Funzionari del Dipartimento di Stato hanno annunciato oggi che la Persia ha comunicato il suo desiderio di accettare il prestito di 25 milioni di dollari da parte della Export-Import Bank. Quando lo scorso settembre si iniziarono le conversazioni, funzionari persiani e la stampa di Teheran espressero il proprio rammarico perché il prestito era inferiore a quelli che gli Stati Uniti avevano concesso ad altri Paesi minacciati dal comunismo. Oggi invece il capo dell’ufficio stampa del Dipartimento di Stato ha dichiarato che il Primo ministro persiano Mossadeq ha fatto sapere al Governo degli Stati Uniti, tramite l’ambasciatore Grady, che ora l’ Iran accetta il prestito.
Il Primo ministro persiano, dott. Mossadeq, in un discorso alla radio, ha rivolto ieri sera un appello al suo popolo perché sottoscriva entro i prossimi due mesi un prestito nazionale di dieci milioni di dollari, destinato a fornire allo Stato i mezzi finanziari di cui oggi esso difetta per la perdita dei redditi del petrolio. Dopo una burrascosa seduta a porte chiuse, il Senato ha invitato iersera Mossadeq e i membri del Governo a una riunione segreta da tenere oggi per spiegare il prolungarsi della crisi petrolifera che aggrava la situazione del Paese. Continuano, frattanto, i negoziati tra Mossadeq e la Banca Mondiale sulla proposta della Banca stessa per un finanziamento dell’industria dei petroli persiani. Pare che il Governo dell’ Iran sia interessato alla proposta, ma non si pronunci definitivamente per tenere alto il più possibile il prezzo di vendita del petrolio.È stato confermato ieri che una settimana fa il Primo ministro Mossadeq aveva deciso di rassegnare le dimissioni per l’ostilità della madre dello Scià al suo Governo. Il fatto sarebbe accaduto il 16 dicembre, allorché Mossadeq convocò il ministro di corte per comunicargli che aveva deciso di rassegnare le dimissioni lanciando nel contempo un radio-messaggio al popolo. In quella occasione egli accusò la regina madre di avere rapporti troppo stretti con l’ex-Premier Ahmad Qavan che nella stampa d’opposizione era stato menzionato quale probabile successore di Mossadeq. Dopo dodici ore di negoziati, comunque, il Premier rinunziò ai suoi battaglieri propositi.
Il governo italiano ha perfezionato gli accordi per il rimborso dell’ultimo prestito, pari a 342 milioni di dollari, ottenuto dal Fondo monetario internazionale. La somma era stata accordata all’Italia per il finanziamento delle importazioni petrolifere. La notizia è stata confermata da fonti ufficiali durante la visita del ministro del Tesoro Pandolfi a Washington. Nella capitale statunitense Pandolfi ha avuto un colloquio con Jacques de Larosière, direttore del PRO. La produzione industriale, ha sottolineato il ministro del Tesoro, si mantiene a «livelli positivi», grazie anche «alla vitalità delle piccole e medie industrie». Il tasso d’ inflazione rimane invece a livelli preoccupanti, intomo al 15-16%.
ROMA — Il tasso ufficiale di sconto (cioè il tasso d’interesse al quale la Banca d’Italia effettua prestiti al sistema bancario) e l’interesse sulle anticipazioni in conto corrente a scadenza fissa presso l’Istituto è stato aumentato dal 10,50 al 12 per cento. Rimangono invariate le maggiorazioni già in vigore. Il decreto di aumento, stabilito dal ministero del Tesoro su proposta del governatore della Banca d’Italia, è stato pubblicato ieri sulla «Gazzetta Ufficiale» e ha dunque decorrenza immediata. Timori di recessione. La decisione presa dalle autorità monetarle, ormai da alcuni giorni nell’aria, costituisce un «segnale» importante: la situazione congiunturale che aveva permesso il 4 settembre 1978 di abbassare di un punto il tasso di sconto e di mantenerlo immutato nei 12 mesi successivi è oggi profondamente diversa. Tassi di sconto nel mondoItalia 12 Belgio 10 Francia 9,5 Germania Fed 5 Giappone 5,25 Olanda 8 Regno Unito 14 Usa 11
WASHINGTON — Nell’Intento di frenare la spinta inflazionistica, la Federai Reserve ieri sera ha annunciato un aumento dell’1 per cento (dall’11 al 12) del tasso di sconto e alcune misure restrittive par il credito. Il presidente della Federai Reserve, Paul Volcker, ha detto che tali misure mirano a lottare contro l’estensione eccessiva della massa monetaria.
