• Il re e la regina di Napoli, assediati a Gaeta, ricevono i tradizionali auguri di Capodanno dagli ufficiali in alta uniforme. Cerimonia ricca e fastosa, nonostante la guerra.
Da Napoli il generale Enrico Morozzo della Rocca, comandante dell’esercito nell’ex Regno delle Due Sicilie, «mentre incita Farini a chiedere al governo l’invio urgente di truppe (“almeno una brigata”, lo previene che “quantunque non si debba credere facilmente a tutte le dicerie che corrono per la città, pure gli è necessario di ammettere la possibilità di una grave reazione”. Intanto “sicure informazioni” indicano che il principe don Luigi, conte di Trani, alla guida di corpi svizzeri usciti da Gaeta e con altri mercenari tedeschi, austriaci e spagnoli è in procinto di passare il confine per marciare su Sora, Avezzano e San Germano […] Intanto sono arrestati sei generali borbonici, tutti piuttosto noti: Ruggiero, Palmieri, Polizzy, i due Marra, Barbalonga e altri ufficiali. L’iniziativa è della polizia, il che dà luogo a violenti contrasti di competenza col comando militare. Tutti si proclamano innocenti (della Rocca a Cavour: “più o meno essi sono tutti colpevoli”)» [Pier Giusto Jaeger, L’ultimo re di Napoli, Mondadori, 1982].
• Il ministro degli esteri francese Thouvenel scrive all’ambasciatore di Francia a Roma, di Grammont, che il termine per l’armistizio che si sta trattando per Gaeta, sarebbe il 19: «L’imperatore ha pensato che non bisognava che le elezioni italiane si facessero sotto l’inspirazione di un sentimento ostile alla Francia e che farebbe buon giuoco ai garibaldini ed ai mazziniani.» (Comandini)
«L’8 gennaio, il giorno prima della tregua, allo scopo di dimostrare la sua potenza, il Cialdini ordinò di effettuare un micidiale bombardamento. Per tutto il giorno caddero su Gaeta quasi 8.000 bombe che, tuttavia, produssero pochi danni materiali: gli assediati ebbero sette morti e 20 feriti. Anche la nostra artiglieria fece la sua parte con un terribile fuoco di controbatteria, che causò tra i piemontesi solo 2 morti e 24 feriti. L’effetto demoralizzante che Cialdini voleva procurare negli assediati fu in pratica nullo. Cessato il bombardamento, il capo di stato maggiore francese, l’ammiraglio Tinan, si recò da Francesco II accordandosi per una sospensione delle ostilità e con lo scopo di trattare un armistizio. Le clausole proposte dall’ammiraglio Tinan, che prevedevano tra l’altro un controllo nel campo piemontese da parte francese, furono però violentemente contrastate dal Cialdini e ciò permise, durante la tregua, agli assedianti di rinforzare notevolmente (ed impunemente) i lavori d’assedio che erano espressamente vietati dagli accordi» (Antonio Pagano).
