• Occupati, disoccupati (anche i temporaneamente inabili al lavoro) e le persone in cerca di prima occupazione (la “popolazione attiva”) sono 15 milioni e 665mila (9,368 milioni i maschi, 6,297 milioni le femmine).• Il 71,9% dei maschi è occupato nell’agricoltura, il 13,2% nell’industria, il 15% in altre attività. Le femmine: il 66,5% nell’agricoltura, il 25,3% nell’industria, l’8,3% in altre attività. [d1]• La regione con la più alta percentuale di popolazione attiva occupata nell’industria è la Calabria (28,8%) seguita da Campania (23,2%) e Sicilia (23,1%). La più alta percentuale di occupati nell’agricoltura è in Valle d’Aosta (90%), Friuli Venezia Giulia (81,8%), Piemonte e Umbria (81,1%). [a]• «L’agricoltura rappresentava [nel 1861 - ndr] il 56,7% del prodotto nazionale, contro il 20,3% dell’industria e il 23% del terziario, con una distribuzione della manodopera che vedeva un 70% di contadini e un 18% di operai. Le cifre della produzione agricola parlano di 74.635.000 hl di cereali, 13.000.000 di patate e castagne, per un consumo complessivo di 88.800.000 hl di farine varie. Con un deficit quindi che comporta un’importazione (tranne il riso, esportato). Per l’industria, confrontando quella tessile (la serica in testa), agli albori quella meccanica (ma l’Ansaldo a Genova ha mille operai), ci si trova in una prima fase di espansione» (Folco Portinari).
• Nel Regno d’Italia circola denaro per un valore di circa 900 milioni e 365mila lire (equivalenti a 465mila euro): 89 milioni e 68mila (46mila euro) in banconote, 811 milioni e 297mila (419mila euro) in monete.• «Nei territori che nel 1861 costituirono l’Italia unita circolavano complessivamente 236 diverse monete e se si aggiungono quelle del Veneto e di Roma il totale sale a 282» (Antonio Patuelli, Limes 2/2015)• Coefficiente di rivalutazione della moneta: 8710,585 (il coefficiente indica di quante volte occorre moltiplicare i valori monetari del 1861 per riportarli al valore del 2010. Se la cifra originaria è espressa in lire, bisogna effettuare prima la rivalutazione e poi la conversione in euro, dividendo per 1.936,27). [b6]• La lira del 1861 ha, sul fronte, l’effige del Re e, sul retro, lo Stemma Sabaudo con Corona d’alloro e scritta Regno d’Italia.• Il 40 per cento degli italiani vive con l’equivalente di un euro e mezzo al giorno del 2013 (Gianni Toniolo, Oxford Handbook of the Italian Economy since Unification, Banca d’Italia 2013)• Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, considerato come base pari a 1 il 1913: 0,820. [b6]Banche. Hanno fatto prestiti per l’equivalente di 79mila euro correnti, hanno titoli in portafoglio per 5mila, azioni e partecipazioni per 8mila. Tra le passività: 67mila euro correnti in depositi, 3mila in obbligazioni emesse, 14mila in capitale e riserve. [b7] I tassi d’interesse sono poco sotto il 5% (Francesco Di Frischia, Corriere della Sera 10/6/2015). §Italia
• Consumo individuale di acqua in Italia nel 1861: quaranta litri al giorno; nel 2000 dieci-venti volte di più (Giovanni Sartori, Gianni Mazzoleni, La Terra scoppia. Sovrappopolazione e sviluppo, Rizzoli 2003).
• Prezzi medi al consumo, al chilo, di alcuni prodotti del comparto alimentare. Valori in lire dell’epoca, tra parentesi in euro del 2010.Pane: 0,40 (1,80)Pasta: 0,60 (2,70)Riso: 0,42 (1,89)Patate: 0,11 (0,54)Carne bovina: 0,87 (3,91)Carne suina: 1,10 (4,95)Burro: 2,38 (10,75)Zucchero: 1,49 (6,75)Caffè: 2,20 (9,90)Latte: 0,23 (1,03) al litroOlio d’oliva: 1,43 (6,48) al litroVino 0, 65 (2,92) al litroUova: 0,06 (0,27) al pezzo.• Si mangiano ben 1,1 chili di pane a persona al giorno (da uno studio della Coldiretti)• «Si consumano 2.500 calorie al giorno mangiando polenta di mais al Nord, pasta, legumi e frutta al Sud. I due terzi del proprio reddito sono investiti nel tentativo di sfamarsi [...] La ricchezza nazionale derivava per il 54,9 per cento dall’agricoltura (contro l’1,8 attuale), l’alimentare rappresentava il 34 per cento del totale dell’export nazionale (tra i prodotti che nel 1861 prendevano la via dell’estero troviamo olio, pasta, conserve di pomodoro e pelati, salumi, vini) e il Sud era, paradossalmente, meno Sud di oggi. “Tra le prime Regioni” si legge nel rapporto di Federalimentare “nelle quali la presenza industriale determinava il maggior contributo nella costruzione del valore aggiunto del comparto agroalimentare, ritroviamo infatti, dietro a Lombardia e Piemonte, sia la Campania che la Sicilia”» (Giampiero Cazzato, il venerdì di Repubblica, 5/8/2011).
La rete ferroviaria si sviluppa per 2.773 chilometri (di cui 30 in concessione). [b5] La metà di questi è in Piemonte, il resto in Toscana e in Val Padana (Sergio Grasso). La rete ferroviaria nelle altre nazioni: Francia 4.000 km, Germania 11 mila, Regno Unito 16.666 (Vittorio Feltri - Gennaro Sangiuliano Una repubblica senza patria Mondadori 2013) • «I 2.773 chilometri della rete ferroviaria erano ancora frammentati in numerose linee gestite da sette diverse società private, e mancava totalmente un disegno organico che, accanto all’unità fisica del territorio, favorisse anche lo sviluppo dell’economia e dell’industria del nuovo Stato» (Macchina del Tempo 4/2005).
• A San Severo delineasi agitazione reazionaria col pretesto del caro prezzo del grano (Comandini)
Per andare a Napoli il principe di Carignano ha chiesto - oltre a Nigra, Bardessono, Morris e Perrone - due milioni di appannaggio. (Cavour, Epistolario XVIII/1, Olschki, Firenze 2008)
• Decreto odierno assegna per spese di rappresentanza 12.000 lire all’intendente generale di Perugia, 10.000 a quello di Ancona, 7.000 per ciascuno a quelli di Pesaro, Macerata ed Ascoli (Comandini)
• Muore in Milano l’ing. Ferdinando Polti, autore e direttore della bonifica del piano di Spagna (Valtellina.) (Comandini)
• A Barletta tumulto popolare per il prezzo del grano; la guardia nazionale è disarmata; ma due cittadini influenti, Ferdinando Cafiero ed il marchese Bonelli, riescono a ristabile l’ordine (vedi 10 gennaio) (Comandini)
• A Barletta è formato sindacato annonario tra i proprietari del paese, che obligansi a somministrare il grano sino a nuovo raccolto a ducati 2,50 per ogni tomolo (Comandini)
• Fissate, oggi, dopo lunghe trattative, le condizioni per il prestito della casa Bastogi con Balduino, sul credito mobiliare, per la costruzione, assunta dall’impresa Tomaso Brassey, della ferrovia maremmana da Livorno al Ghiaione, km. 235 (Comandini)
• Annunziasi che il governo ha concluso convenzione con le case Erlanger di Parigi ed Heaton di Birmingham per la coniazione di 12 milioni di lire in monete di rame, per 210 milioni di pezzi da 5 centesimi; 37 milioni e mezzo da 2 centes., 75 milioni da un centesimo; in ragione di poco più di 50 centes. per abitante. La nuova moneta dovrà essere terminata entro 18 mesi, e la prima consegna allo Stato dovrà avvenire il 1° giugno. La casa Heaton coniò già le monete di rame toscan (Comandini)
• A Napoli nei cortili del ministero dimostrazione di operai chiedenti pane e lavoro. Sono calmati con elargizioni in danaro (Comandini)
Il decreto n. 4646, promulgato oggi, interviene sull’ordinamento e sull’amministrazione delle zecche. L’amministrazione centrale è a Torino alle dipendenze del ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio. A Firenze, Genova, Milano e Torino avranno sede le direzioni regionali da cui dipendevano gli altri uffici periferici.
• L’i. r. luogotenenza del Lombardo-Veneto ordina alle Camere di Commercio di non dare corso alla circolare del 10 nov. 60 della commissione reale di Firenze, invitante gl’industriali italiani a partecipare all’esposizione colà indetta (Comandini)
• Reale decreto fìssa a tutto il prossimo maggio il termine per la presentazione dei conti allo Stato da parte di Municipii od altri enti che fecero somministrazioni al corpo dei volontari garibaldini nelle provincie meridionali (Comandini)
«Nel 1862 Quintino Sella creò una società per azioni partecipata da soci privati […] e sanò per il 48 per cento il debito delle casse regie».
Il Parlamento approva la legge n. 794 che prescrive il passaggio al demanio dello Stato (erogatore in contropartita di una rendita) dei beni immobili spettanti alla Cassa ecclesiastica.
La pubblicazione a Mosca della relazione ufficiale sull’andamento del piano quinquennale relativo all’ultimo trimestre del 1949 mostra un rallentamento generale della produzione industriale e un miglioramento di quella agricola. La Pravda fa anche sapere che la produzione di petrolio greggio è molto lontana dai 35 milioni di tonnellate previsti dal piano quinquennale, forse neanche la metà dei 60 milioni che Stalin aveva chiesto nel suo discorso elettorale « per assicurare posizioni di difesa ». La Pravda accusa il Ministero dell’Industria del petrolio, i cui sistemi tecnici di ricerche e di sfruttamento sono « detestabili », e invoca una vigorosa epurazione dei responsabili. Ma nessun appunto può essere in verità mosso al ministro dell’Industria del petrolio, Nikolai Baibakov, di recente nomina, che nella sua relazione al Praesidium del Soviet Supremo aveva chiaramente spiegato che l’Urss non può attendersi una produzione di greggio nella quantità fissata nei piani, non tanto perché lo sfruttamento dei giacimenti di Baku, nel Caucaso, sia difettoso o manchino i carri-cisterna, ma perché le riserve dei pozzi non sono più quelle di una volta. La Russia, che si classificava, prima della rivoluzione, alla pari con gli Stati Uniti, segue oggi il Venezuela con una produzione di circa un ottavo di quella degli Stati Uniti. Eppure migliaia di tecnici hanno sondato il deserto tra il lago di Arai e il mar Caspio; in Asia centrale presso Kokand; in Oriente nella Kamtchatka; si è esplorato in Carelia, trivellato tutta la zona intorno a Poltava, in Ucraina, dove durante la guerra, mentre i Tedeschi avanzavano, una sorgente scaturiva improvvisa e impetuosa nel villaggio di Romny. Tra il Medio Volga e gli Urali veniva rintracciato un immenso bacino, subito battezzato « la seconda Baku », che però si esauriva dopo la estrazione di 2 milioni di tonnellate. Questi immensi sforzi hanno richiesto l’impiego di miliardi di rubli, ma il risultato è che la produzione segna una ulteriore diminuzione del 16 per cento nel confronto dell’anno scorso. (L. Crucillà sul Corriere della Sera)
«[a proposito dell’attentato che è costato la vita al premier iraniano Ali Ramzara] da quanto sembra i sovietici hanno favorito i sentimenti nazionalisti dei musulmani dell’Iran contro gli interessi inglesi nelle industrie petrolifere persiane, con quelle promesse sulla cui natura non è necessario pronunciarsi. Il Senato persiano deve decidere sulla nazionalizzazione delle industrie petrolifere già votata dal Parlamento. Il Governo britannico inviò nei giorni scorsi una nota al Governo di Teheran per far presente la illegalità del provvedimento e per consigliare un accordo con la Anglo Iranian Oil Co. In attesa degli eventi Londra ha deciso di non fare più pressioni sull’Iran prima di aver esaminato il rapporto dell’ambasciatore britannico a Teheran. Il Gabinetto inglese tuttavia segue con ansiosa attenzione la situazione persiana sovrattutto per le ripercussioni che essa può avere nel Medio Oriente e specialmente nell’Iraq dove si sta sviluppando un vivo malcontento per la « ingerenza » britannica nelle industrie del petrolio di quel Paese» (Corriere d’Informazione)
Negli ambienti dell’Anglo-Iranian Oil Company il numero degli scioperanti viene fatto ascendere a 16.000. Gli scioperanti hanno inviato un messaggio al Parlamento per chiedere l’invio sul posto di una commissione incaricata di indagare sulla fondatezza delle loro richieste. Da fonte autorizzata giunge notizia che il Governo esercita pressioni sulla « Anglo-Iranian» perchè quest’ultima ripristini talune indennità la cui soppressione, in data 22 marzo, sarebbe all’origine del movimento di sciopero. Secondo notizie giunte questa sera gli scioperi si sarebbero estesi all’importante centro petrolierò di Masdjed Soleiman dove ottomila lavoratori avrebbero abbandonato le raffinerie. A Teheran regna la calma ma gli arresti continuano sia tra i seguaci della setta dei « Fratelli dell’Islam » sia fra quelli del partito Tudeh.
Il Governo persiano ha intimato un ultimatum di sette giorni alla Compagnia petrolifera britannica. Se entro il 30 maggio la Anglo-Iranian Oil Company, l’ex-Compagnia, come dicono i Persiani, non avrà accreditato i suoi rappresentanti per fissare le modalità del trapasso d’accordo col Governo, questo procederà alla nazionalizzazione senz’altro indugio. L’ultimatum è in realtà rivolto al Governo britannico, che possiede la maggioranza delle azioni della Compagnia, e risponde di fatto alla nota inglese di sabato scorso. La linea di condotta della diplomazia persiana che, essendo orientale, non manca di sottili furberie, consiste nel rivolgersi direttamente alla Compagnia e di rifiutare ogni intervento britannico col pretesto di dover respingere le intromissioni nei propri affari interni. Ma non c’è dubbio che l’azione di Mossadeq colpisce in pieno e direttamente l’Inghilterra nel suo prestigio, nella sua forza politica e militare e nei suoi interessi economici. Questo agitato parlamentare, sempre barricato dentro l’edificio del Parlamento, sta per infliggere all’Inghilterra il colpo più grave che essa abbia subito dopo la vittoria
II portavoce ufficiale persiano ha annunciato alle 15 (ora locale) che il Governo di Teheran ha ordinato la requisizione e l’occupazione totale di tutte le installazioni petrolifere della Anglo-Iranian Company. Ciò è stato deciso durante una riunione straordinaria di Gabinetto, durata sei ore, presieduta da Mossadeq, e tenuta nella camera da letto del Premier, oggi febbricitante. Il Gabinetto persiano ha inoltre nominato i suoi rappresentanti incaricati di prendere in consegna le installazioni e gli uffici vendite dell’AIOC. L’ufficio informazioni della Compagnia potrà venire chiuso immediatamente e, in base all’ordine governativo il nome della compagnia stessa dovrà venire cambiato in quello di Compagnia nazionale dei petroli iraniani. I profitti della Compagnia dovranno venire depositati in un conto bancario al nome della Compagnia nazionale. D’ora innanzi, in seguito a tali decisioni, ogni ordine dell’ufficio dei direttori della Anglo-Iranian Oil Company o del direttore centrale non saranno validi se non saranno controfirmati dal consiglio provvisorio d’amministrazione della Compagnia petrolifera nazionale dell’ Iran. Da Abadan giunge intanto notizia che stamane migliaia di lavoratori persiani hanno inscenato una vibrante manifestazione quando il vice-Primo ministro, Makki, ha alzato la bandiera dell’ Iran sulla sede della Anglo-Iranian Oil Company. Makki ha dichiarato che alzare la bandiera iraniana significava l’avvenuto inizio della gestione degli impianti della Compagnia da parte della Persia. I lavoratori si sono poi allontanati quando li ministro li ha invitati a ritornare al lavoro. Makki ha poi dichiarato che il Consiglio provvisorio di amministrazione sta attendendo di minuto in minuto ordini dalla capitale. La produzione per ora continua normalmente. Frattanto l’ambasciatore inglese ha dichiarato di essere ancora in attesa di istruzioni da Londra. Sir Francis Shepherd ha inoltre reso noto d’aver comunicato al console generale a Khorran Shahr, dove si trova la sede centrale della Anglo-Iranian Oil Company, di avvisare le mogli e i bambini dei dipendenti inglesi della Compagnia di essere prudenti e di partire appena possibile. Al massimo dovrebbero rimanere colà 100 dipendenti britannici.