L’inevitabile rincaro del costo del denaro è stato deciso ieri dal comitato esecutivo dell’ABI (Associazione Bancaria Itallana) che era già stato convocato in precedenza per discutere problemi di organizzazione interna dell’associazione. Dopo l’aumento del tasso di sconto i rappresentanti degli istituti di credito hanno deciso di dedicare quasi interamente la seduta di ieri al problema dei tassi. Dopo una prima valutazione degli ultimi avvenimenti, il comitato esecutivo ha deliberato di elevare dal 15 per cento al 16,50 per cento il "prime rate" applicabile ai crediti in bianco utilizzabili in conto corrente, "ferma restando la consueta commissione sul massimo scoperto". Dallo stesso giorno verrà aumentato dal 14,50 al 16 per cento il "prime rate" applicabile alle altre operazioni effettuabili con particolari forme tecniche: a favore delle esportazioni, sconto di portafoglio, conti correnti garantiti, eccetera.
Nel comunicato che il Vaticano ha scritto alla fine del concistoro si affrontano i problemi finanziari della Santa Sede. «Il considerevole deficit emergente ogni anno di più (per l’anno 1979 è previsto intorno ai 17 miliardi di lire, pari a circa 20 milioni 240 mila dollari Usa, con prevedibile aumento per il 1980) ha potuto essere coperto finora grazie alle offerte volontarie pervenute dal mondo cattolico, in particolare per "l’Obolo di San Pietro", in merito al quale è stato fornito agli eminentissimi cardinali un esatto, particolareggiato prospetto, per l’anno 1978, con riferimento anche alle cifre complessive degli ultimi anni precedenti». A tutto questo il concistoro aggiunge un amaro rilievo: «Se le spese — scrivono i porporati — continuassero ad aumentare con il ritmo presente (particolarmente per gli aumenti dell’inflazione e dei costi della vita) e le entrate permanessero nella misura attuale, la Santa Sede verrebbe nel giro di pochi anni a trovarsi in gravi difficoltà per poter adeguatamente provvedere al governo centrale della Chiesa e all’esercizio della sua missione di evangelizzazione e di carità. Essi pertanto, mentre hanno sottolineato la necessità che le spese siano per quanto possibile contenute, hanno insieme manifestato piena comprensione di un problema che è la volontà di essere fraternamente vicini al Santo Padre nel cercarne là soluzione». (dal Corriere della Sera)
Il saggio ufficiale di sconto, cioè il tasso al quale la Banca d’Italia presta denaro al sistema bancario, è stato aumentato dal 12 al 15 per cento. La decisione, annunciata improvvisamente ieri sera a testimonianza dell’urgenza con la quale il provvedimento si è reso necessario (solitamente esso viene preso a fine settimana quando i mercati valutari sono chiusi) avrà effetto da oggi. Il «taglio» alle forniture dall’Arabia Saudita ha fatto precipitare ieri pomeriggio una decisione che da tempo sembrava sempre più inevitabile a causa delle persistenti tensioni internazionali. Queste tensioni, ha fatto sapere ieri il Tesoro, si erano ulteriormente aggravate. Segno tangibile della crisi erano stati gli sforzi massicci che la Banca d’Italia è stata costretta a compiere per sorreggere il cambio della lira che scivolava progressivamente, seguendo quello del dollaro, su