• Cavour scrive da Torino al generale Della Rocca a Napoli: «Dopo infinite pratiche sono giunto ad intendermela coll’Imperatore (Napoleone III). Tutta la flotta (francese) partirà (da Gaeta) il 19; ed il 20 saremo liberi di attaccare la piazza per terra e per mare.» (Comandini)
• Alle 7 ant. apresi dagl’italiani fuoco generale, da dieci batterie, contro Gaeta; i borbonici rispondono e dura il cannoneggiamento fino alle 17: i borbonici hanno 30 morti; fra i piemontesi 2 morti e 3 feriti. A mezzogiorno il capo dello Stato Maggiore della squadra francese è disceso a terra ed ha proposto a Francesco II a nome di Napoleone III una sospensione del fuoco per trattare armistizio. Il re acconsente. D’altra parte Cialdini risponde che non accetta garanzie, ma sospende il fuoco per dieci giorni (Comandini)
• In sostituzione del vice governatore comandante provvisorio, brigadiere Marulli, il tenente generale Ritucci è nominato governatore di Gaeta (Comandini)
• I cannoni borbonici a Gaeta sospendono il fuoco contro le posizioni piemontesi (Comandini)
• Il principe di Carignano, proveniente da Genova, scende a Mola di Gaeta e visita le opere militari apprestate dall’esercito piemontese contro Gaeta (Comandini)
• A Gaeta Francesco II accompagnato dalla regina Sofia passa in rivista le truppe, annuncia loro che la lotta sta per ricominciare e lascia libero chi voglia di andarsene; un 130 uomini e 3 ufficiali dichiarano di partire; restano col re un 8.600 uomini (Comandini)
• Ordine del giorno del gen. Cialdini alle truppe assedianti Gaeta per chiarire loro il significato dell’armistizio fino al 19. [Comandini]
• Una parte della squadra francese lascia le acque di Gaeta (Comandini)
• Il nunzio pontificio con altri membri del corpo diplomatico accreditato presso Francesco II partono da Roma per Gaeta, per fare gli auguri al re borbonico per il suo genetliaco (Comandini)
«Il 16 gennaio fu festeggiato in Gaeta il compleanno di Francesco II e vi fu anche una parata militare. Presenziarono alla cerimonia i diplomatici stranieri accreditati, venuti per l’occasione a Gaeta. Le navi francesi e spagnole spararono una salva di 21 colpi. Nel duomo, tra le macerie, venne anche intonato il Te Deum. Alcuni diplomatici restarono nella Fortezza assediata per soddisfare il desiderio del Re, ma i restanti se ne tornarono a Roma. Il Cavour, intanto, sempre uniformandosi segretamente alle direttive inglesi, si accordò definitivamente con Napoleone III per far ritirare il giorno 19 la flotta francese da Gaeta, nonostante le pressioni contrarie di Austria, Prussia e Russia. Prezzo del ritiro fu la cessione alla Francia dei comuni di Mentone e Roccabruna [...]. La partenza della flotta francese, intanto, aveva lasciato Francesco II nello sconforto» (Antonio Pagano)
• A Gaeta il re Francesco II riceve i ministri di Austria, Baviera e Sassonia, l’incaricato di Toscana ed il nunzio pontifìcio, tornati da Roma (Comandini)
Nel Moniteur di Parigi di questa mattina leggesi: «L’invio di una squadra francese dinanzi a Gaeta aveva per iscopo di dare una testimonianza di simpatia ad un principe messo crudelmente alla prova dalla fortuna». L’Imperatore, fedele al principio del non-intervento, non ebbe mai l’intenzione di pigliare parte attiva alla lotta; col prolungarsi, la dimostrazione cambiava carattere, e diventava un incoraggiamento alla resistenza, un appoggio materiale. «Importava mettere un termine a questo stato di cose. Noi non potevamo assistere con indifferenza ad una lotta che doveva soltanto riuscire ad una maggiore effusione di sangue. «Per consiglio della Francia le ostilità furono sospese sino al 19, nel qual giorno il vice-ammiraglio Le Barbier de Tinan si allontanerà da Gaeta.» (Comandini)
«Mentre il vapore francese Dahomey lascia il porto di Gaeta, diretto a Messina con seicento tra donne e bambini, una nave piemontese con bandiera bianca entra nel porto con il generale Menabrea ed il colonnello Caselli per trattare un ulteriore accordo di resa. La richiesta di resa viene respinta e il Cialdini dichiara lo stato di blocco navale del porto [...] La sera la flotta piemontese di Persano si posizionò nel golfo di Gaeta, che restò del tutto isolata dal mondo» (Antonio Pagano).