Il portavoce del Governo persiano Jevad Bushiri ha dichiarati ieri che gli ambasciatori persiani a Londra, Roma e Nuova Delhi, nonché altri rappresentanti diplomatici, sono stati richiamati temporaneamente nell’ Iran per « mancanza di divise estere ». Egli ha aggiunto che è state necessario inoltre ridurre dal 23 al 40 per cento gli emolumenti di tutti i diplomatici persiani. Il portavoce ha affermato inoltre che una missione cecoslovacca è stata invitata a Teheran per concludere un accordo per l’acquisto di petrolio iraniano. Come si ricorderà, il vice-Primo ministro Hussein Fatemi affermò, la settimana scorsa, che la Polonia e la Cecoslovacchia avevano offerto all’ Iran di acquistare ciascuna circa 500 mila tonnellate di petrolio raffinato e grezzo.
Il Primo ministro persiano, dott. Mossadeq, in un discorso alla radio, ha rivolto ieri sera un appello al suo popolo perché sottoscriva entro i prossimi due mesi un prestito nazionale di dieci milioni di dollari, destinato a fornire allo Stato i mezzi finanziari di cui oggi esso difetta per la perdita dei redditi del petrolio. Dopo una burrascosa seduta a porte chiuse, il Senato ha invitato iersera Mossadeq e i membri del Governo a una riunione segreta da tenere oggi per spiegare il prolungarsi della crisi petrolifera che aggrava la situazione del Paese. Continuano, frattanto, i negoziati tra Mossadeq e la Banca Mondiale sulla proposta della Banca stessa per un finanziamento dell’industria dei petroli persiani. Pare che il Governo dell’ Iran sia interessato alla proposta, ma non si pronunci definitivamente per tenere alto il più possibile il prezzo di vendita del petrolio.È stato confermato ieri che una settimana fa il Primo ministro Mossadeq aveva deciso di rassegnare le dimissioni per l’ostilità della madre dello Scià al suo Governo. Il fatto sarebbe accaduto il 16 dicembre, allorché Mossadeq convocò il ministro di corte per comunicargli che aveva deciso di rassegnare le dimissioni lanciando nel contempo un radio-messaggio al popolo. In quella occasione egli accusò la regina madre di avere rapporti troppo stretti con l’ex-Premier Ahmad Qavan che nella stampa d’opposizione era stato menzionato quale probabile successore di Mossadeq. Dopo dodici ore di negoziati, comunque, il Premier rinunziò ai suoi battaglieri propositi.
Un comunicato governativo informa oggi che l’ Iran intende offrire alla Compagnia italiana « Supor » petrolio a metà prezzo rispetto a quello che viene praticato sui mercati mondiali in segno di gratitudine per la vittoria conseguita di fronte al Tribunale di Venezia contro la Anglo Iranian Oil Company nel caso della Miriella. Il comunicato aggiunge che la « Supor » potrà comprare per sei mesi tanto petrolio quanto ne potrà caricare a questa condizione di favore
A Teheran e a Londra è stato annunziato simultaneamente stamane che il consorzio di otto aziende petrolifere occidentali e il Governo iraniano hanno finalmente raggiunto un accordo su larga base per far rinascere l’industria del petrolio nell’ Iran inattiva da tre anni. L’accordo dispone che la grande raffineria di Abadan e i campi petroliferi adiacenti saranno gestiti dal consorzio. La produzione sarà consegnata al Governo iraniano dal quale il consorzio la comprerà e la venderà poi all’estero. Campi e raffineria apparterranno all’ Iran. Si spera di poter riprendere le operazioni di esportazione fra due mesi. L’annunzio dell’accordo è stato dato a Teheran dal ministro delle Finanze, Ali Amini, e da Howard Pgage, rappresentante della « Standard Oil », il quale ha diretto i negoziati. L’accordo avrà una durata di 25 anni, prorogabile per altri cinque, se le parti lo vorranno. Benché l’annunzio non lo specifichi, si crede che l’accordo disponga il versamento del 50 per cento all’ Iran del reddito di produzione, ossia la stessa percentuale in uso in altri Paesi petroliferi del Medio Oriente. Si calcola che l’Iran introiterà 420 milioni di dollari nel primo triennio dell’accordo. Il consorzio è formato dall’Anglo Iranian, che ha sfruttato da sola l’industria petrolifera iraniana fino alla legge di nazionalizzazione di Mossadeq (1951), dalle aziende americane « Standard Oil » del New Jersey, «Standard Oil» della California. « Texas Company », « Gulf Oil » e « Socony Vacuum », dall’azienda olandese « Royal Dutch » e dalla « Compagnie française des pétroles »
Al ritorno del petrolio persiano sui mercati mondiali si oppongono varie difficoltà, che le Potenze occidentali, in special modo gli Stati Uniti, dovrebbero essere tuttavia in grado di superare. Sul piano economico è da notare che quando la vertenza fra Londra e Teheran portò alla chiusura delle raffinerie di Abadan, le industrie petrolifere degli altri Paesi del Medio Oriente intensificarono , notevolmente la loro produzione. Gli impianti di Kuwait producono ora 930 mila barili al giorno invece dei 350 mila che producevano quando ogni attività cessò ad Abadan; la produzione dell’Iraq è salita da 136 mila barili a 600 mila, e quella dell’Arabia Saudita è aumentata del 60 per cento e tocca ora i 955 mila barili. Nonostante manchino informazioni ufficiali, si stima che occorreranno da cinquanta a sessanta milioni di dollari per riattivare gli impianti iraniani entro il 1954. Inoltre, occorrerà o affrontare la concorrenza delle altre fonti di petrolio del Medio Oriente oppure ottenere che esse riducano la loro produzione. Questo complesso di cose rende economico il ritorno sul mercato del petrolio iraniano? A prima vista si direbbe di no. Sul piano politico l’opposizione al Governo Zahedi ha intanto cominciato a osteggiare l’accordo definendolo contrario alla legge sulla nazionalizzazione.
Messa in commercio la Vespa primavera.
Ripresa della crescita tedesca.
Lo Stato apre a Pomigliano lo Stabilimento “Giambattista Vico”.
«Per i giochi del 1968 i contribuenti di Grenoble hanno continuato a pagare un’apposita tassa fino al 1992»
Prezzo andata e ritorno del volo Milano-Helsinki con Finnair (3 ore di volo): 122.100 lire (La Stampa, 28/06/1968)
Accordi di Grenelle. Il primo ministro francese Georges Pompidou conclude un grande accordo con i sindacati e ponendo fine alla protesta operaia isola la protesta studentesca.
Si conclude a Vienna la convenzione sul traffico stradale.
L’andamento dei prezzi al consumo e all’ingrosso nel mese di ottobre dello scorso anno è apparso stazionario, in linea con l’andamento medio annuale. Secondo i dati definitivi dell’lstat, i prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale hanno registrato un aumento mensile dello 0,9%, contro il +1,6% di settembre, che porta la variazione a dodici mesi all’11,5%. I prezzi all’ingrosso sono aumentati dello 0,5% (+1 % a settembre) con un incremento annuo dell’8,3%. Un po’ più marcata, ma sempre in linea con l’andamento annuale, la variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati che lo scorso ottobre è risultata pari all’1,1%, mentre il mese precedente lo scatto era stato dell’1,3%. L’incremento del costo della vita a dodici mesi marciava a ottobre sul 12,3%.
Giuseppe Petrilli lascia la presidenza dell’Iri. Al suo posto Pietro Sette.
Avendo il Pci deciso di uscire dalla maggioranza di governo, il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, sale al Quirinale e si dimette • « Prima di ricevere dal parlamento lo scontato benservito, il presidente uscente aveva potuto elencare con puntigliosità giolittiana le cifre della sua opera economica: discesa del tasso di inflazione dal 18 al 12 per cento in un anno, settemila miliardi di attivo nella bilancia dei pagamenti 78, conseguente stabilità della lira, riserve valutarie per oltre undici miliardi di dollari escluso l’oro, sensibili segni di ripresa produttiva nell’ultimo trimestre dello stesso 78. Questo per i traguardi raggiunti. Fra le cose che potevano essere e che non erano state, infine, Andreottì offriva ai suoi giudici parlamentari il «piano triennale» i cui obiettivi principali sono noti: inflazione sotto il dieci per cento, 500/600 mila posti di lavoro in più, cambio stabile, tasso di crescita (nel 79) attorno al 4,5 per cento» (Massimo Riva, Corriere della Sera).
KUWAIT — Se l’attuale blocco della produzione iraniana dovesse continuare, il prezzo del greggio potrebbe essere triplicato a partire dall’aprile prossimo. Un giornale del Kuwait, citando fonti bene informate, scrive che alcuni Stati del Golfo stanno già vendendo sul mercato libero il petrolio a 20 dollari al barile (contro i 14 attuali)
«Ma diverso è governare un popolo, di 35 milioni, che aumenta al ritmo super-indiano del 2,8 per cento l’anno, o anche solo una capitale come Teheran, dove si affollano cinque milioni d’inurbati e dove può annidarsi una guerriglia endemica. Diverso è anche regolare una società di transizione fra l’era della pastorizia o del bazar e la chimica dei polimeri, amministrando un immane serbatoio di petrolio sulla frontiera tra mondi, interessi, ideologie contrastanti.» (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)
Il primo, chiaro segno che siamo entrati in una nuova crisi petrolifera è venuto ieri: Abu Dhabi e Qatar hanno aumentato con effetto immediato il prezzo del loro greggio del 7,2%. L’Arabia Saudita dovrebbe allinearsi a questa decisione nei prossimi giorni. Il rincaro viene applicato in aggiunta a quello varato dall’OPEC nel dicembre scorso, quando furono stabiliti quattro scatti trimestrali per il 1979 (del 5% il 1° gennaio e successivamente del 3,809%, del 2,294% e del 2,691%). Quella decisione avrebbe comportato un rialzo del prezzo di riferimento del petrolio del 14,5% entro la fine di quest’anno. Ora, dato che Abu Dhabi e Qatar hanno annunciato di voler applicare la «sovratassa» sul nuovo prezzo che entrerà in vigore in ognuno dei tre restanti trimestri dell’anno, il rincaro del loro greggio risulterà alla fine del 23% circa. La decisione era prevedibile, ma suscita non poche preoccupazioni. Il nuovo rincaro si è reso necessario per allineare i prezzi di listino del greggio più leggero e più pregiato (come quello prodotto da Abu Dhabi e Qatar) alle quotazioni del mercato libero in vorticosa ascesa nelle ultime settimane a causa della mancata produzione iraniana. Questi prezzi hanno già superato abbondantemente i 20 dollari per barile. Il greggio dei due produttori Opec sale oggi da 14,10 dollari a 15,20 dollari per barile. Alla fine del 1970 raggiungerà i 16 dollari (Paolo Glisentiper il Corriere della Sera)
La radio di Teheran negli ultimi giorni ha persino annunciato che ia produzione sarà ridotta dai 5 milioni di barili il giorno a 330 mila: «Lo Scià avrebbe esaurito le riserve in vent’anni, invece il petrolio iraniano potrà durare sette secoli».
Il costo della vita è «scattato» a gennaio dell’1,9%. L’incremento, misurato dall’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, è il più elevato degli ultimi due anni; per trovare uno scatto mensile maggiore, infatti, bisogna risalire al febbraio del 1977 quando l’aumento fu del 2,3%. Sebbene lo scatto di gennaio sia dovuto principalmente a fattori irripetibili nel corso dei dodici mesi, come l’aumento degli affitti a causa dell’equo canone — che avrebbe contribuito per uno 0,9 per cento — e l’incremento degli ortofrutticoli a causa delle gelate invernali, secondo alcuni si sta reinserendo un meccanismo che potrebbe trovare nuovo impulso nella situazione energetica che sì è creata in campo internazionale dopo la rivoluzione in Iran. In altri termini l’aumento del prezzo del petrolio, che si va generalizzando tra tutti i paesi produttori, si potrebbe ripercuotere in modo massiccio, in termini di inflazione, attraverso per esemplo le tariffe elettriche e il prezzo della benzina sul sistema economico. Anche per quanto riguarda l’equo canone bisogna notare come non tutti gli affitti siano stati subito adeguati cosicché nei prossimi mesi l’indice dei prezzi potrebbe subire ulteriori contraccolpi a mano a mano che nuovi contratti vengono modificati secondo la nuova normativa. Non va escluso neanche l’effetto dall’adeguamento periodico al costo della vita degli affitti, in base allo stesso indice dei prezzi dell’Istat. Proiettando l’aumento dei prezzi in gennaio sui 12 mesi del 1979 si avrebbe per quest’anno un tasso d’inflazione del 25,4 per cento.
«La Libia ha aumentato il prezzo del suo petrolio del 5 per cento. Sono così ormai nove i paesi produttori dell’Opec che hanno già ritoccato le quotazioni. A dare l’annuncio è stato ieri un portavoce della Occidental Petroleum Corp., una delle maggiori acquirenti statunitensi di petrolio libico, precisando che il rincaro è stato pari a circa 68 centesimi di dollaro per barile. La decisione della Libia segue di pochi giorni quella dell’Abu Dhabi e del Qatar, che avevano stabilito un rialzo del 7 per cento. La tensione che si sta verificando sul fronte delle quotazioni del petrolio (nonostante l’annuncio dato ieri dall’Iran di un’imminente ripresa delle esportazioni di greggio), è il segno concreto di una manovra che vari paesi produttori di grezzo stanno conducendo nei confronti dell’Arabia Saudita. Obiettivo di queste pressioni sarebbe quello di convincere l’Arabia Saudita, che è il maggiore produttore mondiale di petrolio, a convenire sull’opportunità di un ulteriore aumento del prezzo ufficiale del greggio. L’aumento del prezzo del petrolio deciso dalla Libia ha suscitato ieri preoccupazioni negli ambienti petroliferi italiani. Infatti, se l’aumento stabilito dall’Abu Dhabi e dal Qatar non provocava problemi all’Italia, dal momento che le nostre importazioni da quei paesi ammontano al solo 3 per cento del fabbisogno nazionale, nel caso della Libia la questione è più grave. La Libia, infatti, fornisce all’Italia circa 14 milioni di tonnellate annue di greggio, pari a circa il 13 per cento dei nostri approvvigionamenti. Tuttavia è ancora presto per lare stime precise. Non si sa ancora se l’aumento deciso dalla Libia sarà generalizzato oppure limitato alle «eccedenze». L’ipotesi meno favorevole di questi aumenti del petrolio libico (che è di qualità leggera, molto richiesta) farebbe ascendere a circa 70 miliardi di lire l’anno (5,5 miliardi al mese) il maggior costo cui andrebbe incontro il nostro paese» (Corriere della Sera).
Il prezzo del petrolio venezuelano (il 5,1% di tutto il greggio prodotto dall’OPEC) rincarerà del 15% a partire dal primo marzo. Gli aumenti vanno da 2,10 a 2,51 dollari per barile e riguardano per ora soltanto le esportazioni di prodotti raffinati che coprono comunque più della metà delle vendite all’estero del Venezuela, il rincaro più forte viene applicato sul greggio a basso contenuto di zolfo, destinato soprattutto al consumo finale di benzina, che passerà da 16,49 a 19 dollari per barile mentre il petrolio ’pesante’ (utilizzato per alimentare le centrali termoelettriche, per i consumi di nafta e gasolio) sale da 11,40 a 13,50 dollari. E’ stato ieri confermato che anche la Libia ha rincarato tutti i tipi di greggio del 5% fino al 31 marzo. Ahmed Zaki Yamani, il ministro del petrolio dell’Arabia Saudita, calcola che con l’interruzione di 90 giorni della produzione petrolifera iraniana il mondo abbia perso 400 milioni di barili di greggio e che i prezzi sul mercato Spot siano saliti del 49% rispetto ai livelli fissati dall’Opec.
