ISLAMABAD — Più di mille soldati afghani sarebbero stati uccisi o fatti prigionieri nel corso di combattimenti con guerriglieri musulmani e membri della tribù «Safi». Lo riferisce un comunicato pubblicato dal comando del gruppo di opposizione «Jamlat-lslam Afghanistan» rifugiatosi a Peshawar, nel Pakistan. Lo scontro — secondo il comunicato — è avvenuto a Shunkry, a 30 chilometri da Chagahsaye (nella parte nordorientale dell’Afghanistan). Si tratta del più grave episodio riferito finora dai combattenti musulmani dello «Jamlat Islam» in lotta dall’estate scorsa contro il regime rivoluzionario filosovietico di Kabul che fa capo a Nur Mohammed Taraki. La ribellione nelle province afghane ha provocato migliaia di vittime.
«Che cosa sono Vietnam, Laos, Cambogia se non i Balcani del nostro tempo?»: con tutta l’arbitrarietà di simili accostamenti storici e insieme con una certa forza di rappresentazione, la frase ricorre sovente. Essa è anche un segno che per fortuna la vera penisola balcanica ha cessato di essere quel focolaio di attriti e di conflitti delle generazioni passate. Con tutto ciò l’invasione per interposto Vietnam lanciata da Mosca in Cambogia suona oggi come monito potente a Belgrado e a Bucarest. Non è certo un caso che, a differenza dei governi «satelliti» vecchi e nuovi (Afghanistan compreso) che si sono affrettati a riconoscere il regime installato a Phnom Penh, la Romania abbia duramente preso posizione contro l’intervento vietnamita in Cambogia» (Dino Frescobaldi sul Corriere della Sera).
Il Vietnam si schiera con l’Unione sovietica e per questo i cinesi lo invadono. «Il 17 febbraio 1979 le forze cinesi varcarono il confine dirigendosi verso Hanoi. L’Esercito Popolare di Liberazione cinese aveva ammassato più di 600.000 uomini e 400 carri armati al confine vietnamita, anche se poi solo una parte fu effettivamente coinvolta negli scontri: a ovest tre corpi d’armata (l’11º, il 13º e il 14º), agli ordini del generale Yang Dezhi, dovevano puntare sulla città di Lao Cai, mentre a est i sei corpi d’armata (41º, 50º, 42º, 54º, 55º e 43º) del generale Xu Shiyou dovevano prendere Cao Bang e il capoluogo provinciale di Lang Son, posto ad appena 120 chilometri da Hanoi. L’esercito vietnamita fu colto impreparato dall’attacco cinese: agli ordini del capo di stato maggiore dell’esercito Văn Tiến Dũng, nel nord vi erano circa 100.000 uomini pronti al combattimento, appartenenti in maggioranza ai reparti paramilitari delle guardie di frontiera e alle milizie di difesa regionale; mentre questi impegnavano i cinesi lungo la frontiera, i reparti regolari vietnamiti iniziarono ad allestire una linea di difesa attorno ad Hanoi, anche se dopo i primi rovesci furono rapidamente inviati in prima linea» (wikipedia).

l ribelli afgani stanno impegnando le forze del presidente Taraki in ben otto provincie del Paese. Lo ha affermato ieri Mujaddadi, presidente del Fronte di liberazione nazionale che riunisce i gruppi della dissidenza musulmana afghana, in una conferenza stampa tenuta a Islamabad. Il governo filosovietico di Kabul ha annullato le festività del capodanno afghano in programma dal 21 al 23 marzo. Mujaddadi ha detto che i ribelli stanno attaccando la città di Chagha Serai da tre lati. Da questa città si controlla l’accesso alla provincia di Kunar che confina col Pakistan. Da Chagha Serai si potrebbe attaccare Jalalabad. Affermando quindi che centinaia di aderenti al Fronte nazionale vengono arrestati ogni giorno dal governo Taraki, Mujaddadi ha parlato di carceri piene e di torture inflitte ai detenuti. A suo dire al governo Taraki obbedisce meno dell’un per cento della popolazione, e cioè i soli comunisti. Mujaddadi ha negato che il Fronte riceva armi da paesi stranieri. In molti casi, secondo il presidente del Fronte, i ribelli si battono con armi rudimentali, bastoni, sassi, bottiglie molotov. Quanto al Pakistan, Mujaddadi ha detto che ha fornito una certa assistenza ai profughi afghani, che sono circa 40.000, ma questa gente manca di molte cose e bisognerebbe che altri Paesi intervenissero per ragioni umanitarie. Il governo di Kabul ha già accusato l’Iran di avere infiltrato in Afghanistan ben quattromila uomini col compito di sostenere e fomentare la rivolta musulmana. Nella vicenda ha un ruolo di primo piano anche l’URSS. Proprio ieri l’organo del PCUS Pravda ha rinnovato le accuse al Pakistan di prestare aiuto ai ribelli musulmani. Il giornale afferma inoltre che Stati Uniti, Cina, Inghilterra, Germania Ovest, Egitto e altri Paesi arabi stanno intensificando la propaganda contro l’ Afghanistan nel quadro di un piano comune inteso a incoraggiare i ribelli afghani.