• In Gaeta l’ammir. francese Le Barbier de Tinan fa visita di congedo al re, alla regina ed alle suore dell’ospedale. (Comandini)
Da Gaeta nota del gen. Casella ministro degli esteri di Francesco II, per spiegare le ragioni per le quali il re delle Due Sicilie non ha accettato di venire a trattative. I rappresentanti degli Stati alleati ed amici di Francesco II sono invitati a rimanere presso di lui a Gaeta. (Comandini)
• Proveniente da Napoli la squadra piemontese (Maria Adelaide, Vittorio Emanuele, Carlo Alberto Costituzione e Monzambano) arriva alle 4 p. a Mola di Gaeta (Comandini)
• Decreto di Francesco II da Gaeta nomina colonnello di fanteria il capitano don Giuseppe Govane della gendarmeria reale e «comandante attuale della piazza di Civitella del Tronto in ricompensa dell’eroica difesa che esso sostiene in questo forte con deboli mezzi.» (Comandini)
• Il Monzambano va a Gaeta a notificarvi il blocco effettivo (Comandini)
• Partono da Gaeta per Roma i ministri plenipotenziari di Russia, Prussia e Portogallo. Restano a Gaeta quelli d’Austria, Spagna, Baviera e Sassonia (Comandini)
• Oggi parte l’ultimo legno francese da Gaeta (Gazzetta ufficiale del Regno).• Il vapore francese Sphynx ha sbarcato nella notte 1.500 balle di farina (Antonio Pagano).• Il giorno 21 il giornalista francese Garnier, che molto aveva contribuito al mito dell’ "eroina di Gaeta", cioè la regina Maria Sofia, descrivendone le gesta sul "Journal" di Parigi, insieme agli altri stranieri ospitati nella casamatta della batteria Regina fece celebrare al santuario della Montagna Spaccata una messa propiziatoria in memoria di Luigi XVI di Francia. Napoleone III, intanto, impedí che fossero acquistati, da emissari duosiciliani, dei cannoni rigati richiesti al Belgio» (Antonio Pagano) • Da dicembre «il comandante degli assedianti piemontesi disponeva di 166 cannoni rigati, dal tiro molto preciso, alcuni dei quali riuscivano a bombardare fino a 4.600 metri (quindi potevano colpire senza essere colpiti), mentre il comandante duosiciliano non disponeva che di quattro cannoni rigati; il resto delle artiglierie funzionanti era formato da circa 300 vetusti cannoni distribuiti in otto batterie, tra le quali le piú importanti erano denominate Torre d’Orlando, Transilvania, Trinità, Regina e Philipstadt. I quattro cannoni rigati erano stati preparati ingegnosamente dal colonnello d’artiglieria Afán de Rivera, adattando una macchina per fabbricare viti» (ibid).
• Entra in porto a Civitavecchia il vapore Sphynx delle Messaggerie francesi, proveniente da Marsiglia, dove aveva caricato viveri e munizioni da guerra che la sera del 20 alle 21.30 andò, eludendo il blocco, a scaricare a Gaeta, di dove uscì, a lumi spenti la sera del 21 (Comandini)
• A sera la fortezza di Gaeta riprende il bombardamento, ma le batterie italiane la fanno presto tacere. Oggi nei lavori di trincea è stato mortalmente colpito il capitano Pompeo D’Oria, genovese; feriti il tenente Amodeo e quattro soldati • «La sera del 24 si ebbe ancora una violentissima e molto precisa azione della nostra artiglieria sulle piú avanzate trincee piemontesi, che dovettero essere abbandonate. Intanto vi fu anche un’azione partigiana ad Arquata, dove addirittura una compagnia piemontese fu annientata» (Antonio Pagano) (Comandini)
• A Mola di Gaeta un avviso da guerra francese reca al gen. Cialdini un dispaccio di Napoleone III con un altro aperto dell’imperatore a Francesco II cui consiglia di andarsene e risparmiarsi l’umiliazione di una capitolazione; e mette per ciò a sua disposizione il vapore la Mouette. Il Monzambano va a recare il messaggio imperiale a Gaeta (Comandini)