Parigi. Il consiglio di direzione dell’Agenzia Internazionale dell’Energia ha annunciato che i venti paesi membri dell’organizzazione (l’Australia si è aggregata ora agli altri) ridurranno volontariamente la loro domanda di petrolio nella misura del 5% nel corso del 1979. La riduzione volontaria prevista corrisponde grosso modo al deficit che rischiano di dover affrontare i paesi consumatori: 2.300.000 barili consegnati in meno al giorno. Richard Cooper, sottosegretario per gli affari economici che rappresentava gli Stati Uniti alla riunione, ha annunciato che il suo paese ridurrà di un milione di barili al giorno il consumo di petrolio nazionale. È proprio il 5% auspicato dall’agenzia. Egli ha precisato che le misure di economia, non ancora fissate, saranno progressive ed essenzialmente volontarie. «Ma siamo pronti a prendere anche misure obbligatorie», ha aggiunto, annunciando che il presidente Carter farà quanto prima una dichiarazione in questo senso
L’Irak ha deciso di aumentare i prezzi del petrolio greggio dl 1,20 dollari al barile, cioè del 9% circa, con decorrenza retroattiva dal 1° marzo. Lo ha annunciato la giapponese Mitsubishi OiL. La decisione segue quelle dl altri paesi esportatori di petrolio (Kuwait, Emirati Arabi, Qatar, Libia, Algeria). In dicembre la conferenza ministeriale dell’Opec aveva stabilito per l’anno in corso un aumento del 14,5% dei prezzi del petrolio, da attuarsi in quattro stadi; l’aumento medio dei prezzi al termine del 1979 avrebbe dovuto risultare del 10%. Il GAO (General Accounting Office del Congresso americano) prevede, invece, che l’aumento reale sarà del 17%, in quanto i produttori di.petrolio stanno alzando i prezzi per trarre vantaggio dall’attuale minore disponibilità di greggio. L’Arabia Saudita ha intanto fatto sapere di non considerare necessario un aumento produttivo del suo greggio éntro il 1985, tenendo conto dell’evoluzione della domanda. Lo ha dichiarato il vice ministro delle risorse minerarie e petrolifere, Abdul Aziz Al Turki nel corso della riunione dei paesi dell’OPEC ad Abu Dhabi controbattendo un rapporto del «New York Timés» in base al quale la produzione dei pozzi petroliferi sauditi è ostacolata da difficoltà tecniche a causa delle quali se il paese fosse costretto a produrre 14-16 milioni di barili al giorno non potrebbe mantenere tale livello per più di 10 anni.
«Siamo in un momento ovattato dal benessere contingente. L’avanzo della bilancia dei pagamenti è largo (7 mila miliardi); le riserve valutarie elevate (9 mila miliardi, escluso l’oro); il credito internazionale dell’Italia ristabilito. La stessa crisi governativa non ha alimentato ondate speculative sulla lira: la calma regna sovrana, se si escludono le tensioni, peraltro di carattere generale, connesse alla crisi petrolifera iraniana. Ma è assurdo cullarsi nell’illusione delle apparenze. Il «problema SME» resta ed occorre domandarsi subito che cosa fare per restar nel nuovo sistema. Perché è chiaro che lo SME non si trasforma, almeno per noi, in una realtà effettuale in assenza di politiche economiche convergenti a livello europeo. La legge finanziaria, collegata al bilancio ’79, ha introdotto qualche limitato freno nella spesa pubblica: poco più di mille miliardi alla voce pensioni (a fronte dei 2 mila previsti); 500 miliardi nella spesa sanitaria, compreso il ticket sui farmaci (mentre l’ipotesi partiva da un risparmio di 1.100 miliardi); 300 miliardi nell’ambito degli enti locali (si era parlato di almeno 500 miliardi). La dinamica tendenziale all’aumento è stata appena scalfita. Mentre la spesa per investimenti, con un’accelerazione indicata in 1.600 miliardi, è ancora al palo, legata alle procedure burocratiche tipiche dell’amministrazione italiana. Nulla di fatto per il costo del lavoro e per la mobilità. Le trattative contrattuali sono in corso, ma anch’esse viaggiano su un binario morto» (Alberto Mucci, Corriere della Sera)
Entra in vigore il Sistema monetario europeo (Sme), sottoscritto dai paesi membri dell’allora Comunità europea (a eccezione della Gran Bretagna, che entrerà nel 1990). Costituisce un accordo per il mantenimento di una parità di cambio prefissata (stabilita dagli Accordi di cambio europei), che poteva oscillare entro una fluttuazione del ±2,25 per cento (del ±6 per cento per Italia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo), avendo a riferimento un’unità di conto comune (l’Ecu), determinata in rapporto al valore medio dei cambi del paniere delle divise dei paesi aderenti. Le linee di credito previste a Bruxelles a favore dello SME per un totale di 25 miliardi di scudi, ovvero circa 2,5 volte quelle precedentemente disponibili, rappresentano una massa di manovra assai notevole a sostegno degli accordi di cambio; il loro effetto dissuasivo nei confronti di eventuali attacchi al sistema si cumula con quello derivante dall’accresciuto grado di liquidità delle riserve auree» (Paolo Baffi, relazione del Governatore)
«La lira "first lady" d’Europa. L’insolito primato conseguito dalla nostra moneta dopo sette giorni dall’avvio dello SME sta suscitando i primi sorrisi a mezza bocca tra gli operatori dei cambi e qualche imbarazzo tra le cassandre che avevano pronosticato disastri sin dai primi passi compiuti dall’Italia nell’avventura valutaria europea. Nemmeno le opportune dichiarazioni di Baffi, tutt’altro che ottimistiche, sull’andamento tendenziale dell’inflazione nel 1979, sono valse a frenare il rialzo della lira, certamente non spettacolare ma costante. E’ stato smentito anche chi riteneva che dopo il balzo di lunedì (+ 1,87% nei confronti del franco belga; + 1,32% sul marco; + 1,07% sul franco francese) la lira dovesse subire ieri l’effetto delle prime operazioni di realizzo.» (Alberto Mucci, Corriere della Sera)
Dal diario del governatore della Banca d’Italia, Paolo Baffi. «23 marzo 1979. Alle 8,15 vado da Giulio Andreotti (allora presidente del Consiglio, ndr) e gli faccio rapporto sui problemi che mi angustiano (Baffi e il vice direttore generale di Bankitalia Mario Sarcinelli fatti ingiustamente bersaglio di pressioni politico-giornalistiche e di un’inchiesta della magistratura che si rivelerà infondata, ndr). Gli manifesto l’intenzione di ritirarmi non oltre il 19 agosto, gli faccio i nomi dei possibili successori, primo fra tutti Ciampi. Prende nota diligentemente e non si oppone…»
GINEVRA — Petrolio sempre più caro e in quantità insufficiente per alcuni mesi ancora a soddisfare i consumi dell’Occidente. Questo è il preoccupante panorama che si presenta all’indomani della conferenza straordinaria dell’OPEC tenutasi a Ginevra. A partire dal 1° aprile e per il solo secondo trimestre, il rincaro effettivo rispetto alla fine del 1978 salirà infatti al 23,5 per cento dal 14,5 per cento che costituiva il rialzo dei prezzi previsto per tutto il 1979 in base alle decisioni che l’OPEC prese nel dicembre scorso in Abu Dabi. Rialzi fino al 40 per cento saranno possibili, invece, per i greggi nordafricani e iracheni di cui l’Italia è forte acquirente. Ciò significa che invece di salire da 13,33 a 13,84 dollari per barile, come previsto, il prezzo di riferimento passerà, ufficialmente, a 14,54 dollari — con uno scatto dell’8,7 per cento sui primi tre mesi dell’anno — e di fatto a 15,75 dollari con un balzo inaspettato di oltre il 16 per cento rispetto ad ora. Un calcolo definitivo non è ancora possibile in quanto l’Arabia Saudita non ha fatto sapere a quanto del suo petrolio applicherà anche il sovrapprezzo, ma alcune stime giudicano che prevedibilmente un barile di petrolio prodotto dalla Libia e dall’Algeria potrebbe essere quotato fino a 19 dollari.
A marzo la produzione lorda di energia elettrica dell’Enel è aumentata del 9,6 per cento mentre i consumi nazionali sono cresciuti dell’8,4 per cento. La base di riferimento è il marzo del 1978. Alla produzione di energia che è stata nello scorso mese di circa 16,3 miliardi di kilowattora ha contribuito la fonte termica (termoelettrica tradizionale, in particolare) per oltre 12 miliardi e mezzo di kilowattora con un incremento del 13% rispetto al marzo ’78, mentre la produzione idraulica è rimasta pressoché invariata (circa 3,8 miliardi di kilowattora). I consumi di energia hanno avuto un’espansione omogenea in tutta Italia con punte di incremento del 9,6 per cento in Sicilia. Soltanto la Sardegna ha segnato un tasso negativo dell’1,5 per cento. Nel trimestre gennaio-marzo i consumi sono aumentati globalmente del 7,4 per cento.
Approvata la legge Prodi, dal nome dell’attuale ministro dell’Industria, Romano Prodi. Prevede che le aziende in difficoltà con più di 300 dipendenti, tre mesi di insolvenza e una certa situazione debitoria, possano accedere a un’amministrazione controllata invece di fallire.
«Sul mercato libero - dove Iraq, Nigeria, Libia, Qatar e Emirati vendono tutto il petrolio prodotto in eccesso ai livelli precedenti la rivoluzione di Khomeini — i prezzi restano sensibilmente superiori a quelli ufficiali. Su questo mercato passa tra l’altro tutto il greggio iraniano attualmente esportato (1,8 milioni di barili al giorno) dato che Teheran non ha ancora stipulato i nuovi contratti con le compagnie. I sovrapprezzi annunciati dalla maggioranza dei paesi Opec, oscillanti tra 1,14 e 5 dollari a barile, stanno inoltre provocando un rialzo quasi proporzionale del prezzo per il petrolio prodotto nel Mare del Nord, in Alaska e in Messico, il greggio britannico e norvegese è già salito a 18-19 dollari per barile, in linea con le quotazioni dei greggi nordafricani, quello messicano rincarerà intorno ai 16,50 dollari, quello dell’Alaska era già tra i più cari in assoluto. Il Canada ha fatto sapere che il suo petrolio leggero salirà a 18,41 dollari. Infine, è di ieri la notizia che l’Iran intende stipulare contratti a lungo termine con le compagnie nipponiche ad un prezzo rincarato del 32% rispetto al 1978 per il petrolio leggero e del 28% per quello mediopesante. Il prezzo medio predominante sul mercato mondiale si sta dunque avvicinando ai 17 dollari per barile contro poco meno di 13 dollari che costituivano la quotazione base soltanto alcuni mesi fa» (Corriere della Sera)
Produzione in milioni di barili al giorno nel 1978: Arabia saudita 8,5 Iran 5,2 Iraq 2,6 Venezuela 2,2 Kuwait 2,1 Libia 2,0 Nigeria 1,9 Emirati 1,8 Indonesia 1,6 Algeria 1,2 Qatar 0,5 Gabon 0,3 Ecuador 0,2.
«[...] La manovra di finanza pubblica è nuovamente espressa in termini di riduzione del disavanzo e del fabbisogno tendenziali. Il significato della manovra, anche perché è espresso mediante sette nozioni di disavanzo e di fabbisogno per 11 1979 e tre «soltanto» per il 1980 e 1981, è assai difficilmente comprensibile, almeno al non iniziati. E’ in parte imputabile a questa «oscurità» la quasi Indifferenza con cui la manovra di finanza pubblica disegnata nel plano è stata accolta. Tra l’altro l’oscurità ha reso possibili interpretazioni, anche autorevoli, riduttive del valore tecnico delle previsioni 1978-1979, ritenute sopravalutate, In misura tale da porre in dubbio 1 fondamenti della manovra proposta e 1 risultati che essa avrebbe conseguito. [...] Risulta così che tendenza alla crescita del livello della spesa pubblica, affermatasi dal 1970 con un aumento di circa 14 punti del reddito nazionale nei sei anni 1970-1975, ha trovato un momento di rallentamento nel 1976 e nel 1977, In cui la spesa è rimasta pressoché stabile intorno al 49 per cento del reddito nazionale. Ma la spinta a crescere è scoppiata nuovamente nel 1978. L’anno scorso la spesa pubblica ha toccato il 54 per cento del reddito nazionale (11 55,3 per cento con le regolazioni dei debiti pregressi). L’aumento della spesa pubblica, pari a cinque punti del reddito nazionale (a oltre sei con le regolazioni dei debiti), è per oltre tre quarti imputabile alla spesa di parte corrente [...]» (Franco Reviglio sul Corriere della Sera)
In Italia una riduzione del 5% dei consumi vuol dire 800.000 tonnellate in meno di benzina, 1.250.000 di gasolio e petrolio e 2.000.000 di olio combustibile.
Ecco il dettaglio dei contratti scaduti o in scadenza. I lavoratori coinvolti sono otto milioni. Tra parentesi le date di scadenza dei contratti. Metalmeccanici privati (1-1-70) 1.200.000 lavoratori Metalmeccanici PP.SS (1-1-79) 300.000 Edili (31-12-78) 1.000.000 Elettrici (31-12-78) 100.000 Tessili e abbigliamento (30-6-79) 700.000 Calzaturieri (30-6-79) 110.000 Chimici privati (31-3-79) 360.000 Legno e sughero (30-6-79) 290.000 Grafici (28-2-79) 115.000 Cartai (30-6-79) 120.000 Commercio (30-6-79) 900.000 Autoferrotranvieri (31-12-78) 150.000 Autotrasporto merci (30-9-79) 250.000 Bancari (31-12-78) 200.000 Braccianti (31-4-79) 1.500.000 Florovivaisti (31-4-79) 50.000 Fonte: Corriere della Sera
«Lei è democristiano, gli dico, cioè appartiene al partito che si dice sollecita la conclusione comunque dei contratti. Che cosa risponde? “Che c’è un documento governativo, predisposto da Pandolfl nell’agosto 1978, confermato nella sostanza in gennaio da una larga maggioranza politica e che anche l’attuale governo ha fatto proprio. Ebbene: si deve vedere se il governo fa sul serio o scherza”» (Nino Andreatta ad Alberto Mucci del Corriere della Sera)
I primi due mesi del 1979 hanno fatto registrare un sensibile aumento delle immatricolazioni di autovetture nuove di fabbrica. L’aumento è stato, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, del 19,4 per cento nel mezzogiorno e del 18,2 per cento nel complesso dell’Italia (dal Corriere della Sera)
Mentre l’Oapec prende una serie di misure drastiche contro l’Egitto, reo di aver firmato la pace con Israele, e l’Opec annuncia che riprenderà in esame il problema dei prezzi petroliferi alla prossima riunione di giugno, il governo iraniano dichiara di voler nazionalizzare tutto il settore petrolchimico acquistando le proprietà in mano agli stranieri. Intanto si susseguono voci e smentite su un imminente rimpasto del governo saudita per le tensioni in seno alla famiglia reale. Al termine di una riunione di emergenza del consiglio dell’Oapec, i paesi arabi produttori di petrolio hanno deciso di espellere dalla loro organizzazione l’Egitto e di applicare nei suoi confronti un embargo petrolifero totale. Fonti dell’industria petrolifera affermano che, nonostante l’Egitto goda di una produzione petrolifera propria, nel 1978 è stato costretto ad importare greggio dall’Arabia Saudita per un valore di 159 milioni di dollari. Secondo M. Ramzy El Leissy, presidente dell’organizzazione petrolifera egiziana, le misure prese dall’Oapec non avranno alcuna influenza sui progetti del governo egiziano in campo petrolifero, né sul transito del petrolio arabo attraverso il canale di Suez e l’oleodotto SuezAlessandria. «L’Egitto», hanno confermato fonti governative del Cairo, «intende diventare un grande esportatore di petrolio e punta ad una produzione di un milione di barili al giorno entro tre anni». La produzione attuale egiziana è di 25 milioni di tonnellate di greggio di cui una eccedenza (pari al valore di 800 milioni di dollari) viene esportata in cambio di petrolio raffinato. Da parte sua il presidente Sadat aveva annunciato lunedì che il recupero dei pozzi del Sinai e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi a ovest del canale di Suez consentiranno al suo paese di aderire nel 1982 all’Opec, l’otganizzazione dei paesi esportatori di petrolio (per aderire alla quale è necessario esportare petrolio per una cifra pari all’1% del prodotto nazionale lordo). Attualmente una cinquantina di compagnie petrolifere straniere, per la maggior parte americane ed europee, partecipano alle prospezioni di petrolio egiziano con accordi che, dal 1974 in poi, superano il miliardo di dollari.