un piano inclinato rispetto alle valute forti dell’Europa (soprattutto marco e franco francese, giunti nei giorni scorsi ai massimi storici rispetto alla nostra moneta). Sebbene le nostre autorità abbiano da tempo deciso di agire sul costo del denaro con ritocchi ampi piuttosto che ridotti e molto frequenti, il balzo di tre punti indica che la crisi economica ha raggiunto un grado preoccupante di gravità. La caduta della lira ieri da 813 a 821 sul dollaro è stato l’ultimo campanello d’allarme. Il comunicato del ministero del Tesoro non nasconde le ragioni di questa dura decisione. «Le tensioni intemazionali e interne che avevano indotto ad aumentare dall’8 ottobre il tasso di sconto dal 10,50 al 12 per cento — dice il comunicato — si sono sensibilmente aggravate. Sul plano interno l’inflazione sta crescendo di intensità. I prezzi all’ingrosso dei manufatti sono cresciuti in dodici mesi del 18,4 per cento con una netta accelerazione nel periodo più recente. Analogo è l’andamento dei prezzi al consumo. Si tratta del tasso di inflazione più elevato fra quelli dei maggiori paesi industriali» (dal Corriere della Sera del 6 dicembre)
«ROMA — Da oggi il denaro prestato dalle banche costerà molto più caro: Intatti, il tasso di interesse minimo (prime rate), riservato alla clientela primaria (grandi imprese soprattutto) è salito dal 16.50 al 19.50% l’anno, livello eguagliato soltanto nel 1976. Ciò significa che la gran massa dei clienti “normali” pagherà interessi dal 20 al 25% almeno, a seconda della loro importanza e affidabilità. Questa impennata è stata decisa ieri dal comitato esecutivo dell’Associazione bancaria italiana (ABI) per adeguare il costo del credito al nuovo livello del tasso ufficiale di sconto (l’interesse, cioè, pagato dalle banche all’Istituto centrale per il risconto e le anticipazioni), che è stato aumentato nei giorni scorsi dal 12 al 15%» (dal Corriere della Sera).
La corsa dell’oro è diventata frenetica, la domanda, proveniente soprattutto dai Paesi mediorientali, si gonfia come un’onda di piena. La punta più alta di ieri è stata raggiunta a Zurigo (516-518 dollari-oncia) e a Francoforte (515) con aumenti rispettivamente di 3 e 6 dollari rispetto a giovedì. Londra ha chiuso a 512, un grammo d’oro in moneta italiana è costato 13.150 lire con punte di 13.480. Quelli toccati ieri sono stati gli ultimi di una serie di record susseguitisi rapidamente nella seconda metà del ’79: hanno consentito all’oro, che il 1° gennaio costava circa 227 dollari, di realizzare un aumento annuo del 127 per cento. In Italia l’aumento, sempre su base annua, è stato del 220 per cento. Le ragioni di questo eclatante fenomeno sono ricercate, dagli esperti, soprattutto nell’impennata del petrolio: oggi il prezzo del greggio è sempre più ancorato all’oro e sempre meno al dollaro. Se le cose stanno cosi andrebbe confutato il luogo comune che il rincaro dell’oro dipenda direttamente dalla perdita di valore del dollaro. La moneta americana, nel corso del 1979, si è deprezzata rispetto alla lira del 2,25 per cento, una percentuale inconfrontabile con quella dell’aumento, sempre in lire, del prezzo dell’oro.
In un anno le quotazioni di Borsa sono salite del 22%.
