghano. Il movimento insurrezionale, all’inizio del mese scorso, ha proclamato di aver ucciso «centinaia di soldati afghani» nella regione del Kunnar, ai confini con il Pakistan (dal Corriere della Sera del 15 febbraio).

Un gruppo di 500 studenti circa (anche se le testimonianze discordano e variano da 300 a 2000) assalta l’ambasciata americana a Teheran. Poi mostra in televisione i 66 ostaggi, presentati con gli occhi bendati, e fa alcune richieste di riscatto, tra le quali quella di estradizione dello Scià perché possa venire giudicato sui "crimini contro il popolo iraniano". Sei persone tra quelle che al momento dell’attacco si trovavano all’interno dell’ambasciata riescono a fuggire e a trovare rifugio all’interno dell’appartamento dell’ambasciatore canadese • Quando l’Imam Khomeini seppe che gli studenti avevano occupato l’ambasciata Usa disse: «Prendeteli a calci e mandateli a casa». Ma quando si accorse che migliaia di persone erano ammassate davanti alla sede diplomatica cambiò idea: «Questa – annunciò – è la seconda rivoluzione dopo quella contro lo Scià» (testimonianza del ministro degli Esteri, Ibrahim Yazdi) • «Gli ostaggi furono maltrattati, tenuti in isolamento o ammanettati, costretti al silenzio, esibiti alla folla con gli occhi bendati e sottoposti a finte esecuzioni» (Bruce Laingen) • La scoperta nell’ambasciata di documenti che provavano contatti tra il premier moderato Mahdi Bazargan e Washington provocarono l’allontanamento di quest’ultimo.
Il ministro degli Esteri britannico, lord Peter Carrington, chiede al suo ambasciatore a Washington se la richiesta di aiuto, avanzata dal comando supremo americano all’unità di elite delle forze armate del Regno Unito, per la crisi a Teheran, è autorizzata dalla Casa Bianca o solo un segno del caos che regna supremo nell’amministrazione americana di Jimmy Carter.
WASHINGHTON - Con una impennata d’orgoglio, l’America comincia a ribellarsi concretamente al ricatto di Teheran, dove dal 4 novembre un centinaio di persone, tra cui una sessantina di cittadini statunitensi, sono prigioniere di fanatici seguaci dell’ayatollah Khomeini. Con un breve, risoluto annuncio, Carter ha ordinato ieri sera il blocco degli acquisti di petrolio iraniano da parte degli Stati Uniti. Il capo della Casa Bianca ha inoltre reso noto che sono in corso consultazioni con gli alleati degli Stati Uniti su altre misure eventuali. Queste misure, ha detto Carter, riguardano «altre azioni che potrebbero essere intraprese per ridurre il consumo e le importazioni di petrolio». La situazione è grave — ha detto il presidente americano. — Noi continuiamo a fronteggiarla». Ha definito «inaccettabili» le richieste iraniane di consegnare lo Scià, che è degente in un ospedale di Nuova York, dove ha subito un’operazione per cancro
Altri tredici ostaggi tenuti prigionieri dagli studenti islamici nell’ambasciata americana di Teheran - donne ed afroamericani - sono stati liberati tra ieri e oggi.
Gli ostaggi dell’ambasciata americana a Teheran che erano riusciti a fuggire e a rifugiarsi nell’appartamento dell’ambasciatore canadese possono tornare in patria, grazie a documenti forniti dal governo canadese. La decisione di concedere ai sei diplomatici tali documenti è stata presa presa dal parlamento canadese, riunito in seduta segreta per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale. È stato approvato un provvedimento ad hoc per consentire loro la fuga.
• Il presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, annuncia che un tentativo di liberare gli ostaggi detenuti dal 4 novembre 1979 nell’ambasciata a Teheran è fallito (8 americani hanno perso la vita per lo schianto tra un elicottero e un aeroplano).
Uno degli ostaggi tenuto prigioniero dagli studenti islamici nell’ambasciata americana di Teheran è stato liberato in quanto malato di sclerosi multipla.
Sulla questione degli ostaggi detenuti nell’ambasciata americana di Teheran si conclude oggi un accordo ad Algeri, grazie alla mediazione del governo algerino. Per gli Stati Uniti l’Accordo di Algeri è negoziato dall’allora Vicesegretario di Stato Christopher Warren. L’intesa prevede la liberazione degli ostaggi, lo scongelamento dei fondi iraniani depositati presso banche americane e bloccati all’indomani dello scoppio della crisi, la riaffermazione del principio di non ingerenza.
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