ROMA — Il ponte sullo stretto di Messina, secondo le Ferrovie dello Stato, non sarebbe realizzabile: il forte vento, che spesso spira sullo Stretto, rischierebbe infatti di far deragliare i treni. La posizione delle Ferrovie è stata espressa in una lettera inviata a Lucio Libertini, presidente della commissione Trasporti della Camera. Nel documento le Ferrovie dello Stato manifestano «forti perplessità» nei confronti del progetto elaborato dalla società «Gruppo Ponte di Messina», di cui fanno parte la Finsider, la Fiat, la Montedison, la Pirelli, la Italcementi, la Lodigiani, la Girola, la Impresit assieme ad altre società.Il progetto prevede un ponte metallico sospeso a campata unica, di 3300 metri, che collegherebbe Reggio Calabria e Messina, sul quale circolerebbero sia i treni sia le automobili. La relazione delle Ferrovie dello Stato rappresenta un vero e proprio siluro nei confronti di quello che dovrebbe diventare il ponte più lungo del mondo. In caso di forte vento, si legge nel rapporto, i treni rischierebbero di deragliare, e la circolazione ferroviaria dovrebbe essere soppressa. In tal caso dovrebbero immediatamente entrare in funzione le navi traghetto, che dovrebbero quindi essere mantenute in esercizio, per essere usate solo nei casi di emergenza. Per tali motivi un ponte del genere risulta difficilmente compatibile con la marcia dei treni. Secondo le Ferovie è meglio prendere in esame altre soluzioni, come quella della galleria, o del tunnel sottomarino (dal Corriere della Sera)
«L’ultima volta che l’incremento mensile dei prezzi al consumo è stato contenuto al di sotto dell’1 per cento risale al dicembre ’78. In gennaio l’ inflazione è riesplosa al ritmo dell’1,9 per cento per poi lievemente attenuarsi in febbraio (più 1,5 per cento) e in marzo (più 1,2 per cento). La media trimestrale, riportata su base annua, è di gran lunga superiore al 12,9 per cento registrato nel 1978. Il dato dell’ISTAT riguardante aprile è atteso per metà maggio ma è sensazione che l’inflazione stia di nuovo viaggiando su trend assai sostenuti. Lo si deduce dalle rilevazioni provvisorie effettuate degli uffici comunali di Milano e Torino: nella prima l’indice dei prezzi in aprile segna un rialzo dell’1,43 per cento rispetto a marzo (più 1,31 per cento in marzo); nella seconda l’incremento è dell’1,36 per cento (più 1,04 per cento in marzo)» (Corriere della Sera)
WASHINGTON — Con un attacco di inconsueta violenza, che ha provocato immediate polemiche perché sospettato di essere diretto contro il congresso, il presidente Carter ha bollato a fuoco i tentativi di «annacquare» la sua proposta di imporre una tassa del 50 per cento sui profitti eccedenti goduti dalle società petrolifere dopo la recente revoca dei controlli sul prezzo del petrolio. A 955 milioni di dollari per la Exxon e 349,1 milioni di dollari per la Standard Oil sono ammontati gli utili nel primo trimestre del 1979. Le cifre confermano quanto appariva scontato soprattutto alla luce del blocco della produzione determinato in Iran dalla rivoluzione contro lo Scià; la «stretta» nelle disponibilità di petrolio e benzina si è tradotta in vera e propria manna per i giganti internazionali che controllano il mercato del greggio. Le stesse Exxon e Standard hanno del resto ammesso di aver largamente beneficiato della «carestia» petrolifera precipitata dagli eventi iraniani.
«Negli Usa l’inflazione è al 13,7%. I prezzi al consumo sono aumentati dell’uno per cento negli Stati Uniti nel mese di marzo contro un aumento dell’1,2 in febbraio. Lo ha annunciato Ieri il Dipartimento del lavoro. L’Indice risulta salito a fine marzo a 209,1 punti (1967 eguale 100) con un aumento del 10,2 dal marzo 1978. Per il primo trimestre 1979 i prezzi sono aumentati, ha aggiunto Il dipartimento, ad un tasso annuale del 13, il livello più alto dal 13,7 registrato per il terzo trimestre del 1974» (Corriere della Sera).
Pierre Carniti, 43 anni, è il nuovo segretario della Cisl. Subentra a Luigi Macario, che era al vertice del sindacato dal 1977.
«In effetti, dopo il forte aumento di gennaio (che scontava un ritardo di due mesi d’applicazione dell’equo canone per le abitazioni), gli scatti mensili erano andati progressivamente attenuandosi: +1,5% a febbraio e +1,2% a marzo. Aprile, dunque, ha sconfessato coloro che cominciavano a sperare in un’attenuazione della spinta inflazionistica. Quanto alle cause della ripresa dello stato febbrile, si pensa, come ha scritto giovedì Innocenzo Cipolletta nella nota congiunturale pubblicata sul “Corriere dell’economia”, che sia legata a fattori specifici, come le condizioni atmosferiche, che hanno provocato rincari nel settore degli ortofrutticoli, i rialzi di prezzo di alcune materie prime e l’attesa per il rinnovo dei contratti di lavoro. A tutto questo va aggiunto il clima di preoccupazione determinato dalla nuova ascesa del prezzo del petrolio. È però evidente che le ragioni che concorrono a favorire l’aumento dei prezzi sono a tal punto numerose che è difficile sperare nella loro temporaneità».
«Anzitutto l’Iran islamista, per decreto di Khomeini, ha sottratto agli scambi 2 milioni di barili al giorno, il 4 per cento delle forniture nel mondo. Inoltre i governanti islamici dell’Arabia Saudita, dopo l’arbitrato di Carter per la “pace separata” fra Egitto e Israele, non manifestano alcuna propensione a colmare il vuoto e “dilapidare la propria ricchezza al ritmo delle esigenze occidentali”». (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera) • La bolletta Opec aumenta già quest’anno di duemila miliardi.
Pochi giorni fa, James Reston scriveva sul New York Times che cercare il capro espiatorio (una parola sola, «scapeagoatting») è ora il massimo gioco a Washington: «Nessuno sa come distribuire la benzina, ma tutti sanno come distribuire il biasimo. Il presidente Carter biasima il Congresso perché ha respinto il suo piano di razionamenti, il Congresso biasima lui per aver proposto un piano sbagliato nel momento sbagliato». E a Sacramento, nella California in cui si percorrono 120 miglia per un invito a cena oltreché per praticare una professione, già cominciano le minacce a mano armata per qualche gallone in più. È possibile distribuire carte di razionamento secondo il numero di automobili per famiglia? Chiunque può comprare automobili usate e ottenere tagliandi per qualche vecchio relitto che non userà mai, sapendo che il controllo pubblico dell’intero mercato richiederebbe un’economia da stato d’assedio. È possibile ridurre i consumi aumentando i prezzi dei carburanti, ma senza provocare più alti tassi d’inflazione? Non aumentare i prezzi, rinunciando al razionamento, sarebbe tuttavia cedere pur sempre all’inflazione indotta dal peso maggiore delle importazioni di petrolio sulla bilancia valutaria. Ma come persuadere la gente, senza costrizioni dirette e indirette, a starsene più quieta o andarsene a piedi, economizzando inoltre l’elettricità prodotta dalle centrali termiche a petrolio? Simili questioni ormai sono controverse in tutte le società industriali, dipendenti dall’energia come grandi o piccoli luna-park (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera).
Dopo l’embargo petrolifero del ’73 e l’avvento della petrolcrazia con la quadruplicazione del «posted price», la nuova crisi è dovuta a due circostanze. Anzitutto l’Iran islamista, per decreto di Khomeini, ha sottratto agli scambi 2 milioni di barili al giorno, il 4 per cento delle forniture nel mondo. Inoltre i governanti islamici dell’Arabia Saudita, dopo l’arbitrato di Carter per la «pace separata» fra Egitto e Israele, non manifestano alcuna propensione a colmare il vuoto e «dilapidare la propria ricchezza al ritmo delle esigenze occidentali». Il deficit del 4 per cento non sarebbe molto in sé, ma come sempre, secondo il detto arabo, «è l’ultimo filo di paglia che spezza la schiena del cammello». Infatti è abbastanza per innescare una spirale di azioni e reazioni (aumento del prezzo, accumulazione speculativa delle scorte che prevede o provoca nuovi aumenti ecc.), dilatando il divario tra domanda e offerta fino al 20 o 30 per cento. Nella spirale perversa congiurano insieme quegli «organizzatori della penuria» che sono i venditori del cartello OPEC e i massimizzatori di profitto delle compagnie petrolifere, i governi irresoluti o maldestri e i consumatori inesausti. Almeno gli Stati Uniti sono ricchi di carbone, non devono importare tutto il petrolio che consumano, posseggono risorse come l’immenso «surplus» dei cereali e potranno ricordare ai governi dell’OPEC che sia il petrolio sia il grano si misurano a barili. Per le economie di semplice trasformazione, le prospettive sono peggiori. «Gli esperti sembrano unanimi, non siamo che agli inizi della grande penuria», annuncia a Parigi il Nouvel Observateur. E in condizioni di scarsità, altri incidenti sono possibili dopo la vicenda dell’Iran (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)
«Quali, allora, le cause italiane dell’inflazione? La risposta, dati alla mano, è una sola: la quantità di moneta introdotta nel sistema (con la spesa pubblica in posizione preminente). A prezzi costanti, cioè senza tener conto della svalutazione, la quantità di moneta è cresciuta nel 1978 del 12 per cento rispetto al livello del 1977, di fronte ad un aumento medio del 3,6 per cento nel periodo 1973-77. Abbiamo scritto, mesi or sono, che l’Italia navigava in acque tranquille, ma con un forte carico inflazionistico dovuto alla liquidità interna. Ebbene: questo carico comincia a muoversi, la nave ad oscillare. E s’avvicinano mari procellosi (mentre all’estero l’inflazione è dovuto al rialzo delle materie prime, in primis del petrolio)» (Corriere della Sera)
ROMA — «Paolo Baffi che compie 70 anni l’anno prossimo ha pubblicamente manifestato, ieri al termine dell’assemblea della Banca d’Italia, l’intenzione di lasciare l’incarico di Governatore. Il limite temporale del 1980 che si era posto, ha detto, «è ora toccato, in una situazione rafforzata della lira». Attenderà però che in seguito alla formazione del nuovo governo, dopo le elezioni, si definisca meglio il quadro entro il quale collocare la scelta del successore, fondata su -un ampio e ben distribuito consenso-. Ecco i dati salienti della relazione: SME: è partito bene; nella prevista prima revisione del sistema si dovranno affrontare i problemi irrisolti: fra essi i margini di oscillazione. È difficile che si possano evitare in futuro aggiustamenti reciproci nei rapporti di cambio. ITALIA: le riserve ufficiali, alla fine di aprile, ammontano a 27.400 miliardi. Situazione buona per i prossimi mesi. Ma vanno affrontati i nodi strutturali interni, anche perché dense ombre gravano sul futuro (inflazione, crisi energetica, ecc.). Nelle condizioni valutarie attuali, molte restrizioni potrebbero essere allentate: in particolare quelle sui termini di regolamento delle importazioni e delle esportazioni, sulla durata dei conti valutari, sulle assegnazioni di valuta per viaggi a scopo turistico, sulle operazioni commerciali eseguite senza formalità valutarie» (Corriere della Sera)
«L’economia italiana esprime una vitalità di fondo che le ha permesso di raggiungere nel 1978 significativi risultati, che riflettono però l’azione di fattori contingenti, piuttosto che di mutamenti di struttura. Dense ombre gravano in realtà sul futuro. La crisi affonda le sue radici nei salvataggi industriali e finanziari del 1933, e si è sviluppata con una legislazione che ha aggiunto norma a norma, con una stratificazione che le gravi vicende economiche del 1973 hanno fatto emergere con forza. Siamo entrati nello SME con un accorto pilotaggio della lira; la manovra del cambio ha consentito un miglioramento della nostra competitività; l’attività produttiva è in ripresa; le riserve valutarie abbondanti, tali da dissuadere la speculaztone. Ma il quadro è tutt’altro che definito e stabile. Vi sono fattori internazionali di tensione e di preoccupazione (le spinte inflattive tornano a prevalere sugli intendimenti di crescita reale e di sviluppo dell’occupazione); ci sono anche e soprattutto fattori intemi, congiunturali e strutturali, che si assommano in lunga concatenazione, da rimuovere con un’azione che il piano triennale aveva individuato nel gennaio scorso, ma che è rimasta sulla carta. Non si può fare ulteriore affidamento su ’fenomeni di lavoro grigio o nero’. Per restare al tema più pressante, la ripresa dell’inflazione, la manovra del cambio (cioè la svalutazione della lira), da sola non basta se non vengono simultaneamente combattute le cause della crescita dei prezzi, dall’incremento del costo del lavoro, alle inefficienze produttive, all’affievoltmento della concorrenza, al disavanzo del settore pubblico. Condizioni da soddisfare: relazioni industriali che non compromettano la remunerazione del capitale e permettano la ripresa diffusa degli investimenti; revisione dei congegni di indicizzazione pressoché completa dei salari; messa sotto controllo del disavanzo pubblico; superamento delle carenze infrastrutturali con la possibilità di azionare i relativi investimenti in funzione anticiclica; manovra delle tariffe e dei prezzi pubblici che, tenendo conto del saggio d’inflazione, non determini un’offerta di beni e di servizi sotto costo; abbandono dell’illusione della scorciatoia dei controlli amministrativi» (Alberto Mucci, Corriere della Sera).
È in questi giorni in distribuzione la terza tranche dei buoni del Tesoro, emessi per pagare ai lavoratori dipendenti una parte della contigenza. Come è noto, infatti, a partire dall’ottobre 1976, sono stati introdotti dal Governo alcuni provvedimenti con lo scopo (dichiarato) di contrastare l’ inflazione. Era stato cosi deciso di «costringere» tutti coloro che ricevevano stipendi superiori ad un certo limite a contrarre un credito forzoso con lo Stato Le cose erano andate esattamente in questo modo: nel periodo 1 ottobre 1977-30 aprile 1978,1 lavoratori che avevano stipendi superiori ai sei milioni, si videro pagata la maggiore contingenza scattata i in quei mesi, in tutto o in ’ parte, in speciali buoni del Tesoro. Questi titoli coprivano l’intero ammontare della nuova contingenza per i redditi superiori agli otto milioni e soltanto il 50% di esso per i redditi compresi fra i sei e gli otto milioni. In sostituzione dell’importo «congelato» furono preparati appositi titoli, in tagli che andavano da 5.000 a 500.000 lire aventi validità 5 anni, al termine dei quali il rimborso avverrà alla pari. I buoni sono stati emessi in tre successivi momenti: il 1" luglio .’77 (per il periodo ottobre ’76-giugno ’77); il1° gennaio ’78 (per il luglio ’77-dicembre ’77) e il 1° luglio ’78 (per 1 primi quattro mesi del’78. La prima franche è stata emessa al tasso di interesse del 14% e le successive al 13%. La distribuzione dei titoli avviene in ritardo rispetto alla data di emissione, ma la cosa norché tanto gli interessi cominciano ad essere pagati un anno dopo l’emissione I «buoni-contingenza» non sono commerciabili, però si sa che individui poco scrupolosi hanno cercato di farne incetta, pagandoli magari al disotto del loro valore nominale. Noi riteniamo che non sia consigliabile cedere tali buoni in quanto essi, come abbiamo detto, offrono una remunerazione superiore a quella di qualsiasi altro titolo oggi in commercio. B. C.
ROMA — Gli autotreni e le auto diesel non potranno più fare il pieno di gasolio in Italia prima di passare la frontiera. Il quantitativo massimo di gasolio consentito nel serbatoio all’attraversamento della frontiera in uscita dall’Italia sarà di 30 litri per le auto diesel e di 200 litri per gli autotreni. Il provvedimento è stato firmato ieri sera dal ministro dell’Industria Franco Nicolazzi al fine di contrastare un fenomeno che aveva provocato gravi carenze di gasolio per autotrazione nelle zone di frontiera. Infatti le auto diesel straniere e soprattutto i giganteschi autotreni «TIR» (spesso con serbatoi aggiuntivi) hanno fatto sino ad oggi il «pieno» di gasolio in Italia per poi ripassare la fronttera, avvantaggiandosi cosi del prezzo del gasolio inferiore nel nostro Paese rispetto all’estero. Il decreto di Nicolazzi si applica formalmente a tutti i veicoli diesel sia italiani che stranieri ma, in pratica, è rivolto ad automobilisti e camionisti provenienti dall’estero.