Il vulcano in attività che covava sotto le ceneri del 1979 è esploso proprio tra San Silvestro e le prime ore di oggi: il prezzo dell’oro è letteralmente «schizzato» verso l’alto, con un balzo del 12 per cento, passando dai 509 dollari di venerdì 28 dicembre ai 569 dollari per oncia alla riapertura dei mercati dopo i due giorni di festa, il che è equivalso in Italia ad un prezzo di 14.600 lire al grammo. L’argento non è stato da meno: 12 mesi fa veniva venduto a 5 dollari per oncia (circa 140 mila lire al chilo) e oggi è balzato ieri 39 dollari (1 milione e 30 mila lire al chilo). Che cosa è dunque accaduto di cosi drammatico nelle 48 ore a cavallo tra l’anno vecchio e quello nuovo da far saltare i sismografi della finanza internazionale? Sostanzialmente sono tre 1 fatti nuovi: uno politico-militare, uno economico e uno finanziario. 1 - La situazione sullo scacchiere intemazionale è peggiorata precipitosamente proprio nella regione — quella che va dalle frontiere iraniane alla penisola araba — considerata più critica per lo sviluppo dell’economia internazionale: è qui che si trova il 65 per cento del petrolio disponibile nel mondo non comunista. 2 - Il prezzo medio del barile di petrolio prodotto dall’OPEC è salito di oltre il 25 per cento rispetto all’ultimo trimestre del 1979 in virtù dei forti rincari che Nigeria, Algeria, Libia, Kuwait, Irak, Iran e Venezuela hanno applicato con decorrenza 1 gennaio 1980. I greggi più pregiati saranno venduti a 35 dollari per barile, il che equivale ad un prezzo rincarato del 145 per cento rispetto alla fine del 1978. Sono aumenti suscettibili di ulteriori variazioni senza preavviso 3 - L’Iran ha trasferito segretamente dalle banche europee verso banche di altri Paesi (in particolare, sembra, verso Libia e Algeria, cioè le roccaforti musulmane più oltranziste) buona parte dei fondi — ammontanti a circa 13 miliardi di dollari — detenuti all’estero. Teheran ha voluto cosi mettersi al riparo da eventuali sanzioni economiche che gli alleati occidentali potrebbero varare nei prossimi giorni (Paolo Glisenti sul Corriere della Sera)
ROMA - Nuovo ribasso del dollaro ieri sui mercati valutari internazionali. La moneta USA ha perso terreno contro le principali valute, scendendo a livelli tra i più bassi degli ultimi tempi. Gli operatori hanno segnalato massicci interventi di sostegno delle banche centrali europee con l’obiettivo di evitare che il dollaro andasse sotto il livello di 1,70 contro il marco tedesco e di 1,56 sul franco svizzero. Le chiusure, tuttavia, nonostante gli «appoggi», sono avvenute intorno a questi minimi. Anche a Parigi la moneta USA, per la prima volta dall’ottobre del 1978, ha perso «quota 4 franchi». Uguale «sorte» la moneta americana ha avuto sui mercati italiani; il cambio lira/dollaro, infatti, è sceso al di sotto delle 800 lire: 799,50 nella media ufficiale dei cambi, contro 801,25 di mercoledì.Per ritrovare una quotazione lira-dollaro inferiore alle 800 lire bisogna risalire al febbraio del 1976. Non si trova più l’argento, forse intercettato da un petroliere americano che si chiama Hunt e che si muoverebbe anche per conto di Gheddafi. I russi vorrebbero accumularne per cento tonnellate (ce ne vogliono 20 per costruire un sommergibili nucleare). «L’Unione Sovietica da qualche tempo ha cambiato atteggiamento nel settore dei metalli di cui si fa largo uso nella costruzione di sommergibili e centrali nucleari, di missili e aerei a reazione: vende sempre meno e acquista sempre più sui mercati internazionali» (Corriere della Sera del 4 gennaio)
