Raffaele Cutolo, nell’hotel Florio, sulla statale che porta da Foggia a San Severo, incontra quelli della Sacra corona unita, in un faccia a faccia che i magistrati definiscono “storico”.

Mario Francese
Antonino Tripodi (25 anni) e Rocco Barillà (26) vengono uccisi in un agguato a Sambatello di Reggio Calabria. Ammazzati per avere dato un passaggio in auto al sorvegliato speciale Rocco D’Agostino. Un semplice passaggio in macchina, una piccola cortesia che a Sambatello non si rifiuta a nessuno. Ma nel ’79 c’era ancora la guerra di ’ndrangheta. Antonino Tripodo ha lasciato una moglie in gravidanza. E suo figlio, Antonino come lui, al dolore ha dovuto aggiungere la rabbia di scoprire che tutti i faldoni e i documenti su suo padre sono scomparsi, non sono più negli archivi del Tribunale. Della storia di Nino Tripodo e di quella di Rocco Barillà, martiri della ’ndrangheta, non ci sono più tracce. Nera

Don Momo. Girolamo Piromalli
Il pentito Stefano Bontate riferisce a Caselli di aver incontrato Giulio Andreotti nel mese di marzo del 1979 e di avergli chiesto di trovare una soluzione alternativa all’eliminazione fisica di Mattarella.
Michele Reina, segretario provinciale della DC, è ucciso dalla mafia a Palermo. È la prima volta che la mafia uccide un uomo politico.

• Carmine “Mino” Pecorelli, 51 anni, giornalista, viene ucciso con quattro colpi di pistola fuori dalla redazione di OP (Osservatorio Politico), il periodico da lui diretto, in via Orazio a Roma. «I proiettili, calibro 7,65, trovati nel suo corpo sono molto particolari, della marca Gevelot, assai rari sul mercato (anche su quello clandestino), ma dello stesso tipo di quelli che sarebbero poi stati trovati nell’arsenale della banda della Magliana, rinvenuto nei sotterranei del Ministero della Sanità» (wikipedia). Testimonianza di Angelo Izzo, massacratore del Circeo: «Fu Valerio Fioravanti a dirmi che era stato materialmente lui a uccidere Pecorelli unitamente a Massimo Carminati, suo compagno di scuola al liceo Tozzi di Roma. Fioravanti mi dette diverse motivazioni di detto omicidio. Tutte le versioni che mi fornì avevano come comune denominatore la provenienza della richiesta da parte della Banda della Magliana». sti