Ecco le proposte di Nicolazzi per il risparmio di petrolio a breve termine: 1) Impiego di maggiori quantità di carbone nelle centrali elettriche e nei cementifici (risparmio di 1.300.000 tonnellate annue di olio combustibile); 2) Riduzione dei limiti di velocità sulle autostrade a 120 chilometri orari per le auto e a 80 chilometri per gli autotreni (risparmio benzina, 200 mila tonnellate annue; gasolio, 110.000 tonnellate annue); 3) Limitazione del gasolio nei serbatoi degli autocarri (200 litri) e delle auto diesel (30 litri) alla frontiera. Nicolazzi ha firmato mercoledì sera il decreto (risparmio 60.000 tonnellate annue di gasolio); 4) Rigorosa limitazione di parcheggio nei centri storici; 5) Anticipo dell’obbligo di applicazione dei termoregolatori per riscaldamento nelle vecchie abitazioni, rigoroso controllo del limite di 20 gradi e fissazione di una temperatura minima per l’aria condizionate; 6) Estensione del periodo dell’ora legale che durerà dal primo aprile al 31 ottobre (risparmio 90 mila tonnellate di olio combustibile); 7) Sospensione delle agevolazioni sui consumi ai dipendenti delle aziende elettriche (risparmio 80 mila tonnellate di olio combustibile). L’attuale beneficio sarà tradotto in termini salariali; 8) Allungamento delle vacanze natalizie nelle scuole; 9) Introduzione della settimana corta nel settore pubblico e nelle scuole (diminuzione del 15-30 per cento dei consumi annuali); 10) Abolizione, dal 1980, del servizio buoni benzina per stranie
GINEVRA — A mezzogiorno, dopo due giorni e mezzo di burrascose riunioni, i ministri del petrolio del tredici Paesi dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countrles), riuniti nella 55a conferenza dell’organizzazione, hanno annunciato di aver raggiunto un’intesa sull’aumento del prezzo del greggio. Ecco di che si tratta: il prezzo di un barile (litri 158,98) di petrolio greggio del tipo «arabico leggero» è stato portato da 14,55 a 18 dollari (un dollaro vale attualmente 832,50 lire) . I Paesi dell’OPEC sono autorizzati ad aggiungere al prezzo del loro greggio un ulteriore aumento di due dollari, se le condizioni del mercato lo richiedono, arrivando cosi a 20 dollari il barile. Tenendo conto di altri oneri e della qualità del greggio, è concesso applicare un ulteriore aumento. Il prezzo massimo non potrà superare i 23 dollari e mezzo al barile. II nuovo listino andrà in vigore domenica prossima 1° luglio. L’accordo raggiunto sarà riesaminato fra tre mesi. La prossima conferenza normale dell’OPEC è prevista per il 17 dicembre a Caracas. Un altro motivo d’inquietudine è espresso dai Paesi dell’OPEC nel loro comunicato. Riguarda le oscillazioni del dollaro, la cui perdita di valore «erode il prezzo reale del petrolio». La conferenza ha deciso di convocare una riunione straordinaria se tali movimenti dovessero tradursi in un nuovo ridimensionamento del valore effettivo dei redditi dell’OPEC. La riunione avrebbe principalmente lo scopo di decidere «l’elaborazione di un paniere monetario» sostitutivo del dollaro come mezzo di pagamento del petrolio. (dal Corriere della Sera del 29 giugno)
Le manifestazioni dei metalmeccanici in lotta per il rinnovo del contratto paralizzano l’Italia
«I giornali americani descrivono da mesi lo stato di ansia collettiva che s’è propagato prima in California, poi a Nuova York e sull’intera costa atlantica, dinanzi alle erratiche apparizioni della carestia petrolifera: “Molti — segnala Robert Sincr sulla Herald Tribune — non dormono più, angosciati dal pensiero di prender posto in fila davanti a un distributore. Molti non si muovono più, timorosi di non poter tornare a casa. Altri fumano di più, bevono di più, mangiano di più ... ”. Le cronache segnalano anche fenomeni di tensione violenta, come i casi estremi di “pazzia da impedimento”: i duelli a mano annata fra le pompe di Brooklyn, la sommossa di Levittown in Pennsylvania. [...] La prospettiva è specialmente grave per un’economia di trasformazione come quella dell’Italia, la quale non produce come gli Stati Uniti oltre metà del greggio che consuma, né ha costruito o costruisce centrali nucleari in proporzione, ma nello stesso tempo non compensa l’importazione di petrolio (tremila miliardi in più nel 1979 dopo le decisioni dell’OPEC a Ginevra) con esportazioni paragonabili a quelle dell’industria di trasformazione giapponese o tedesca. Qui dunque si presenta il caso d’una società povera di risorse naturali e tecnologiche, la quale accresce tuttora il consumo di combustibili al ritmo del 10 per cento l’anno e compete nello sperpero con le società ricche, mentre i governanti somigliano sempre più a quei capi tribù del regno di Melchiorre, studiati dall’antropologo Lienhardt, che invitati a operare e decidere “accampavano scuse e parlavano d’altro, come se fosse stato detto qualcosa d’indecente”» (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)
ROMA — È rallentato, in giugno, l’incremento del carovita. L’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, rilevato dall’Istat, è aumentato infatti dell’1% su maggio, che aveva registrato un incremento del 1,3% sull’1,6% di aprile. Una frenata, dunque, che dà un certo respiro alla impennata presa nei mesi scorsi dall’inflazione. L’aumento dell’1 per cento di giugno è il più basso dall’inizio dell’anno, un anno che era iniziato con un allarmante balzo dell’1,9 per cento, sotto la spinta degli effetti dell’equo canone. Con l’aumento di giugno, il tasso annuo di incremento dell’indice, e cioè la variazione percentuale rispetto al corrispondente mese dell’anno scorso, è risultato pari al 14,7 per cento.
Firmato il contratto dei metalmeccanici. Le cinque festività religiose abolite vengono trasformate in cinque gruppi di 8 ore di permesso retribuito (successivamente portate a quattro gruppi di 8 ore con la riconferma dell’Epifania); inoltre viene sancita una riduzione dell’orario di lavoro pari a 40 ore annue per alcuni comparti della metalmeccanica; nei fatti quest’ultimo punto verrà disatteso dalla controparte (https://sites.google.com/site/storiadelmovimentooperaio/cronologia/1979).
Delibera Cipe sull’aumento dei prezzi e delle tariffe PANE • Aumento da 100 a 200 lire al chilo dalla pubblicazione della delibera Cipe sui prezzi "sorvegliati". • CARNE Aumento determinato, a partire dalla pubblicazione della citata delibera Cipe. • GIORNALI - Aumento di 50 lire dal 1° agosto. • CANONI ABITAZIONI • Seconda fase di applicazione, a partire dal primo agosto, della legge sull’equo canone. Per gli inquilini con reddito annuo superiore agli otto milioni, applicazione anche del sistema indicizzato riferito al 75% dell’aumento del costo della vita (dati Istat). • MEDICINALI Aumento del 21%, in media, dalla pubblicazione, sulla Gazzetta Ufficiale, della delibera Cipe (non prima della fine di agosto). • FERROVIE - Aumento tariffario del 10% dal 1° settembre. • AEREI Per i collegamenti intemazionali, aumento del 5-10 p FERROVIE - Aumento tariffario del 10% dal 1° settembre. • AEREI Per i collegamenti intemazionali, aumento del 5-10 per cento dal 1° settembre. • TELEFONI - Aumento non precisato (la richiesta è del 25 per cento) in data ancora da definire.
«Le querimonie eticizzanti sui peccati del consumismo, Gomorra dell’età industriale, nemmeno frenano quei giochi di consumo che nell’estate dei sette soli sono il «diritto allo scooter» del quattordicenne-massa e lo sgommare del cittadino adulto dall’angolo della strada al più vicino tabaccaio, il frastuono incessante degli audio e il boom dei più futili servomeccanismi da luna-park. La prospettiva che l’Italia non possa esportare abbastanza per pagare il suo enorme conto petrolifero è semplicemente ignorata, come la flagrante violazione dell’impegno a ridurre almeno del 5 per cento il consumo energetico nazionale.La collettività sopporta ogni specie di prediche, anzi talvolta se ne compiace come d’un gratificante atto penitenziale... Ma senza effetti pratici. E quando mai fu possibile governare un’economia con le prediche? Vengono applaudite persino certe oscure profezie teologico-ideologiche sulla fine della civiltà industriale, poiché rinviano qualsiasi problema a un incerto giorno del giudizio. Ma senza conseguenze immediate. Descrivendo la crisi energetica come un evento millenaristico, troppo disastroso perché ci sia qualche cosa da fare, forse i rovinologhi piacciono proprio perché distolgono l’attenzione dal problema urgente delle cose da fare, anzitutto consumare meno petrolio» (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)
«È di questi giorni la notizia che l’URSS avrebbe proposto all’Italia una straordinaria «joint venture». Costruire insieme centrali nucleari in territorio sovietico, magari ai confini con l’Ungheria e la Cecoslovacchia, per fornire energia elettrica all’Italia attraverso una linea di 700-800 chilometri. L’URSS infatti è ricca non solo di gas naturale, che già fornisce all’Italia con un metanodotto, e di petrolio, che potrebbe fornire con un oleodotto, ma può costruire quante centrali nucleari vuole il suo governo senza incontrare proteste di movimenti ecologici e consigli comunali. La notizia è interessante, se non altro come prefigurazione d’un avvenire di rubinetti energetici in mani altrui, custoditi in qualche profondità della steppa. Qualcosa di simile fu già pronosticato da Andrej Sacharov, come fisico nucleare e come dissidente sovietico, in una lettera del 1977 a Le Monde, quando rivolgendosi in genere agli europei sollevò la questione dell’indipendenza energetica, economica e politica «per i vostri figli e nipoti». Non rimane che perseverare nel luna-park, vezzeggiare ancora il quattordicenne-massa con «diritto allo scooter», e ci giochiamo anche l’indipendenza. Per i figli e i nipoti, o forse anche prima» (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera)
WASHINGTON — Gli Stati Uniti con un tasso di inflazione su base annua superiore al 13 per cento rischiano di conoscere nel 1979 la peggiore annata dal dopoguerra sul fronte del costo della vita. Dopo l’annuncio del rialzo dell’uno per cento dei prezzi al consumo nel mese di giugno, Alfred Kahn, consigliere speciale del presidente Carter incaricato della lotta contro l’inflazione, ha indicato che i costi energetici hanno contribuito per il 50 per cento a questo aumento dei prezzi al dettaglio. Senza il caro petrolio il tasso annuale d’inflazione sarebbe ridotto attorno al 10 per cento, anche perché i prezzi alimentari si mantengono su incrementi modesti (in giugno sono cresciuti dello 0,2 per cento)
ROMA — Gli aumenti dei prezzi della benzina, del gasolio e di alcuni altri prodotti petroliferi sono già in vigore da oggi. Ieri, come previsto, il consiglio dei ministri ha discusso il problema per arrivare alla decisione collegiale chiesta esplicitamente dal ministro dell’Industria, Nicolazzi; subito dopo si è riunito il CIP (Comitato interministeriale prezzi) che ha formalizzato gli aumenti. Le 50 lire di aumento che portano il prezzo della benzina a 550 sono così ripartite: 40 lire alle compagnie petrolifere, 4 ai gestori, 6 di IVA. L’Unione petrolifera, soddisfatta degli aumenti, ha comunicato che gli operatori del settore «sono ora in grado di poter garantire la tranquillità del mercato interno». Comunque, mentre per la benzina non ci sono mai state grosse difficoltà (nel secondo semestre del 1979 la quantità di prodotto disponibile in Italia sarà di 300.000 tonnellate superiore alla prevedibile richiesta), per il gasolio sarà necessario attendere qualche tempo prima di arrivare ad un sostanziale miglioramento degli approvvigionamenti.
«[...] Guardiamo, infatti, l’evoluzione delle retribuzioni reali (ad esempio nel settore industriale e nello stesso arco di tempo): la lira è «più povera», ma gli italiani risultano più ricchi. Facciamo parlare le statistiche. L’indice dei prezzi, fatto 100 il 1950, passa nel 1978 a 547,3. Nello stesso arco di tempo i salari giornalieri dell’industria, sempre con 100 il dato 1950, passano a 1612,3. La statistica ci informa, quindi, che i salari sono aumentati in 18 anni 3 volte circa più di quanto sono aumentati i prezzi» (Corriere della Sera).
Jimmy Carter ha nominato Paul Volcker, 52 anni e quasi due metri d’altezza, presidente della Federal Reserve.
«ROMA — Lo scorso mese di luglio, l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati — meglio noto come indice del costo della vita — ha registrato un aumento dello 0,9% rispetto al precedente mese di giugno, un dato sebbene in leggera flessione nei confronti dello scatto (+1%) che si registrò a giugno, che non modifica l’andamento a medio termine di questo rilevatore inflazionistico. Con lo scatto di luglio, raggiunto con uno spostamento dell’indice a quota 153,3 punti (1976=100), il tasso annuo dell’incremento del costo della vita si colloca al 14,9%, in aumento rispetto al tasso del 14,7% che si segnava a giugno. Pertanto si deve rilevare il persistere di una tensione inflazionistica piuttosto pressante che, tra l’altro, ancora non registra gli incrementi di prezzi decisi negli ultimi giorni o che dovranno essere praticati entro questo mese». (Corriere della Sera)
Nella prima metà dell’anno la produzione Industriale è salita del 7% rispetto ai livelli dello stesso periodo del 1978, e tale sviluppo ha interessato quasi tutti i settori industriali. L’inflazione tuttavia ha raggiunto a maggio il tasso annuale del 14,5%, livello che denota una rinnovata tendenza all’aumento dopo il rallentamento conseguito nel 1978. L’istituto tedesco sottolinea con sorpresa che né la bilancia commerciale, né quella dei pagamenti, né il corso della lira mostrano di subire effetti negativi per conseguenza del rincaro del greggio e di altre materie prime. Secondo Tifo, il passivo commerciale, di entità assai lieve e pari a soli 348 miliardi di lire l’anno scorso, dovrebbe tuttavia aumentare di circa dieci volte nel 1979 a causa di massicci reintegri di scorte, per effetto del rincaro del petrolio ed anche in seguito al rafforzamento registrato dal dollaro nella prima metà dell’anno. Secondo Tifo, comunque, un passivo commerciale dell’ordine di 3500, 4000 miliardi di lire risulterebbe «più che soddisfacente-. [Dati Ifo, istituto per le ricerche economiche tedesco] (Corriere della Sera)
Paolo Baffi si dimette da governatore della Banca d’Italia.
«Sta di fatto che una politica di austerità è oggi la sola possibilità nell’ordine delle cose razionali. L’economia italiana è un sistema di trasformazione pura, che deve importare tutte le materie prime e gran parte dei prodotti agricoli. Ha subito la massima sottrazione di reddito reale a causa dell’esplosione dei prezzi del petrolio, proprio mentre i costi del lavoro per unità di prodotto aumentavano più che nelle altre società industriali. Ora la nuova tassa petrolifera, che per l’Italia è doppia rispetto alle perdite di altre nazioni, elimina le ultime risorse disponibili, che potevano servire per comporre o mitigare le contese tra ceti e categorie sulla distribuzione del reddito.Lo scialo di benzina che s’è visto nell’estate, per esempio, è o non è consumo di massa? Né dal punto di vista generale delle masse è lecito concludere che «se l’economia è in crisi peggio per l’economia», poiché alla fine sarà peggio comunque per le masse. Si può discutere invece sui consumi non riducibili e si possono ripartire gli oneri secondo un codice di corresponsabilità fra tutte le forze politiche e sociali, sapendo bene che senza una condotta responsabile verso la società delle categorie di reddito più alto, e una severa politica dello Stato verso i ceti o gruppi irresponsabili, non è mai lecito aspettarsi niente.Questa non è solo un’opinione del comunista Berlinguer. Già il liberale Keynes osservava che l’immensa accumulazione di capitale fisso realizzata con grande beneficio dell’umanità nel mezzo secolo precedente la prima guerra mondiale, per esempio la costruzione delle ferrovie lasciata quale «monumento alla posterità», non sarebbe stata possibile senza limitare i consumi, ma che d’altra parte non sarebbe stato possibile limitare i consumi se le classi di reddito maggiore avessero speso le nuove ricchezze «per i propri piaceri» anziché risparmiare e accumulare «come le api» in un’epoca nella quale «il dovere del risparmio riassumeva i nove decimi dell’imperativo morale». Così era in quell’età che pure fu detta belle époque» (Alberto Ronchey sul Corriere della Sera).