[...] A tarda sera, quando è stato possibile tirare le somme, ogni precedente primato ed ogni linea di difesa ritenuta finora insuperabile erano stati infranti. A Londra, l’oro è balzato da 569 a 635 dollari per oncia, (16.450 lire al grammo in Italia) con un «volo» spettacolare e senza precedenti di 66 dollari, dopo aver toccato «quota 670»; l’argento ha fatto inizialmente saltare il sismografo dei prezzi passando da 39 a 46 dollari per poi ridiscendere a 37 dollari (963 mila lire al chilo) con un calo tecnico dell’8,2 per cento rispetto a mercoledì; il platino non è stato da meno: è salito di 90 dollari all’oncia (da 750 a 840 dollari) con un rialzo del 14,3 per cento. Giornata campale anche per il dollaro, crollato di schianto nel pieno di una crisi gravissima ai nuovi minimi storici contro il marco tedesco (1,7080) e il franco svizzero (1,5700) prima di precipitare al livello più basso degli ultimi quattro anni anche nei riguardi della lira che è stata cambiata a 799.50. La nostra moneta ha vacillato vistosamente nella bufera perdendo contatto con le monete europee più forti e facendo temere per la sua stabilità nel Sistema Monetario Europeo. Per la prima volta si è avuta, netta, la sensazione che i mercati finanziari fossero ingovernabili, che l’unico obiettivo fosse quello di «bruciare moneta». Per ore ed ore nemmeno un’oncia d’oro o un grammo d’argento è stato offerto alla vendita; l’incetta di monete auree ha rasentato la frenesia di un saccheggiamento di beni di consumo In tempo di guerra» (Paolo Glisenti sul Corriere della Sera)
È con l’oro (ieri a 18 mila lire il grammo) che Mosca raccoglie abitualmente valuta estera per finanziare buona parte dell’importazione di derrate alimentari dall’Occidente. Ma è ormai su tutta la gamma dei metalli di cui l’Urss è tra i maggiori produttori mondiali che si manifestano crescenti tensioni. Il palladio, per esempio, è salito tra lunedì e ieri ad un nuovo massimo storico di 216-220 dollari sul mercato libero di Londra; prezzi in forte ascesa anche per nichel, titanio, tungsteno, manganese, cromo e per i due metalli preziosi — argento e platino — di cui si fa ampio uso industriale. L’Urss, dicono gli csperti, sarebbe in grado di «tagliare» queste vendite mettendo in difficoltà alcuni comparti strategici della produzione in Occidente poiché ha raggiunto un grado di autosufficenza di gran lunga superiore persino a quello degli Stati Uniti. Sulla possibilità di affamare davvero l’Urss con il taglio alla vendita di grano: attenti alle triangolazioni. La Francia vende abitualmente frumento alla Somalia e parte di queste forniture vengono poi ritrasferite verso l’Urss. Resta il fatto che i 13 paesi interessati produttori di cereali (13 come i membri i dell’OPEC, fa notare qualcuno) hanno deciso di «congelare» 163 milioni di tonnellate di cereali assegnate quest’anno per l’esportazione, circa il 90 per cento di quel che sarebbe stato messo in commercio in tutto fl mondo nel 1979. L’Argentina da sola avrebbe immesso sul mercato 13,7 milioni di tonnellate, un quantitativo sufficiente a «coprire» il «buco» sovietico ed evitare all’economia russa un periodo di grave i crisi soprattutto per quanto riguarda il settore zootecnico e quindi la disponibilità di carne.
L’oro ha sfondato ieri il «muro» degli 800 dollari per oncia (20.700 lire al grammo) sul mercato di Nuova York pochi minuti dopo che sulle piazze finanziarie europee le contrattazioni si erano chiuse intorno ai 760 dollari, con una lieve flessione rispetto al record storico di mercoledì. La nuova poderosa spinta al rialzo è il risultato di un’ondata di acquisti fatti proprio da grandi banche americane che sembrano ora aver sostituito, in prima linea nella corsa all’oro, gli operatori svizzeri, arabi e orientali. Spendere oltre 20 mila lire per un pizzico di polvere gialla quasi invisibile sul palmo di una mano, che non dà interessi, raddoppia (e quindi può anche dimezzare) il suo valore nel giro di otto settimane, sarebbe in tempi normali una vera follia. Ma non viviamo tempi normali. L’Armata Rossa è più vicina alle rotte petrolifere, gli scambi finanziari e commerciali tra i maggiori blocchi economici — quello occidentale e quello sovietico — rischiano di paralizzarsi, Tito è in pericolo di vita e cosi gli equilibri decisi a Yalta. La corsa all’oro è oggi un fatto più politico che economico. Fin quando questi punti di crisi sullo scacchiere internazionale non saranno stati risolti la gente preferirà l’incorruttibilità e l’apoliticità (oltreché l’anonimato) dell’oro a qualsiasi altro investimento più razionale e produttivo (Paolo Glisenti sul Corriere della Sera).
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