KABUL — Presieduto dal presidente Nur Mohammed Taraki, si è riunito Ieri l’alto consiglio afghano per la difesa il quale ha preso in esame 1 mezzi per aumentare il potenziale difensivo del Paese «di fronte ai tentativi iraniani e pakistani di interferenze. Fonti dei ribelli afghani dichiarano da parte loro che le tribù in rivolta continuano i combattimenti contro il regime marxista di Taraki e che la tribù del «mohamands» che sta a cavallo della frontiera tra Afghanistan e Pakistan tenta di avanzare in tre colonne .. Secondo notizie riprese dalla «Washington Post» la situazione sarebbe diventata tanto pesante che il presidente Taraki e il primo ministro Hafizullah Amin avrebbero già provveduto a mettere in salvo in URSS le rispettive famiglie
ISLAMABAD — Sparatorie sono echeggiate per tutta la mattina di ieri in un quartiere periferico di Kabul, la capitale afghana, ed il governo ha adottato eccezionali misure di sicurezza facendo tra l’altro presidiare da mezzi blindati leggeri tutti gli edifici pubblici. Queste notizie sono state comunicate telefonicamente da persone residenti a Kabul. Una sanguinosa guerriglia è in atto da tempo nella parte orientale del Paese dove si susseguono gli scontri tra l’esercito regolare ed i ribelli che si oppongono al regime filosovietico di Taraki.
ISLAMABAD — Kabul è stata teatro del più grave episodio di rivolta avvenuto nell’Afghanistan da quando il governo filosovietico capeggiato dal presidente Taraki si è installato al potere col cruento colpo di Stato dell’aprile 1978. Secondo le informazioni raccolte dagli ambienti diplomatici di Islamabad, nella rivolta sono state coinvolte unità dell’esercito. La sollevazione è stata stroncata. I combattimenti, che hanno avuto un’eccezionale violenza, sono cominciati verso mezzogiorno nel centro di Kabul e si sono poi rapidamente estesi ad altre zone della capitale afghana. Mentre l’aeroporto internazionale veniva chiuso al traffico, si levavano in volo elicotteri e caccia che sorvolavano la città facendo uso delle armi di bordo. Gli scontri più aspri sono avvenuti attorno al forte di Baia Hissar, dove erano acquartierate le truppe in rivolta. Sono stati impiegati razzi di fabbricazione sovietica e mezzi corazzati. Dopo quattro ore gli scontri sono cessati. La rivolta è stata confermata dall’agenzia sovietica «TASS», la quale riferisce che il «tentativo è fallito grazie alla collaborazione della popolazione» (dal Corriere della Sera del 6 agosto)
KABUL — Sono sessanta o settanta gli esponenti del regime vittime dei sanguinosi scontri nel palazzo presidenziale che venerdì sera hanno portato alla eliminazione (anche fisica: sembra ormai sicuro) dal presidente Nur Mohammed Taraki o alla sua sostituzione in tutte le cariche che ricopriva, con il primo ministro Hafizullah Amin. Nella capitale afghana le notizie circolano con estrema cautela, ma appare possibile ricostruire con una certa approsimazione gli avvenimenti che hanno portato al colpo di palazzo. Taraki, appena ritornato a Kabul dalla conferenza del non allineati dell’Avana e dai colloqui (con relativo abbraccio davanti alle telecamere) avuti con Breznev e Gromiko il 1° settembre a Mosca aveva convocato una riunione del consiglio superiore della rivoluzione proponendosi di mettere un freno, forse anche su consiglio di Mosca, ai metodi brutali dal suo primo ministro Amin.Informato, Amin fin dal primo pomeriggio di venerdì avrebbe fatto circondare