• II generale Cialdini comandante l’assedio di Gaeta visita nella notte accompagnato dai generali dell’artiglieria, Valfrè di Bonzo, e del genio, Menabrea, i lavori di trincea eseguiti dal genio, quelli della batteria Albano e del Monte Atratino • « Il 27 gennaio il ministro della Marina francese telegrafò al Ritucci, che aveva assunto il comando della Piazza di Gaeta, che la nave francese Mouette, già ancorata nel porto di Napoli, era stata messa a disposizione dei Reali per qualsiasi necessità. Gaeta, nel frattempo, era continuamente bombardata con una media di circa cinquecento colpi il giorno. Alle poche vittime delle bombe, si aggiungevano le moltissime causate dal tifo. Ma nel giorno di carnevale la truppa volle festeggiare lo stesso con maschere, balli e canti. Una strana processione si recò verso la casamatta dei Sovrani, dove fu improvvisata una vorticosa tarantella, mentre la Regina batteva le mani divertita» (Antonio Pagano) (Comandini)
• In Gaeta oggi resta ferito mortalmente monsignor Crivesolo, rettore del Seminario; sono pure feriti il curato della cattedrale ed un altro religios (Comandini)
• A Gaeta il tiro delle batterie piemontesi fa saltare in aria un magazzino di polvere presso la cittadella • «A Gaeta i tiri delle batterie piemontesi diventavano di giorno in giorno piú precisi, probabilmente perché alcuni traditori avevano indicato la posizione dei depositi delle polveri. Il 4 febbraio fu centrata la polveriera Cappelletti e fu evitato, per il coraggioso intervento dell’artificiere Chiapparelli e del marinaio Feduce, che un incendio facesse saltare la polveriera Transilvania» (Antonio Pagano) (Comandini)
• A Gaeta verso le 16.30 i tiri dei cannoni piemontesi fanno scoppiare nella piazza un altro grande magazzino di polvere. La cortina tra la cittadella ed il bastione Sant’Antonio sono in parte rovesciati. Periscono 216 borbonici, e 64 sono feriti. Fra, i morti il ten. gen. Traversa, direttore generale del genio: sepolti sotto le rovine delle case un cento cittadini • «Il pomeriggio del 5 febbraio, alle ore 19.00 circa, un colpo centrò in pieno il deposito munizioni della Cortina di S. Antonio che conteneva sette tonnellate di polvere e 40.000 cartucce. Saltò in aria l’intero bastione, aprendo un cratere di oltre quaranta metri. Vi morirono 316 militari e piú di 100 civili. Tutta Gaeta fu coperta dal fumo e si udirono da tutte le parti grida disperate. Contemporaneamente, mentre si estraevano dalle macerie i morti ed i feriti, i piemontesi continuarono piú intensamente il fuoco, concentrando vilmente i tiri proprio sulla zona dell’esplosione, causando altre vittime. Anche la flotta del pusillanime Persano volle partecipare alla mattanza con tiri ravvicinati, ma senza alcuna efficacia, perché fu tenuta a distanza dalla risposta degli assediati. Il bombardamento proseguí tutta la notte, con il lancio di circa 600 proiettili ogni ora» (Antonio Pagano) (Comandini)
• Da Gaeta un parlamentario borbonico presentasi a chiedere a Cialdini 48 ore di armistizio, che sono concesse a patto che i borbonici non riparino le loro difese • «Il 6 febbraio fu concordata una tregua di 48 ore per seppellire i morti ed evacuare 200 soldati tra malati e feriti, che furono imbarcati il giorno dopo su due vapori piemontesi. Il Ritucci convocò in quel giorno il Consiglio di Difesa, cui parteciparono 31 ufficiali superiori, tra i quali gli svizzeri Wieland e d’Auf de Mauer, il generale Pelosi, Sanchez de Luna, Marulli, Bosco, Rodrígo Afan de Rivera e Riedmatten. Il responso fu che la Fortezza poteva ancora resistere, ma solo per breve tempo, date le condizioni sanitarie e le inumane fatiche cui erano sottoposte le truppe» (Comandini)