«Sono una moglie e madre disperata perché sto per perdere mio marito, a cui voglio molto bene: è il padre di mia figlia. Ti prego di pubblicare questa mia lettera senza firma. Ti supplico di aiutarmi. È urgente. Mio marito si è lasciato prendere in una rete di speculatori dalla quale non riesce ad uscire. Ha iniziato a farsi prestare soldi alcuni anni fa durante la malattia della madre morta, poi, di cancro. Negli annunci economici – proprio qui sulla Stampa di cui è fedele lettore – c’è una serie terribile di questi “presta-soldi, divora-persona”. Lui ci è cascato. Il tasso d’interesse è dal 50 per cento in su. Due anni fa mi sono accorta casualmente della cosa (mia figlia aveva sei anni). Sorpresa tremenda e angoscia. Non ne sapevo nulla, non sapevo neanche dell’esistenza di queste cose. Vendendo l’appartamento in cui abitavamo e grazie ad alcuni parenti intervenuti, siamo riusciti a far fronte alla situazione. Lavorando ed economizzando questa primavera abbiamo finito di saldare i debiti. Così credevo io e cominciavamo a sperare nei giorni più sereni. L’altro giorno arriva, inaspettato, un avviso di cambiale. Telefono, vado a vedere… Mio marito confessa che la faccenda non era in pratica mai finita ed ora ci sono circa 8 milioni da pagare di cui due al 30 agosto – 1° settembre. Come fare? Sono profondamente disperata. È questa la società in cui crescono i nostri figli? Non si riescono ad arginare cose simili? Chi promuove queste organizzazioni mostruose sarà mai punito? Vorrei salvare la mia famiglia. Chi può e vuole aiutarmi? È urgente.» (Specchio dei Tempi - La Stampa)
Nella scala dei paesi colpiti dall’inflazione l’Italia è superata soltanto dalia Gran Bretagna. Nei sei mesi terminati a luglio l’aumento dei prezzi espresso in termini annuali risulta pari al 16,5% (contro il 13,0% dei dodici mesi terminati a luglio), per l’Italia, mentre per l’Inghilterra è pari al 22,3% (contro il 15,6% nei dodici mesi). La Francia registra una crescita del 12,2% dei prezzi (contro il 10,3%), e la Germania del solo 8,7% (4,6%). L’impennata dei prezzi al consumo ha riguardato anche il Giappone dove il tasso annuo nei sei mesi raggiunge il 7.9% contro il rincaro del 4,2% registrato nell’anno terminato a luglio. Preoccupante anche la situazione statunitense, dove i prezzi segnano una crescita del 14,4% nel semestre confro un tasso precedente dell’11,2%.
Il governo italiano ha perfezionato gli accordi per il rimborso dell’ultimo prestito, pari a 342 milioni di dollari, ottenuto dal Fondo monetario internazionale. La somma era stata accordata all’Italia per il finanziamento delle importazioni petrolifere. La notizia è stata confermata da fonti ufficiali durante la visita del ministro del Tesoro Pandolfi a Washington. Nella capitale statunitense Pandolfi ha avuto un colloquio con Jacques de Larosière, direttore del PRO. La produzione industriale, ha sottolineato il ministro del Tesoro, si mantiene a «livelli positivi», grazie anche «alla vitalità delle piccole e medie industrie». Il tasso d’ inflazione rimane invece a livelli preoccupanti, intomo al 15-16%.
Il prezzo della benzina aumenta da oggi (+50 lire, il prezzo per litro arriva a 600 lire) assieme a quello del gasolio da riscaldamento e di altri prodotti petroliferi: è con questa manovra esclusivamente fiscale che il governo intende finanziare il nuovo «fondo per il settore energetico» di circa 1000 miliardi annui. Nel «fondo» affluiranno anche 1.120 miliardi risparmiati con l’abolizione dei buoni-benzina per i turisti stranieri a partire dal primo gennaio 1980. Queste le decisioni di carattere fiscale del lungo e animato consiglio dei ministri di ieri convocato per approvare le prime misure per far fronte all’emergenza energetica
Gli Usa, che amministravano il Canale di Panama e l’area circostante (ma non la capitale Panama City), trasferiscono allo stato di Panama la sovranità del canale. Ma il provvedimento diventerà operativo il 31 dicembre 1999.
«Da gennaio a marzo la produzione industriale era aumentata, rispetto alla media del 1978, del 5,4%. Le successive perdite di produzione legate agli scioperi hanno fatto sì che a fine luglio l’aumento medio della produzione si sia ridotto al 3,7%. E’ possibile che nei prossimi mesi si recuperi il trend di crescita d’inizio d’anno? Ciò richiederebbe un aumento della produzione industriale — da luglio a dicembre — del 10%, cioè una crescita ancora superiore all’impennata di fine 1978. Ma questo risultato non appare più sostenibile dal lato della domanda. Il rallentamento dell’economia mondiale sta già portando a una minor crescita delle esportazioni e per quanto riguarda la domanda interna se non è sicura una caduta dei consumi non è certo prevedibile una loro accelerazione. I risultati del 1979 appaiono dunque compromessi: gli scioperi della primavera hanno colpito il settore industriale quando la domanda era ancora in aumento, ma quelle perdite di produzione non potranno più essere interamente recuperate» (Giacomo Vaciago, Corriere della Sera)
ROMA — Il tasso ufficiale di sconto (cioè il tasso d’interesse al quale la Banca d’Italia effettua prestiti al sistema bancario) e l’interesse sulle anticipazioni in conto corrente a scadenza fissa presso l’Istituto è stato aumentato dal 10,50 al 12 per cento. Rimangono invariate le maggiorazioni già in vigore. Il decreto di aumento, stabilito dal ministero del Tesoro su proposta del governatore della Banca d’Italia, è stato pubblicato ieri sulla «Gazzetta Ufficiale» e ha dunque decorrenza immediata. Timori di recessione. La decisione presa dalle autorità monetarle, ormai da alcuni giorni nell’aria, costituisce un «segnale» importante: la situazione congiunturale che aveva permesso il 4 settembre 1978 di abbassare di un punto il tasso di sconto e di mantenerlo immutato nei 12 mesi successivi è oggi profondamente diversa. Tassi di sconto nel mondoItalia 12 Belgio 10 Francia 9,5 Germania Fed 5 Giappone 5,25 Olanda 8 Regno Unito 14 Usa 11
WASHINGTON — Nell’Intento di frenare la spinta inflazionistica, la Federai Reserve ieri sera ha annunciato un aumento dell’1 per cento (dall’11 al 12) del tasso di sconto e alcune misure restrittive par il credito. Il presidente della Federai Reserve, Paul Volcker, ha detto che tali misure mirano a lottare contro l’estensione eccessiva della massa monetaria.
Il nuovo governatore della Banca d’Italia è Carlo Azeglio Ciampi. Suo direttore generale è Lamberto Dini.
L’inevitabile rincaro del costo del denaro è stato deciso ieri dal comitato esecutivo dell’ABI (Associazione Bancaria Itallana) che era già stato convocato in precedenza per discutere problemi di organizzazione interna dell’associazione. Dopo l’aumento del tasso di sconto i rappresentanti degli istituti di credito hanno deciso di dedicare quasi interamente la seduta di ieri al problema dei tassi. Dopo una prima valutazione degli ultimi avvenimenti, il comitato esecutivo ha deliberato di elevare dal 15 per cento al 16,50 per cento il "prime rate" applicabile ai crediti in bianco utilizzabili in conto corrente, "ferma restando la consueta commissione sul massimo scoperto". Dallo stesso giorno verrà aumentato dal 14,50 al 16 per cento il "prime rate" applicabile alle altre operazioni effettuabili con particolari forme tecniche: a favore delle esportazioni, sconto di portafoglio, conti correnti garantiti, eccetera.
«Un calcolo esatto è, evidentemente, impossibile. Nell’ultimo anno la Fiat ha assunto circa diecimila persone, sia per rimpiazzare i pensionati, sia per avviare le nuove iniziative industriali nel Sud. Non è detto però che le immissioni possano sempre assumere questa dimensione. “Si può soltanto constatare — ha detto un sindacalista — che negli ultimi mesi sono stati assunti mediamente nell’area torinese duecento lavoratori alla settimana. Otto giorni fa, per esempio, l’azienda ha chiamato centocinquanta persone. La settimana precedente quasi quattrocento”» (Giuseppe D’Adda, Corriere della Sera).
«ROMA—I prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati sono aumentati in settembre del 2,5 per cento rispetto al precedente mese di agosto. Lo comunica l’Istat, precisando che il tasso annuo di incremento del relativo indice, cioè la variazione rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, è stato del 16,8 per cento. L’impennata dei prezzi al consumo in settembre conferma dunque che l’ inflazione ha ripreso a correre a ritmi molto sostenuti: l’aumento del 2,5 per cento è il più alto registrato negli ultimi dodici mesi ed è stato determinato in buona parte dal forte incremento dei prezzi dell’elettricità e dei combustibili, cresciuti in settembre del 7,7 per cento. Sensibili aumenti hanno avuto anche i prezzi del settore abbigliamento, dei beni e servizi vari. I prezzi relativi all’alimentazione sono aumentati a loro volta dell’1,4 per cento» (Corriere della Sera)
Gli Stati Uniti stanno entrando in un periodo di recessione, con inflazione a due cifre, un dollaro debole ed una leadership politica scossa e incerta. Ciò dipende dagli sviluppi di fondo degli ultimi anni. Il ciclo espansivo dell’economia americana, iniziato a metà 1975, è stato il più lungo del dopoguerra, il reddito nazionale americano è cresciuto, in termini reali, del 4,8% all’anno, contro un 3,5% circa di aumento del reddito nei paesi della CEE. Si dice che gli Stati Uniti sono in crisi perché la produttività aumenta poco, meno che in altri paesi. È vero. Ma nei quattro anni 1975-79, mentre nei paesi europei l’occupazione ristagnava e in alcuni casi diminuiva, come in Germania e in Francia, negli Stati Uniti si è avuto il più forte incremento del dopoguerra: l’occupazione è aumentata del 15%, con la creazione di oltre 12 milioni di nuovi posti di lavoro. Questo lungo ciclo espansivo è stato trainato essenzialmente dalla domanda di consumo e da una fortissima attività nel settore delle costruzioni residenziali. La domanda di consumo è stata particolarmente sostenuta non solo per una minor formazione di risparmio ma anche per un largo ricorso all’indebitamento. Oltre il 40% del credito, in America, va a finanziare il «consumer», per l’acquisto di beni durevoli, abitazioni etc. Il peso del rimborso di questi debiti è salito considerevolmente, assorbendo ormai il 23% del reddito delle famiglie americane. Ma indebitarsi è conveniente, anche perché gli interessi possono essere dedotti dal reddito tassabile. Particolarmente impressionante è stato, negli ultimi anni, l’aumento della domanda di abitazioni. Nel 1978, il numero di nuove case iniziate superava del 73% il livello del 1975. Ciò riflette vari fenomeni, tra cui il «baby boom» del periodo postbellico, l’aumento del reddito familiare dovuto al crescente numero di donne che lavorano, e la grande abbondanza di credito. Ma c’è di più: la casa sta diventando, per gli americani, il principale impiego della loro ricchezza, soppiantando il tradizionale investimento in azioni. Il volume dei nuovi mutui erogati supera di gran lunga il valore delle nuove abitazioni costruite; gli americani si servono della casa come cespite di garanzia per indebitarsi, a tassi molto convenienti, anche per finanziare spese di consumo corrente (Giorgio Ragazzi, Corriere della Sera).
«WASHINGTON — Guai seri si preannunciano per la speculazione finanziarla Internazionale. Gli Stati Uniti venderanno d’ora in poi parte delle loro riserve auree (265 milioni di once) con preavvisi di pochi giorni e in quantità diverse di volta in volta. Non vi saranno più, dunque, le aste ad intervalli mensili e con offerta fissa come è avvenuto dal maggio 1978 fino ad oggi. Proprio la prevedibilità delle aste aveva avuto un effetto contrario a quello voluto, permettendo alla speculazione di calcolare le proprie mosse. Il provvedimento, che avevamo preannunclato fin dai giorni scorsi, è stato varato dal Tesoro americano come un’altra fase del piano di intervento a difesa del dollaro: si ritiene, infatti, che molti operatori, finora impegnati a speculare sui rialzi dell’oro vendendo soprattutto dollari, assumeranno a questo punto un atteggiamento molto più prudente» (Corriere della Sera).
WASHINGHTON - Con una impennata d’orgoglio, l’America comincia a ribellarsi concretamente al ricatto di Teheran, dove dal 4 novembre un centinaio di persone, tra cui una sessantina di cittadini statunitensi, sono prigioniere di fanatici seguaci dell’ayatollah Khomeini. Con un breve, risoluto annuncio, Carter ha ordinato ieri sera il blocco degli acquisti di petrolio iraniano da parte degli Stati Uniti. Il capo della Casa Bianca ha inoltre reso noto che sono in corso consultazioni con gli alleati degli Stati Uniti su altre misure eventuali. Queste misure, ha detto Carter, riguardano «altre azioni che potrebbero essere intraprese per ridurre il consumo e le importazioni di petrolio». La situazione è grave — ha detto il presidente americano. — Noi continuiamo a fronteggiarla». Ha definito «inaccettabili» le richieste iraniane di consegnare lo Scià, che è degente in un ospedale di Nuova York, dove ha subito un’operazione per cancro
I Paesi industrializzati (Stati Uniti in prima fila) stanno riscoprendo l’agricoltura. È un dato di fatto importante; è una risposta alla crisi economica generale, dai contorni sempre più marcati. La risposta ha molte motivazioni, politiche ed economiche. I prodotti agricoli costituiscono per gli Stati Uniti un deterrente», una «forza d’urto» e di «convinzione» in termini economici nei riguardi dei Paesi socialisti e di alcuni grandi «signori del petrolio». Gli USA coltivano, producono, esportano a prezzi concorrenziali (273 milioni di prodotti cerealicoli nel 1977): intendono sfruttare appieno le loro capacità d’industrializzare l’agricoltura, di utilizzare il loro immenso «petrolio verde» che diventa cosi anch’esso un’arma economica non secondaria (le esportazioni di prodotti cerealicoli superano i 100 milioni di tonnellate; nessun altro Paese è in grado di soddisfare la domanda di Paesi come l’URSS). La crisi energetica ha da parte sua innescato una rivoluzione fra i prezzi dei prodotti agricoli sul mercato mondiale: ogni possibile risorsa della terra va quindi esaltata e utilizzata economicamente, immessa sul mercato a prezzi competitivi. Grano e granoturco in cambio di petrolio. Né basta. Produrre più beni industriali e servizi sofisticati comporta in parallelo maggior consumo di energia. L’equazione non vale in agricoltura: la terra produce bruciando poca energia (il rapporto è di 2 a 9 fra l’energia consumata ed il prodotto lordo vendibile ottenuto). E non va parimenti dimenticato che l’agricoltura è essa stessa produttrice di biogas o può diventarlo (il discorso è di convenienza economica: basti pensare all’alcool che può essere estratto dalle barbabietole, dalle patate, dall’uva) (Alberto Mucci sul Corriere della Sera).