dalla truppa il palazzo presidenziale. Verso le 16 è stata udita una forte esplosione all’interno dal palazzo, seguita da numerosi colpi di arma da fuoco. Sembra che i due schieramenti, al momento dalla resa dei conti, si siano impegnati in una vera e propria battaglia. Nello scontro Taraki sarebbe stato ferito mortalmente (sarebbe poi morto lunedi mattina all’ospedale). Anche il capo dalla polizia «guardia del corpo di Taraki, Sayed Taroon (che si sarebbe schierato contro il presidente: ieri il suo nome è stato dato a una città) insieme a numerosi altri esponenti sarebbero rimasti vittime della sparatoria: il nuovo leader li ha definiti «martiri». Eliminato Taraki, per Amin rimaneva però il problema di non perdere l’appoggio di Mosca. Sabato avrebbe avuto un lungo colloquio con l’ambasciatore sovietico Puzanov. Solamente domenica, superate la diffidenze di Mosca, ha potuto essere annunciato il mutamento al vertice (dal Corriere della Sera)
LONDRA — Citando «una fonte diplomatica ad alto livello» a Kabul, il giornale britannico «Daily Telegraph» scrive che l’URSS ha spedito d’urgenza venti battaglioni in Afghanistan par proteggere le sue basi da un attacco dei ribelli musulmani (dal Corriere della Sera del 4 novembre).
Nel corso della prima metà del mese un certo numero di truppe da combattimento sovietiche inizia ad affluire in Afghanistan, ufficialmente per accogliere le richieste d’aiuto di Kabul e nel rispetto del trattato di amicizia firmato l’anno prima (wikipedia).
Tra il 7 dicembre e oggi è dislocato nell’aeroporto di Bagram, a sessanta chilometri da Kabul, un battaglione sovietico della 103ª Divisione aviotrasportata della Guardia.
Tra ieri e oggi è dislocato nell’aeroporto di Bagram, a pochi chilometri dalla capitale, un altro battaglione sovietico, stavolta appartenente alla 104ª Divisione aviotrasportata della Guardia. Col battaglione della 103ª, trasferito lo scorso 9 dicembre, si crede così di aver meglio garantito la protezione dello scalo. Contemporaneamente i consiglieri sovietici iniziano la loro opera di neutralizzazione delle forze afghane, facendo ritirare i mezzi blindati nelle rimesse per "riparazioni" e "svernamento", e organizzando "inventari" delle scorte di armi e munizioni presenti nei depositi; gli stessi consiglieri convincono Amin ad abbandonare la residenza presidenziale nel centro di Kabul per trasferirsi nel più isolato palazzo Tajbeg, separandolo così da gran parte delle truppe a lui fedeli presenti nella capitale (wikipedia)
L’Urss invade l’Afghanistan per sostenere il governo comunista del Partito Democratico del Popolo Afgano contro i ribelli Mujaheddin, sostenuti dagli integralisti islamici (leggi qui l’analisi di Guido Rampoldi e Enrico Franceschini) • «La sera del 24 dicembre le forze sovietiche diedero il via all’invasione (operazione Štorm 333): mentre i primi reparti della 40ª Armata attraversarono il confine lungo il fiume Amu Darya, i paracadutisti sovietici della 103ª Divisione aviotrasportata della Guardia già stanziati a Bagram si impossessarono della base quasi senza combattere; seguì un lungo ponte aereo per portare a Bagram dalla loro base a Fergana gli elementi principali della 105ª Divisione aviotrasportata, a cui furono aggregati per l’occasione specialisti del KGB e un contingente di truppe scelte del Gruppo Alpha.[48] A sera i reparti della 108ª Divisione motorizzata attraversarono per primi l’Amu Darya» (wikipedia).