• Per tregua convenuta due vapori piemontesi recansi a Gaeta a caricare 200 malati e feriti, ma più tardi il gen. Cialdini essendosi accorto che i borbonici, mancando alla parola data, riparavano la breccia nella cortina, rompe ogni comunicazione, avvisando che domani riattaccherà. Ciò nonostante i 200 feriti trasportati fuori di Gaeta, sono collocati in una caserma di cavalleria a Castellone. (Comandini)
• A Cialdini presentasi un parlamentario a chiedere il prolungamento dell’armistizio, per quindici giorni, durante i quali trattare la resa; ma Cialdini risponde che si può trattare la resa anche continuando le ostilità (Comandini)
• A Gaeta Francesco II fa adunare consiglio militare per discutere se si possa ancora prolungare la resistenza, o no. Deliberasi di resistere ancora (Comandini)
• Il segretario dell’ambasciata francese a Roma, De Piennes, presentasi, venendo da Terracina, agli avamposti piemontesi; è ricevuto cortesemente da Cialdini, che dirigelo a Persano, che gli dà di malavoglia un canotto, che portalo ad altro canotto napoletano sotto Gaeta, mentre attorno cadono proiettili piemontesi; in breve è a Gaeta, prontamente ricevuto dal re e dalla regina, alla quale rimette lettera dell’Imperatrice Eugenia: trattenutosi un’ora e mezza, ritorna poi al quartiere generale di Cialdini; e passa la notte a Mola di Gaeta • «Il 9 febbraio il bombardamento riprese con piú violenza e precisione. Cadevano ad uno ad uno: casematte, magazzini, depositi e riservette, quasi come se si sapesse esattamente dove mirare. Un incendio scoppiato davanti alla polveriera del bastione Annunziata fu coraggiosamente spento da due artiglieri, Barrecchia e Pettorelli. Il tenente d’artiglieria Savio, morto mentre puntava un cannone, fu sostituito immediatamente dal fratello, che subito dopo cadde anche lui. Una fregata piemontese tentò ancora una volta di cannoneggiare attraverso il bastione saltato, ma fu messa in fuga dal preciso tiro delle nostre batterie» (Antonio Pagano) (Comandini)
• Il segretario dell’ambasciata francese De Piennes, da Mola di Gaeta va a Terracina e torna a Roma (Comandini)
• Francesco II, considerando che l’onore militare è più che soddisfatto, che non vi sono da sperare soccorsi, che in Gaeta infierisce il tifo, delibera che siano iniziate le trattative per la resa • «Il giorno 10 giunse alla Regina Maria Sofia una lettera dell’imperatrice francese, che in termini molto affettuosi le consigliava di cedere ormai a quella resistenza senza speranza» (Antonio Pagano) (Comandini)
• Il ten. col. Franci mandato dal gen. Ritucci a Cialdini, offre trattative di resa; ma Cialdini non volendo sospendere le ostilità, Ritucci dimettesi da comandante di Gaeta e gli è sostituito Milon • «Il giorno 11 il Re, convintosi dell’impossibilità di ricevere aiuti internazionali, riuní lo Stato Maggiore per decidere sulla capitolazione, ma non tutti erano d’accordo. Fu, in ogni modo, incaricato il tenente colonnello di Stato Maggiore Delli Franci di sondare, durante il trasporto di altri malati di tifo fuori di Gaeta, la disponibilità del Cialdini. Costui, dopo essersi consultato via telegrafo col Cavour, raggiunse un primo accordo per la cessione della Fortezza dopo la partenza dei Sovrani. In questo giorno scoppiò nella fortezza un altro deposito di munizioni, con minore intensità con sole 120 bocche da fuoco» (Antonio Pagano) (Comandini)