«I Paesi industrializzati (Stati Uniti in prima fila) stanno riscoprendo l’agricoltura. È un dato di fatto importante; è una risposta alla crisi economica generale, dai contorni sempre più marcati. La risposta ha molte motivazioni, politiche ed economiche. I prodotti agricoli costituiscono per gli Stati Uniti un deterrente», una “forza d’urto” e di “convinzione” in termini economici nei riguardi dei Paesi socialisti e di alcuni grandi signori del petrolio. Gli USA coltivano, producono, esportano a prezzi concorrenziali (273 milioni di prodotti cerealicoli nel 1977): intendono sfruttare appieno le loro capacità d’industrializzare l’agricoltura, di utilizzare il loro immenso “petrolio verde” che diventa cosi anch’esso un’arma economica non secondaria (le esportazioni di prodotti cerealicoli superano i 100 milioni di tonnellate; nessun altro Paese è in grado di soddisfare la domanda di Paesi come l’URSS). La crisi energetica ha da parte sua innescato una rivoluzione fra i prezzi dei prodotti agricoli sul mercato mondiale: ogni possibile risorsa della terra va quindi esaltata e utilizzata economicamente, immessa sul mercato a prezzi competitivi. Grano e granoturco in cambio di petrolio. Né basta. Produrre più beni industriali e servizi sofisticati comporta in parallelo maggior consumo di energia. L’equazione non vale in agricoltura: la terra produce bruciando poca energia (il rapporto è di 2 a 9 fra l’energia consumata ed il prodotto lordo vendibile ottenuto). E non va parimenti dimenticato che l’agricoltura è essa stessa produttrice di biogas o può diventarlo (il discorso è di convenienza economica: basti pensare all’alcool che può essere estratto dalle barbabietole, dalle patate, dall’uva)». (Alberto Mucci sul Corriere della Sera)
Il confronto Usa-Iran continua a a tenere sotto tensione i mercati valutari intemazionali. La valuta USA ha fatto registrare ieri nuovi ribassi ma in misura contenuta. Le perdite maggiori sono state segnate nei confronti della sterlina (1,5 cents) e del franco svizzero (1,45 centesimi). Le banche centrali sono dovute intervenire massicciamente per sostenere il dollaro: è successo anche in Italia dove la moneta americana, dopo un forte ribasso nella mattinata, si è ripresa nel pomeriggio chiudendo a 820,45 (contro gli 818,55 di martedì). Alla debolezza del dollaro si è aggiunta una forte ripresa dell’oro che, dopo un periodo piuttosto lungo di mercato stabile con fluttuazioni limitate, è tornato a superare il «muro» dei 400 dollari l’oncia toccando a Londra i 411,20 dollari per poi chiudere a quota 408,75.
• La commissione bilancio della Camera indaga sulle due tangenti ENI da 100 e 150 miliardi pagate a società finanziare estere e ha concluso la seduta questa mattina alle 3.23. Il capo del governo Cossiga e il ministro dell’Industria Bisaglia saranno chiamati a deporre. [Un. 1/12/1979]
• Il Ministro delle Finanze proroga il termine, fissato per oggi, per il versamento degli acconti per il 1979 dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e giuridiche, dell’imposta locale sul reddito e delle ritenute sugli interessi dei depositi e dei conti correnti . La proroga è avvenuta «a causa dell’agitazione sindacale in corso presso le aziende di credito e talune esattorie». I versamenti dovranno essere eseguiti il primo giorno di riapertura degli sportelli bancari o esattoriali. [Sta. 1/12/1979]
Il saggio ufficiale di sconto, cioè il tasso al quale la Banca d’Italia presta denaro al sistema bancario, è stato aumentato dal 12 al 15 per cento. La decisione, annunciata improvvisamente ieri sera a testimonianza dell’urgenza con la quale il provvedimento si è reso necessario (solitamente esso viene preso a fine settimana quando i mercati valutari sono chiusi) avrà effetto da oggi. Il «taglio» alle forniture dall’Arabia Saudita ha fatto precipitare ieri pomeriggio una decisione che da tempo sembrava sempre più inevitabile a causa delle persistenti tensioni internazionali. Queste tensioni, ha fatto sapere ieri il Tesoro, si erano ulteriormente aggravate. Segno tangibile della crisi erano stati gli sforzi massicci che la Banca d’Italia è stata costretta a compiere per sorreggere il cambio della lira che scivolava progressivamente, seguendo quello del dollaro, su un piano inclinato rispetto alle valute forti dell’Europa (soprattutto marco e franco francese, giunti nei giorni scorsi ai massimi storici rispetto alla nostra moneta). Sebbene le nostre autorità abbiano da tempo deciso di agire sul costo del denaro con ritocchi ampi piuttosto che ridotti e molto frequenti, il balzo di tre punti indica che la crisi economica ha raggiunto un grado preoccupante di gravità. La caduta della lira ieri da 813 a 821 sul dollaro è stato l’ultimo campanello d’allarme. Il comunicato del ministero del Tesoro non nasconde le ragioni di questa dura decisione. «Le tensioni intemazionali e interne che avevano indotto ad aumentare dall’8 ottobre il tasso di sconto dal 10,50 al 12 per cento — dice il comunicato — si sono sensibilmente aggravate. Sul plano interno l’inflazione sta crescendo di intensità. I prezzi all’ingrosso dei manufatti sono cresciuti in dodici mesi del 18,4 per cento con una netta accelerazione nel periodo più recente. Analogo è l’andamento dei prezzi al consumo. Si tratta del tasso di inflazione più elevato fra quelli dei maggiori paesi industriali» (dal Corriere della Sera del 6 dicembre)
ROMA — «In riferimento al nostro incorro dei giorni scorsi a Londra e alle affermazioni pubblicate sui giornali italiani e riprese da vari organi d’informazione in tutto il mondo ... le comunichiamo che in accordo alle istruzioni ricevute dalle autorità responsabili, le forniture di petrolio in base al contratto Petromin-Agip sono sospese con effetto da oggi e fino a nuova comunicazione». Con questo telex di poche righe in inglese, Indirizzato al presidente dell’ENI Giorgio Mazzanti, la Petromin, ente petrolifero di Stato dell’Arabia Saudita, è intervenuta ieri ufficialmente nella vicenda delle tangenti ENI annunciando una decisione che rischia di avere pesanti conseguenze per il nostro paese. Saltano cosi, a meno di un ripensamento del governo di Riad (presso il quale il presidente del consiglio Cossiga si sta muovendo a livello diplomatico), dieci milioni di tonnellate di greggio che sarebbero dovute arrivare in Italia nel giro di due anni: 5 milioni l’anno prossimo e 5 milioni nel 1981. Dopo la decisione dell’Arabia Saudita il nostro «buco» per il 1980 passa automaticamente a 28 milioni di tonnellate, quasi un terzo del fabbisogno.
Scoppia in Italia lo scandalo petroli. In piena crisi del petrolio si scopre che all’Eni si sono pagate tangenti del 7% a mediatori per ottenere forniture privilegiate di petrolio. Secondo le rivelazioni di Panorama i soldi servivano per finanziare alcuni politici. L’Arabia Saudita, accusata di aver favorito l’intrallazzo, rompe il contratto e sospende le forniture - un terzo del fabbisogno italiano - aggravando la situazione del rifornimento energetico già in crisi, e di alti costi che l’Opec non tarda ad applicare sugli altri due terzi (l’aumento arriverà il 17 dicembre). Cossiga sospende il presidente dell’Eni, Giorgio Mazzanti, che appartiene alla corrente del vicesegretario del Psi, Claudio Signorile. Le rivelazioni di Panorama sarebbero frutto di un’iniziativa dello stesso Craxi, tenuto all’oscuro della tangente. Gianni De Michelis abbandona, per questo, la corrente lombardiana e confluisce in quella di Craxi, che controlla così la maggioranza del partito.
Tragica morte del grande imprenditore agricolo Serafino Ferruzzi, 71 anni: in fase di atterraggio all’aeroporto di Forlì il suo aereo privato si è schiantato contro una villetta allineata con la pista. Con Ferruzzi sono morti i due piloti, il comandante Enzo Villani (47) e il copilota Roberto Cases (31), e due degli abitanti nella villetta, Fiorella (21) e suo padre Libero Ricci (52). L’aereo era un Learjet 25 marche I-AIFA, l’acronimo degli eredi Ferruzzi, cioè Arturo, Idina, Franca e Alessandra. Gli eredi affideranno tutte le deleghe op
«ROMA — Da oggi il denaro prestato dalle banche costerà molto più caro: Intatti, il tasso di interesse minimo (prime rate), riservato alla clientela primaria (grandi imprese soprattutto) è salito dal 16.50 al 19.50% l’anno, livello eguagliato soltanto nel 1976. Ciò significa che la gran massa dei clienti “normali” pagherà interessi dal 20 al 25% almeno, a seconda della loro importanza e affidabilità. Questa impennata è stata decisa ieri dal comitato esecutivo dell’Associazione bancaria italiana (ABI) per adeguare il costo del credito al nuovo livello del tasso ufficiale di sconto (l’interesse, cioè, pagato dalle banche all’Istituto centrale per il risconto e le anticipazioni), che è stato aumentato nei giorni scorsi dal 12 al 15%» (dal Corriere della Sera).
ROMA -1 prezzi al consumo "per le famiglie di operai e impiegati sono aumentati in novembre dell’1,3 per cento rispetto al mese precedente. Lo comunica l’ISTAT aggiungendo che il tasso annuo di incremento dell’indice dei prezzi al consumo, cioè la variazione percentuale rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, è stato del 18,7%
CARACAS — L’anarchia più completa dominerà d’ora in avanti il mercato petrolifero mondiale. Per la prima volta nella sua storia più recente l’OPEC ha infatti deciso di lasciare ad ogni Paese produttore assoluta libertà individuale nel decidere sia i prezzi sia i livelli di produzione. Non sono stati fissati né limiti minimi oltre i quali le quotazioni del petrolio dovranno muoversi. «Sarà semplicemente l’andamento del mercato, — ha detto il ministro venezuelano Calderón Berti al termine della conferenza di Caracas —, a stabilire il movimento dei prezzi». Al termine della conferenza il ministro venezuelano ha detto che il suo Paese attenderà gli sviluppi della situazione e le decisioni degli altri produttori prima di fissare il nuovo prezzo che dovrà entrare in vigore il 1° gennaio. Su questa posizione si sono schierati quasi tutti i Paesi considerati «moderati», ma soltanto l’Arabia Saudita ha ribadito che manterrà inalterato il prezzo di 24 dollari a barile che fu deciso giovedì scorso con un rincaro del 30 per cento. paolo glisenti
La corsa dell’oro è diventata frenetica, la domanda, proveniente soprattutto dai Paesi mediorientali, si gonfia come un’onda di piena. La punta più alta di ieri è stata raggiunta a Zurigo (516-518 dollari-oncia) e a Francoforte (515) con aumenti rispettivamente di 3 e 6 dollari rispetto a giovedì. Londra ha chiuso a 512, un grammo d’oro in moneta italiana è costato 13.150 lire con punte di 13.480. Quelli toccati ieri sono stati gli ultimi di una serie di record susseguitisi rapidamente nella seconda metà del ’79: hanno consentito all’oro, che il 1° gennaio costava circa 227 dollari, di realizzare un aumento annuo del 127 per cento. In Italia l’aumento, sempre su base annua, è stato del 220 per cento. Le ragioni di questo eclatante fenomeno sono ricercate, dagli esperti, soprattutto nell’impennata del petrolio: oggi il prezzo del greggio è sempre più ancorato all’oro e sempre meno al dollaro. Se le cose stanno cosi andrebbe confutato il luogo comune che il rincaro dell’oro dipenda direttamente dalla perdita di valore del dollaro. La moneta americana, nel corso del 1979, si è deprezzata rispetto alla lira del 2,25 per cento, una percentuale inconfrontabile con quella dell’aumento, sempre in lire, del prezzo dell’oro.
«Il 1979 può senz’altro essere considerato un anno importante per il sindacato e, soprattutto, per il sindacato dl Milano. Lungo l’arco degli ultimi dodici mesi sono stati infatti rinnovati i contratti nazionali di lavoro delle più importanti categorie dell’industria e dei servizi. Metalmeccanici, chimici, edili, tessili, poligrafici e dipendenti del settore commerciale sono stati impegnati per diversi mesi in vertenze difficili che solo dopo molte ore di sciopero sono riuscite ad andare in porto. Per tutte queste categorie i contratti hanno rappresentato mediamente un aumento delle buste paga di 3.540 lire al mese. Accanto all’industria e al commercio è sceso in campo il pubblico impiego che finalmente ha raggiunto l’obiettivo della trimestralizzazione della scala mobile e del rinnovo di alcuni accordi scaduti ormai da anni (enti locali, ospedalieri, eccetera). Nel complesso, durante l’intero arco dell’anno, sono stati interessati dai rinnovi contrattuali nazionali oltre un milione di lavoratori milanesi».