KABUL — Secondo informazioni americane, combattimenti sono in corso in parecchi punti, fra cui le vicinanze del palazzo presidenziale, a Kabul: soldati sovietici sarebbero intervenuti negli scontri. Il colpo di Stato è avvenuto subito dopo l’arrivo di un altro forte contingente di soldati russi, con un ponte aereo di circa 200 voli: grossi apparecchi sovietici hanno trasportato forse cinquemila militari, che vengono ad aggiungersi alle forze sovietiche già impegnate ad aiutare il governo afghano contro gli insorti. Secondo le ultime notizie da Kabul la resistenza al colpo di Stato sarebbe più forte del previsto. Alle ore 21 (ora locale) mentre la radio continua ad affermare che il regime di Amin è stato rovesciato, i combattimenti proseguono: sulla strada che conduce all’aeroporto di Kabul carri armati hanno aperto il fuoco. Si sente anche il rombo delle artiglierie e intense raffiche di mitraglia (Corriere della Sera).
PECHINO — Il governo cinese, in una dichiarazione ufficiale diramata nelle prime ore di ieri, che fa seguito a due prese di posizione del «Quotidiano del popolo» e dell’agenzia «Nuova Cina», condanna decisamente l’azione sovietica nei confronti dell’ Afghanistan e chiede che Mosca ritiri tutte le sue truppe da quel Paese. La dichiarazione afferma: «L’Unione Sovietica ha di recente attuato una massiccia invasione militare dell’Afghanistan, interferendo grossolanamente negli affari interni di quel paese. Questo intervento armato viola sfacciatamente tutte le norme che reggono i rapporti internazionali; non soltanto esso usurpa la sovranità e l’indipendenza nazionale dell’Afghanistan, ma pone anche una grave minaccia alla pace e alla sicurezza in Asia e nel mondo intero. Il governo cinese condanna vigorosamente questa azione egemonistica dell’Unione Sovietica e chiede decisamente la fine di quest’aggressione e di questo Intervento nell’Afghanistan e il ritiro dl tutte le forze dell’URSS. Il documento cinese prosegue affermando che Mosca ha da tempo pianificato l’azione e rileva in proposito che essa «rappresenta un grave passo per la penetrazione verso sud allo scopo di giungere all’oceano Indiano e controllare le vie marittime. Essa è anche una parte importante della strategia sovietica per impossessarsi delle zone produttrici di petrolio e aggirare l’Europa in modo da assicurarsi l’egemonia mondiale». Dopo aver rilevato che i sovietici «hanno allargato l’applicazione della ’teoria della sovranità limitata’ dalla loro ’comunità di nazioni’ a un paese non allineato e islamico del Terzo mondo», la dichiarazione di Pechino continua osservando che è assurdo pretendere, come fa l’URSS, che la sua azione sia stata Intrapresa «per aderire a quanto previsto dal trattato dl amicizia con l’Afghanistan e su richiesta del governo afghano». «Questa logica degli aggressori non può ingannare alcuno, pur se merita di essere attentamente valutata. Con le sue azioni l’Unione Sovietica dimostra di essere pronta a invadere e occupare qualsiasi paese» (dal Corriere della Sera)
VIENNA — Il presidente romeno Nicolas Ceausescu si è dissociato dall’intervento sovietico in Afghanistan e ha riaffermato la validità dei principi della non ingerenza e del non ricorso alla forza come criteri fondamentali delle relazioni internazionali. In un discorso al corpo diplomatico straniero accreditato a Bucarest, Ceausescu non ha menzionato esplicitamente l’Afghanistan, ma l’allusione è stata capita da tutti quando ha affermato: «Ci auguriamo che in tutte le regioni del mondo si adotti una politica di moderatezza, e che finisca ovunque il ricorso alla forza e agli interventi militari in modo che venga finalmente rispettato il diritto dei popoli all’indipendenza». Ceausescu ha detto che se si facesse un sondaggio demoscopico su scala mondiale, «più dell’ottanta per cento» della popolazione del pianeta si pronuncerebbe per il disarmo, per la non ingerenza e per la pace. Ceausescu