• Ordine del giorno del re Francesco II ai difensori di Gaeta preannunzia loro la resa della fortezza, il suo distacco da loro, e promette che farà loro distribuire una «medaglia commemorativa del loro valore • «Quando iniziarono le trattative, il Cialdini, per affrettare i tempi, accelerò il volume di fuoco su Gaeta, facendo altre vittime. Nella notte tra il giorno 11 ed il 12, inoltre, fece scatenare un inferno di fuoco grazie alle nuovissime batterie molto precise da poco ricevute, posizionate alla Torre Viola, all’Atratina e ai Cappuccini» (Antonio Pagano) (Comandini)
• D’ordine di Francesco II, pur continuando il fuoco, i brigadieri Antonelli e Palca e il ten. col. Franci recansi a Mola e col gen. Menabrea ed il colon. Piola-Caselli cominciano le trattative per la resa di Gaeta (Comandini)
• A Roma il Comitato nazionale lancia un foglietto annunziante la resa di Gaeta Grande animazione: affollansi il Corso e Piazza del Popolo. A sera un fuoco di bengala tricolore dall’alto dell’obelisco di Piazza del Popolo dà luogo ad una clamorosa dimostrazione patriottica. Le pattuglie francesi sono applaudite, i gendarmi pontifici fischiati. Verso le 9 all’invito di gendarmi francesi la dimostrazione si dilegua (Comandini)
• A Messina arrivata nella notte sopra oggi la notizia della resa di Gaeta i cittadini sorgono a fare festosa dimostrazione. Il gen. Chiabrera rivolge loro patriottiche parole; e contemporaneamente manda per mezzo del maggiore Verani formale intimazione di resa ai maresciallo borbonico Fergola, comandante la cittadella, il quale verbalmente risponde che Messina non è legata a Gaeta e che per ciò resisterà fino all’ultima estremità (Comandini)
• A Gaeta generali e truppe napoletane, capitolati, sono imbarcati per Napoli ed isole circostanti (Comandini)
• A sera arriva a Torino il generale Menabrea latore dell’atto di capitolazione della fortezza di Gaeta (Comandini)
• In seguito alla dimostrazione del 14 per Gaeta sono esiliati da Roma entro le 24 ore quattordici cittadini, e cioè Angelo Tittoni, cav. Bartolomeo Polverosi, cav. Pietro Camporese, Pietro e Luigi Gulmanelli, Girolamo Sellini, Augusto Lorenzini, Francesco Del Nero, quattro Fedeli, Angelo Bertini, Ciriaco Baldelli (Comandini)
Scrive la Gazzetta di Genova in una corrispondenza da Gaeta: «Tutte le strade sono ingombre di rottami e di macerie delle case percosse e rovinate dalle palle di cannone e dallo scoppio delle bombe, in guisa che difficilmente vi si può camminare. Si vedono qua e là abbandonate le barelle che portavano testè cadaveri sfracellati o, per meglio dire, brani di corpi umani raccolti in mezzo a tante rovine». [G. Ge. 19/2/1861] Fonti: Gazzetta di Genova (G.Ge); Gazzetta del Popolo, Torino (G.Po.); Gazzetta Ufficiale del Regno, Torino (G.Uff); Mondo illustrato (M.Ill); L’Opinione, Torino (Op.); La Perseveranza, Milano (Per.); Antonio Caprarica, C’era una volta in Italia, Sperling & Kupfer-Rai, Milano 2010
• Davanti a Gaeta è celebrata solenne messa funebre. Cialdini emana ordine del giorno che onora, i caduti di una parte e dell’altra (Comandini)
• Il gen. Chiabrera a Messina fa sapere al gen. Pergola, comandante borbonico della cittadella, a nome del gen. Cialdini, che il governo italiano è disposto a concedergli capitolazione conforme a quella di Gaeta; se no sarà poi costretto ad arrendersi a discrezione (Comandini)
• In Napoli il Giornale Ufficiale pubblica l’atto di adesione della città e borgo di Gaeta al governo di Vittorio Emanuele II (Comandini)