Da oggi gli italiani sono alle prese con una serie di modifiche non sempre o non per tutti positive. RIFORMA SANITARIA — Scatta oggi la riforma sanitaria, che dà diritto agli oltre due milioni 600 mila italiani senza mutua di godere della stessa assistenza degli altri. PENSIONI — I tre milioni di italiani che sono al minimo di pensione INPS prenderanno da oggi 143 mila lire al mese invece di 122 mila. Le pensioni sociali e d’invalidità aumenteranno di 10 mila lire (da 70 a 80 mila circa). Se passerà la riforma trasmessa dal governo alle Camere le pensioni minime e quelle sociali aumenteranno di altre 20 mila lire al mese e le pensioni dei lavoratori autonomi (da oggi pari a 1l8 mila lire mensili) saranno portate al livello di quelle INPS, mentre l’adeguamento al costo della vita non sarà più annuale ma semestrale. AUTOMOBILISTI — Da oggi pagheranno l’assicurazione mediamente più cara del 19 per cento, mentre da due giorni pagano la super 655 lire al litro, il gasolio 290 lire. STATALI — Con lo stipendio di gennaio si vedranno corrisposta la prima rivalutazione della contingenza su base semestrale e non più annuale.BOLLETTE — Quelle dell’elettricità e del telefono saranno, nel 1980, considerevolmente più pesanti. Solo chi riuscirà a limitare i consumi subirà aumenti limitati a qualche migliaio di lire il trimestre. Per gli altri è bene attendersi delle vere e proprie stangate. Basti dire che una telefonata urbana oltre i 500 scatti il trimestre (170 scatti circa al mese) costerà 72 lire, contro le 30 lire al di sotto dei duecento scatti. Da oggi, infine, il gettone passa da 50 a 100 lire
Il vulcano in attività che covava sotto le ceneri del 1979 è esploso proprio tra San Silvestro e le prime ore di oggi: il prezzo dell’oro è letteralmente «schizzato» verso l’alto, con un balzo del 12 per cento, passando dai 509 dollari di venerdì 28 dicembre ai 569 dollari per oncia alla riapertura dei mercati dopo i due giorni di festa, il che è equivalso in Italia ad un prezzo di 14.600 lire al grammo. L’argento non è stato da meno: 12 mesi fa veniva venduto a 5 dollari per oncia (circa 140 mila lire al chilo) e oggi è balzato ieri 39 dollari (1 milione e 30 mila lire al chilo). Che cosa è dunque accaduto di cosi drammatico nelle 48 ore a cavallo tra l’anno vecchio e quello nuovo da far saltare i sismografi della finanza internazionale? Sostanzialmente sono tre 1 fatti nuovi: uno politico-militare, uno economico e uno finanziario. 1 - La situazione sullo scacchiere intemazionale è peggiorata precipitosamente proprio nella regione — quella che va dalle frontiere iraniane alla penisola araba — considerata più critica per lo sviluppo dell’economia internazionale: è qui che si trova il 65 per cento del petrolio disponibile nel mondo non comunista. 2 - Il prezzo medio del barile di petrolio prodotto dall’OPEC è salito di oltre il 25 per cento rispetto all’ultimo trimestre del 1979 in virtù dei forti rincari che Nigeria, Algeria, Libia, Kuwait, Irak, Iran e Venezuela hanno applicato con decorrenza 1 gennaio 1980. I greggi più pregiati saranno venduti a 35 dollari per barile, il che equivale ad un prezzo rincarato del 145 per cento rispetto alla fine del 1978. Sono aumenti suscettibili di ulteriori variazioni senza preavviso 3 - L’Iran ha trasferito segretamente dalle banche europee verso banche di altri Paesi (in particolare, sembra, verso Libia e Algeria, cioè le roccaforti musulmane più oltranziste) buona parte dei fondi — ammontanti a circa 13 miliardi di dollari — detenuti all’estero. Teheran ha voluto cosi mettersi al riparo da eventuali sanzioni economiche che gli alleati occidentali potrebbero varare nei prossimi giorni (Paolo Glisenti sul Corriere della Sera)
«TRIESTE — Ufficialmente la Banca centrale di Belgrado non ha svalutato il dinaro. Ma la moneta jugoslava ha subito ugualmente un brusco scivolone. Una decina di giorni fa veniva cambiata a 36-37 lire, ieri dalle 30 alle 33 lire. E sull’onda delle voci che danno per imminente una svalutazione ufficiale nessuno si azzarda a fare previsioni su quanto potrà valere oggi o la prossima settimana. Il dinaro, infatti, è una moneta a circolazione locale, negoziata prevalentemente nei Paesi direttamente interessati agli scambi commerciali con la Jugoslavia. Ciò significa che non ha oscillazioni stabili, che il cambio (contrariamente alla lira, legata al serpente monetario europeo) è determinato soltanto dalla domanda e dall’offerta. A quanto pare, in questi ultimi giorni la Banca centrale jugoslava non è intervenuta sul mercato per sostenere la moneta. Cosi le quotazioni sono cadute. All’Ufficio cambi della stazione ferroviaria triestina, per esemplo, è stato valutato 31 lire, alla Banca nazionale del lavoro 30, alla Commerciale 32, alla Cassa di Risparmio 33. Le quotazioni degli istituti di credito sono, comunque, soltanto indicative, le vere quotazioni del dinaro le fa il mercato di piazza Ponte Rosso. È qui, in questa piazzetta nel cuore di Trieste, davanti alla Banca nazionale del lavoro, che ormai da anni sorge il vero centro dell’interscambio italo-jugoslavo. All’apparenza sembra un normale mercato rionale: una quarantina di bancarelle, stipate di vestiti a basso i prezzo, una folla rumorosa in perenne movimento. Si espone, si contratta, si vende e, soprattutto, si cambia. I clienti fissi sono nella stragrande maggioranza jugoslavi; ma non mancano i turchi, gli africani che studiano nelle università slave, i bulgari. Tutti, solitamente, contrattano in dinari, comprano jeans, giubbotti, maglioni, gonne, stivaletti. E poi bambole dalle parrucche bionde e dai vestiti di tulle rosa, souvenlrs veneziani (una gondola con luci e rifrangenti, 120 dinari), ombrelli coloratissimi, animali di pelouche» (leggi qui l’articolo di Giuseppe D’Adda)
ROMA - Nuovo ribasso del dollaro ieri sui mercati valutari internazionali. La moneta USA ha perso terreno contro le principali valute, scendendo a livelli tra i più bassi degli ultimi tempi. Gli operatori hanno segnalato massicci interventi di sostegno delle banche centrali europee con l’obiettivo di evitare che il dollaro andasse sotto il livello di 1,70 contro il marco tedesco e di 1,56 sul franco svizzero. Le chiusure, tuttavia, nonostante gli «appoggi», sono avvenute intorno a questi minimi. Anche a Parigi la moneta USA, per la prima volta dall’ottobre del 1978, ha perso «quota 4 franchi». Uguale «sorte» la moneta americana ha avuto sui mercati italiani; il cambio lira/dollaro, infatti, è sceso al di sotto delle 800 lire: 799,50 nella media ufficiale dei cambi, contro 801,25 di mercoledì.Per ritrovare una quotazione lira-dollaro inferiore alle 800 lire bisogna risalire al febbraio del 1976. Non si trova più l’argento, forse intercettato da un petroliere americano che si chiama Hunt e che si muoverebbe anche per conto di Gheddafi. I russi vorrebbero accumularne per cento tonnellate (ce ne vogliono 20 per costruire un sommergibili nucleare). «L’Unione Sovietica da qualche tempo ha cambiato atteggiamento nel settore dei metalli di cui si fa largo uso nella costruzione di sommergibili e centrali nucleari, di missili e aerei a reazione: vende sempre meno e acquista sempre più sui mercati internazionali» (Corriere della Sera del 4 gennaio)
ROMA — Consuntivo sindacale del 1979. I metalmeccanici hanno ottenuto il maggiore aumento dei salari mensili lordi e la riduzione più consistente dell’orario di lavoro; gli edili hanno acquisito il salario minimo tabellare più alto, mentre i chimici il maggiore salario massimo tabellare. Questi gli elementi rilevanti dei più importanti contratti nazionali di lavoro del settore industriale che sono stati rinnovati nel corso del 1979. Si è trattato di una delle più difficili stagioni contrattuali che ha interessato circa otto milioni di lavoratori dell’industria, dell’agricoltura e del terziario. Nel settore industriale le richieste più rilevanti avanzate dai sindacati sono state la riduzione dell’orario di lavoro e i diritti di informazione (dal Corriere della Sera)
[...] A tarda sera, quando è stato possibile tirare le somme, ogni precedente primato ed ogni linea di difesa ritenuta finora insuperabile erano stati infranti. A Londra, l’oro è balzato da 569 a 635 dollari per oncia, (16.450 lire al grammo in Italia) con un «volo» spettacolare e senza precedenti di 66 dollari, dopo aver toccato «quota 670»; l’argento ha fatto inizialmente saltare il sismografo dei prezzi passando da 39 a 46 dollari per poi ridiscendere a 37 dollari (963 mila lire al chilo) con un calo tecnico dell’8,2 per cento rispetto a mercoledì; il platino non è stato da meno: è salito di 90 dollari all’oncia (da 750 a 840 dollari) con un rialzo del 14,3 per cento. Giornata campale anche per il dollaro, crollato di schianto nel pieno di una crisi gravissima ai nuovi minimi storici contro il marco tedesco (1,7080) e il franco svizzero (1,5700) prima di precipitare al livello più basso degli ultimi quattro anni anche nei riguardi della lira che è stata cambiata a 799.50. La nostra moneta ha vacillato vistosamente nella bufera perdendo contatto con le monete europee più forti e facendo temere per la sua stabilità nel Sistema Monetario Europeo. Per la prima volta si è avuta, netta, la sensazione che i mercati finanziari fossero ingovernabili, che l’unico obiettivo fosse quello di «bruciare moneta». Per ore ed ore nemmeno un’oncia d’oro o un grammo d’argento è stato offerto alla vendita; l’incetta di monete auree ha rasentato la frenesia di un saccheggiamento di beni di consumo In tempo di guerra» (Paolo Glisenti sul Corriere della Sera)
• Il Cipe approva il progetto per la centrale Termoelettrica di Gioia Tauro (Reggio Calabria).
Poiché Carter combatte i sovietici negando loro il grano promesso, potrebbe formarsi, nel mondo, un cartello del grano simile al cartello del petrolio dei Paesi dell’Opec? Però il petrolio è un prodotto naturale che può essere conservato sotto terra senza limiti di tempo e di quantità. Mentre il grano è un bene prodotto, che può essere conservato solo per qualche tempo e poi deve essere venduto. Impossibile per i produttori di grano dedicarsi all’organizzazione mondiale della penuria nella speranza di dettare il prezzo del grano (oggi quattro dollari a bushel) così come l’Opec impone il prezzo del petrolio (oggi 35 dollari al barrel). Inoltre: se la quantità di grano non venduta ai sovietici venisse riversata sul mercato deprimerebbe i prezzi in modo grave. Il prezzo del grano infatti è già crollato, e Carter ha dovuto sospenderne le quotazioni alle borse di Chicago, Kansas City e Minneapolis. Gli americani possono vendere ai russi senza autorizzazioni del governo fino a un massimo di 8 milioni di tonnellate (accordo del 1975). Quest’anno, prima dell’Afghanistan, Carter aveva concesso ai russi 25 milioni di tonnellate. Si tratta dunque di un surplus di 17 milioni di tonnellate, parte delle quali saranno vendute alla Cina (ne ha parlato con Pechino il ministro della Difesa Harold Brown durante il suo ultimo viaggio). Un’altra quota, comprata dal governo, andrà a beneficio dei paesi poveri. Un’altra ancora servirà alla produzione di carburanti. L’agricoltura americana - industria ad alta tecnologia e investimenti giganteschi - occupa meno del 4% della popolazione e esporta per 35 miliardi di dollari. Gli agricoltori protestano contro l’embargo (il candidato alle presidenziali George Bush: «Colpisce più noi dei russi), ma l’Afghanistan è l’ottava nazione caduta in cinque anni sotto il controllo sovietico, dopo Angola, Mozambico, Etiopia, Benin, Yemen del Sud, Laos, Cambogia. Adesso i sovietici sono a meno di 500 miglia dallo stretto di Hormuz e il vuoto di potere dell’Iran può suscitare sull’Urss un’attrazione crescente (abstract dell’editoriale di Alberto Ronchey).
I capi delle squadre che caricano e scaricano dagli aerei i bagagli a Fiumicino hanno scioperato per protestare contro la magistratura che ha perquisito i loro appartamenti nell’ambito di una chiesta sui furti di bagaglio in aeroporto. Senza i loro capi, le squadre - regolarmente presenti al lavoro - si sono rifiutate di uscire e questo ha bloccato l’aeroporto per un’ora e mezza (a partire dalle 16.30), benché i capi-squadra siano in tutto cinque o sei persone. I ritardi accumulati hanno avuto conseguenze sul traffico per tutto il resto della serata (da un articolo di Bruno Tucci sul Corriere della Sera del 12 gennaio).
Sciopero generale di otto proclamato da Cgil, Cisl e Uil «contro la politica economica e sociale del governo»
È con l’oro (ieri a 18 mila lire il grammo) che Mosca raccoglie abitualmente valuta estera per finanziare buona parte dell’importazione di derrate alimentari dall’Occidente. Ma è ormai su tutta la gamma dei metalli di cui l’Urss è tra i maggiori produttori mondiali che si manifestano crescenti tensioni. Il palladio, per esempio, è salito tra lunedì e ieri ad un nuovo massimo storico di 216-220 dollari sul mercato libero di Londra; prezzi in forte ascesa anche per nichel, titanio, tungsteno, manganese, cromo e per i due metalli preziosi — argento e platino — di cui si fa ampio uso industriale. L’Urss, dicono gli csperti, sarebbe in grado di «tagliare» queste vendite mettendo in difficoltà alcuni comparti strategici della produzione in Occidente poiché ha raggiunto un grado di autosufficenza di gran lunga superiore persino a quello degli Stati Uniti. Sulla possibilità di affamare davvero l’Urss con il taglio alla vendita di grano: attenti alle triangolazioni. La Francia vende abitualmente frumento alla Somalia e parte di queste forniture vengono poi ritrasferite verso l’Urss. Resta il fatto che i 13 paesi interessati produttori di cereali (13 come i membri i dell’OPEC, fa notare qualcuno) hanno deciso di «congelare» 163 milioni di tonnellate di cereali assegnate quest’anno per l’esportazione, circa il 90 per cento di quel che sarebbe stato messo in commercio in tutto fl mondo nel 1979. L’Argentina da sola avrebbe immesso sul mercato 13,7 milioni di tonnellate, un quantitativo sufficiente a «coprire» il «buco» sovietico ed evitare all’economia russa un periodo di grave i crisi soprattutto per quanto riguarda il settore zootecnico e quindi la disponibilità di carne.
L’oro ha sfondato ieri il «muro» degli 800 dollari per oncia (20.700 lire al grammo) sul mercato di Nuova York pochi minuti dopo che sulle piazze finanziarie europee le contrattazioni si erano chiuse intorno ai 760 dollari, con una lieve flessione rispetto al record storico di mercoledì. La nuova poderosa spinta al rialzo è il risultato di un’ondata di acquisti fatti proprio da grandi banche americane che sembrano ora aver sostituito, in prima linea nella corsa all’oro, gli operatori svizzeri, arabi e orientali. Spendere oltre 20 mila lire per un pizzico di polvere gialla quasi invisibile sul palmo di una mano, che non dà interessi, raddoppia (e quindi può anche dimezzare) il suo valore nel giro di otto settimane, sarebbe in tempi normali una vera follia. Ma non viviamo tempi normali. L’Armata Rossa è più vicina alle rotte petrolifere, gli scambi finanziari e commerciali tra i maggiori blocchi economici — quello occidentale e quello sovietico — rischiano di paralizzarsi, Tito è in pericolo di vita e cosi gli equilibri decisi a Yalta. La corsa all’oro è oggi un fatto più politico che economico. Fin quando questi punti di crisi sullo scacchiere internazionale non saranno stati risolti la gente preferirà l’incorruttibilità e l’apoliticità (oltreché l’anonimato) dell’oro a qualsiasi altro investimento più razionale e produttivo (Paolo Glisenti sul Corriere della Sera).
La Michelin, di sua iniziativa, ha regalato 250 mila lire a tutti i suoi dipendenti non «assenteisti abusivi» (ma un’impiegata a casa da un anno per una malattia vera ha ricevuto senz’altro il cadeau). Duecentocinquantamila lire nette corrispondono più o meno a una mezza mensilità di stipendio. E rappresentano, compresi tasse e contributi, un onere complessivo per l’azienda che sfiora i cinque miliardi e mezzo. Venerdì i quattordicimila dipendenti della Michelin (ha stabilimenti a Torino, Cuneo, Alessandria, Fossano e Trento) sono stati convocati a piccoli gruppi dall’ufficio personale. A tutti è stata consegnata una busta con un assegno e una breve e singolare spiegazione: le corrispondiamo, nel «quadro della presente situazione di difficoltà generale», 250 mila lire. Nel 1962 la Michelin distribuì, allo stesso modo, 40 mila lire. I sindacati, molto irritati, definiscono l’iniziativa «autoritaria e paternalistica». «È la conferma che le aziende rifiutano la contrattazione con le organizzazioni sindacali». Si sottolinea, soprattutto, come il «regalo» preceda di un mese soltanto il rinnovo del contratto nazionale del duecentomila lavoratori del settore gomma per il quale le richieste d’aumenti salariali si aggireranno sulle 30-40 mila lire lorde al mese (il premio della Michelin equivale a più di 20 mila lire nette mensili). Chi conosce bene la Michelin non si è però sorpreso troppo del «cadeau» di venerdì. L’azienda da sempre segue una «sua» linea. «Si pensi — dicono al sindacato — che quest’anno, per la prima volta, chiuderà probabilmente il bilancio in rosso». Tutto dipenderebbe dalla filosofia dei Michelin, di questa mitica famiglia francese che conduce una vita quasi monastica in una casa grigia di Clermont Ferrand. Una filosofia che non tiene conto «della realtà e della situazione del paese in cui opera l’azienda». E che costò, si racconta, anche a Charles de Gaulle la proibizione a entrare nelle fabbriche di Clermont Ferrand perché «si stava lavorando».
La Fiat Auto chiude l’esercizio 1979 in rosso. Si è parlato di un buco compreso tra i 100 e i 600 miliardi. Nel 1979, anno di forte espansione del mercato interno e internazionale, la Fiat ha prodotto lo stesso numero di vetture del 1978 (ancora al di sotto dunque dei livelli del 1972-1973), dando via libera alle aziende straniere. La tanto attesa ripresa dell’auto ha visto invece la Fiat perdere quote di mercato: nove milioni di ore di sciopero e le rigidità organizzative imposte dal sindacato sono costate una mancata produzione di 300 mila vetture in un anno, calcolabili in migliaia di clienti passati ad altre marche e difficilmente recuperabili Nella sua lettera agli azionisti Agnelli ammonisce: «È necessario che sia posta in atto una politica industriale europea capace di rendere effettiva la concorrenza tra le case, di aprire la strada a razionalizzazioni continentali che privilegino nel contempo riallocazioni produttive nelle aree depresse della Comunità ... ». Anche il Pci sembra disponibile a dare una mano e ha avanzato un’ipotesi di collaborazione con lo Stato. E’ un discorso che a Corso Marconi è stato esaminato molto attentamente. La risposta è stata immediata: «Non ci sarebbe da stracciarsi le vesti gridando allo scandalo — ha dichiarato Luca Montezemolo, responsabile per le relazioni esterne del gruppo — se lo Stato ci garantisse un sostegno finanziario nel campo della ricerca, oppure se contribuisse ad iniziative capaci di creare maggiori economie di scala a livello internazionale». A Torino, tuttavia, le aperture improvvise del PCI e di una certa area sindacale hanno suscitato molte perplessità: «Non possiamo non notare — dice Montezemolo — come molti argomenti costantemente sostenuti dalla Fiat in questi anni vengano ora fatti propri dal PCI che è stato invece a lungo assertore di tesi diverse, se non addirittura opposte a quelle attuali, contribuendo in maniera determinante a creare intorno all’auto un clima di sfiducia, quando non di dichiarata ostilità, e dando ai sindacati un decisivo supporto nell’alimentare una conflittualità permanente in fabbrica».
• L’inflazione statunitense raggiunge il 13%, il livello più alto dal 1946 (tra le cause la crisi energetica, scatenata dal rincaro del prezzo del petrolio).
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