non ha imitato i suoi colleghi degli altri stati del patto di Varsavia che hanno inviato telegrammi di felicitazioni al nuovo leader afghano Karmal. Lo hanno fatto il magiaro Kadar e il bulgaro Zivkov e i loro giornali hanno elogiato «l’aiuto internazionalistico» dei sovietici. Altro linguaggio è usato dal giornale di Tirana «Zeri i Popullit», che ha definito l’impresa sovietica «un atto aggressivo e fascista dei socialimperialisti dell’URSS». Il giornale del PC albanese ha scritto che «anche i popoli dell’Iran e di tutto il medio oriente devono stare in guardia davanti alle azioni e ai trucchi dell’imperialismo americano e del socialimperialismo sovietico»
ISLAMABAD — L’intervento militare sovietico in Afghanistan è motivo di «gravissima» preoccupazione per il governo del Pakistan il quale in un comunicato rilasciato ieri sottolinea le ripercussioni che la presenza dei soldati russi potrà avere sulla pace internazionale. Il documento chiede altresì a Mosca di ritirare immediatamente le sue truppe. «Il governo del Pakistan considera con la più grave preoccupazione i recenti sviluppi afghani e ritiene che l’intervento sovietico nel vicino paese costituisca una grave violazione delle norme della coesistenza pacifica». Dopo aver ricordato i tre colpì dl Stato succedutisi in Afghanistan negli ultimi due anni la nota aggiunge: «Il governo del Pakistan considera questo sviluppo con la più grave preoccupazione, preoccupazione che è tanto più profonda dal momento che il Paese soggetto all’intervento militare è un paese Islamico, un nostro vicino immediato, un paese che fa parte della conferenza islamica e del movimento dai non-allineati» «L’ingresso di truppe straniere allo scopo dl determinare l’esito dell’attuale crisi interna afghana costituisce un ulteriore aggravamento della situazione ed è destinato a prolungare l’agonia del popolo afghano al quale il Pakistan è unito da legami indissolubili di storia, fede e cultura».
Entro la metà del gennaio 1980 i centri principali dell’Afghanistan erano in mani sovietiche: l’esercito afghano oppose una resistenza debole e disorganizzata, e la 40ª Armata, cresciuta fino a 81.800 unità, registrò perdite irrisorie; a Kabul il neo presidente Karmal, portato in volo nella capitale dai sovietici, proclamò la caduta del regime di Amin e la formazione di un nuovo governo. (wikipedia)
Una divisione dei «berretti azzurri» (10 mila uomini), le forze speciali dell’URSS, ha sferrato un’offensiva contro le principali roccaforti dei guerriglieri musulmani che si oppongono al regime marxista dell’Afghanistan. Le truppe sovietiche attaccano appoggiate da mezzi corazzati e dai modernissimi elicotteri da combattimento «MI 21», l’equivalente dei «Cobra» americani. Sanguinosi scontri sono in corso in tutto II Paese e le testimonianze di quanti sono riusciti a lasciare Kabul sono drammatiche: i morti sono già migliala. Soltanto nelle prime 48 ore dopo il colpo di stato che ha portato al potere Barbak Karmal, sono stati uccisi tremila sostenitori del presidente Amin, deposto e giustiziato.Mentre le truppe sovietiche stanno soffocando le sacche di resistenza dei guerriglieri islamici afghani, e in tutto il mondo crescono le apprensioni suscitate da questo massiccio intervento militare, nell’Iran è stato scoperto e sventato ieri pomeriggio un complotto contro il segretario delle nazioni Unite Kurt Waldheim, che è a Teheran per cercare di risolvere la vicenda degli ostaggi americani. L’annuncio è stato dato dallo stesso ministro degli esteri Iiraniano Gotzadeh, il quale ha in tal modo spiegato perché era stato improvvisamente sovvertito tutto il programma di incontri di Waldheim, che nel pomeriggio era rimasto in albergo «per motivi di sicurezza». Contro il segretario dell’ONU c’era stata anche una manifestazione ostile di un migliaio di studenti (dal Corriere della Sera del 3 gennaio).
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