Mentre le artiglierie piemontesi del generale Cialdini intimano la resa alla Cittadella di Messina, ancora in mano borbonica, il Comune di Gaeta, in data odierna, scrive al Governo di Torino. Gli chiede di provvedere ai danni di guerra patiti durante l’assedio che l’isola ha subito dai Piemontesi, quando Re Francesco II delle Due Sicilie si è arroccato con 22 mila uomini fra le sue mura. Per 102 giorni, dal 12 novembre 1860 fino al 13 febbraio 1861, il «Quartiere vecchio di Gaeta» è stato sottoposto a un diluvio di cannonate, 500 al giorno, scatenate da un presidio di 18 mila soldati sabaudi, armati di 42 batterie. Il fuoco è finito quando Francesco II il 14 febbraio 1861 ha accettato di lasciare l’isola sulla nave francese La Mouette, per chiedere asilo politico allo Stato della Chiesa. Secondo il Municipio di Gaeta durante i combattimenti sono stati uccisi 2 mila civili e sono state distrutte o lesionate 109 case su 2490. Dal 18 febbraio Gaeta ha chiesto di far parte del Regno d’Italia. Desidera ora giustizia e aiuto, «considerando che il diritto ad essere tutti compensati trova la sua naturale ragione nelle leggi eterne della giustizia umana, ed ora tanto più che veglia alla sorte degl’Italiani un governo libero, che in queste Province meridionali ha assunto l’impresa saggissima di riparazione e nella quale non possono andar esclusi 18 mila cittadini mandati a rovina e miseria». Ma l’istanza rimarrà a lungo priva di risultati (MAURIZIO LUPO, La Stampa 28/2/2011).
«Molti cittadini, curiosi ed eccitati, partono, soprattutto dalla vicina Napoli ma anche dalle più varie contrade d´Italia, per visitare le rovine della ex piazzaforte di Gaeta. Non esiste spettacolo più evidente del dramma e della gloria che attraversano la penisola. Poche, nella città marinara, sono le abitazioni rimaste intatte. Le strade, ostruite dalle macerie, risultano per lo più impraticabili. Giacciono in rifugi improvvisati centinaia di malati di tifo; chi può, va a farsi ricoverare negli ospedali di Maddaloni, Santa Maria Capua Vetere, Aversa. L’epidemia era scoppiata prima della capitolazione. Adesso pare dilatarsi. Impressionano le notizie che filtrano dalla postazione di Mola, a ridosso della celebre fortezza, storicamente al centro di tanti assedi: ora che le armi tacciono, la forza dei numeri testimonia le dimensioni di un evento di cui non è facile perdere la memoria per chi vi ha operato o l´ha subito. Nel racconto dei superstiti, uomini e materiali diventano numeri: le truppe dei difensori, fatte prigioniere di guerra, ascendono a circa 11 mila effettivi. Pare siano circa settecento i pezzi d´artiglieria media o pesante trovati abbandonati. Sessantamila i fucili. Di ventotto generali che si trovavano nella Piazza al momento della resa, tre sono partiti due settimane fa al seguito di Francesco II, venticinque figurano tra i prigionieri. Durante il blocco della roccaforte le batterie degli assedianti esplosero 55 mila colpi d´artiglieria e bruciarono 190 mila chilogrammi di polvere. Ma è impossibile giurare che i calcoli riescano esatti, o anche appena sensati. Non manca sul posto qualche notabile istruito che, consentendosi un parallelismo altisonante, paragoni Gaeta alla ucraina Sebastopoli, sinonimo della più epica resistenza praticata in una guerra, e cimelio del recente conflitto di Crimea. Nel ricordo dell’assedio, che sta diventando un mito benché dolente (e perciò, forse, più suggestivo), domina la figura della Regina, Maria Sofia - Pussi, nel soprannome domestico - l´adolescente sconfitta, la moglie mitteleuropea di un re forse esageratamente tacciato di ignavia» (Nello Ajello).
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