• Giorgio Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, è stato ucciso, con tre colpi di pistola alla tempia nel bar Lux di via Alfieri, vicino a piazza Sperlinga, nella zona residenziale di Palermo. A sparargli, con una calibro 38, a distanza ravvicinata è stata una persona bassa di statura, piuttosto giovane, di una età approssimativa di 30 anni. Il sicario si è subito allontanato dalla zona. Il vicequestore ucciso lascia la moglie, Ines Leotta, e tre figli molto piccoli, Alessandro, Selima ed Emanuela (ora in vacanza a Piedimonte Etneo). L’assassinio è avvenuto a poche ore di distanza da una vasta retata compiuta durante la notte e che ha portato all’arresto di 38 persone. Giuliano era sceso da casa alle otto, in via Pirandello, aveva consegnato al portiere una busta con i soldi dell’affitto ed era andato al bar, che è a poche decine di metri dalla sua abitazione, per prendere un caffè in attesa che venisse a prelevarlo la Giulietta della mobile per portarlo in Questura. Un cliente del bar: «È stata una cosa così improvvisa, così imprevedibile, da impedire qualunque reazione» [Francesco Fornari, Sta. 22/7/1979] [Vedi anche Leoluca Bagarella]. • L’inchiesta è affidata a Borsellino, che emette quindici mandati di cattura. Tra gli arrestati anche Leoluca Bagarella. Quando Borsellino lo interroga, non risponde alle sue domande e in segno di spregio lo chiama «signore» anziché «giudice». Durante le indagini viene anche a galla la love story che lega Bagarella a Vincenza Marchese, sorella di Antonino, altro pezzo da novanta delle cosche. In un covo si trovano infatti dei bigliettini stampati in un tipografia amica di Cosa nostra che annunciano il fidanzamento dei due rampolli della mafia e una bomboniera con i confetti. Significa che l’alleanza tra cosche si va allargando. [Lucentini 2003]• Giuliano aveva appena finito di indagare sulla morte di Mattei
• La mafia uccide Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo. L’inchiesta è affidata a Borsellino, che emette quindici mandati di cattura. Tra gli arrestati anche Leoluca Bagarella. Quando Borsellino lo interroga, non risponde alle sue domande e in segno di spregio lo chiama «signore» anziché «giudice». Durante le indagini viene anche a galla la love story che lega Bagarella a Vincenza Marchese, sorella di Antonino, altro pezzo da novanta delle cosche. In un covo si trovano infatti dei bigliettini stampati in un tipografia amica di Cosa nostra che annunciano il fidanzamento dei due rampolli della mafia e una bomboniera con i confetti. Significa che l’alleanza tra cosche si va allargando. [Lucentini 2003] (mediastorage/uploads/admin/Speciali/Borsellino/MacchinaAmelio_Sca100007.JPG)
Il mafioso Nitto Santapaola ottiene una licenza di porto di fucile esibendo un certificato del casellario giudiziale dal quale risulta immune da precedenti penali, benché il 24 giugno 1959 avesse già riportato una condanna per furto; mentre aveva ottenuto il rilascio del passaporto previo nullaosta della competente autorità giudiziaria, pur essendo pendente a suo carico un procedimento penale per contrabbando di sigarette.
Nessuno (proprio nessuno) osa avvicinarsi alla piazza di Palermo dove la grande fotografa Letizia Battaglia ha messo in mostra i suoi scatti sui “padroni” della Sicilia.
Palermo. Nella più elegante suite dell’Hotel delle Palme prende alloggio John Gambino, che in compagnia di un’avvenente fanciulla è giunto da New York per seguire di persona i movimenti di Sindona. La suite è stata prenotata da Rosario Spatola (https://sites.google.com/site/storiadelmovimentooperaio/cronologia/1979)
Roma. Nello studio di Rodolfo Guzzi, avvocato di Michele Sindona, è recapitato un plico postale spedito da New York e preannunciato dai sedicenti sequestratori di Sindona. All’interno del plico una foto di Sindona con un cartello al collo su cui è scritto "Il giusto processo lo faremo noi" e una lettera per l’avvocato in cui Sindona propone una serie di richieste che afferma essere avanzate dai suoi sequestratori. Le richieste riguardano tra l’altro: "Lista dei 500 - fornire nomi. Nomi delle società di proprietà o su cui potevano disporre persone connesse con la Democrazia Cristiana. Lo stesso per il Psi e per il Psdi. Pagamenti effettuati a partiti politici o a personalità politiche". Richieste, precisa Sindona, avanzate dal Gruppo Proletario di Eversione per una Giustizia Migliore, che ha rivendicato il sequestro (https://sites.google.com/site/storiadelmovimentooperaio/cronologia/1979)
Alla Camera viene presentata la proposta di istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività di Michele Sindona, il bancarottiere siciliano, latitante negli Stati Uniti, che sta simulando il proprio rapimento per poter entrare clandestinamente in Italia. L’inchiesta deve indagare sul "sospetto che oscuri e vastissimi interessi di origine criminale e mafiosa abbiano tenuto fin dall’inizio le fila di tutto l’affare".
• Alle 8.35 di questa mattina, Cesare Terranova, giudice ed ex deputato indipendente del Pci, e il suo autista, il maresciallo di pubblica sicurezza Lenin Mancuso, sono morti a Palermo in un agguato di mafia. Cinque minuti prima il giudice, sceso da casa, si era messo al volante di una Fiat 131, ma alla prima curva gli si sono parati davanti tre giovani sui 25/30 anni, due armati di una calibro 38 e l’altro di un’arma lunga (probabilmente una mitraglietta). Il primo ad essere colpito è il maresciallo Mancuso, Terranova tenta una disperata manovra per mettersi in salvo: con la marcia indietro ingranata pigia a fondo l’acceleratore e gira il volante come per imboccare via de Amicis ma i proiettili gli piovono addosso, cinque lo feriscono, poi i tre giovani lo finiscono con un colpo a bruciapelo alla nuca e scappano su una Peugeot 304 rossa e probabilmente con una seconda automobile non identificata. [Sta.Se 25/9/1979; Sta. 26/9/1979]. Poco dopo Giovanna, la moglie di Terranova, scende in strada in vestaglia, al momento della sparatoria era ancora a letto, abbraccia il marito e capisce che non c’è più niente da fare. Il maresciallo Mancuso muore qualche ora dopo. Lascia una moglie e quattro figli.• Un testimone riferisce che uno dei tre giovani mentra sparava sogghigniava. [Sta.Se 25/9/1979; Sta. 26/9/1979]
La Corte d’assise di Roma pronuncia la sentenza nel processo per cinque sequestri di persona (compreso quello di Amedeo Ortolani) compiuti a Roma nel 1975 - 1976. Sono condannati 15 imputati, tra i quali Albert Bergamelli, Jaques Berenguer e Maffeo Bellicini. Tra gli assolti l’avvocato Gianantonio Minghelli, già difensore di Bergamelli, Francis Turatello e Danilo Abbruciati.
Il presidente della Regione Sicilia sale a Roma per incontrare il ministro dell’Interno Virginio Rognoni. Rognoni: «Venne a parlarmi di un quadro politico, non di un’emergenza criminale. Ero un collega di partito che per ventura si trovava a fare il ministro dell’Interno; lui era moroteo io della corrente di Base, avevamo posizioni vicine. Mi illustrò una situazione interna alla Dc siciliana, ed era allarmato non per sé ma per il segretario regionale Rosario Nicoletti, che aveva anche manifestato l’ipotesi di abbandonare l’attività politica. Non mi chiese aiuto né manifestò timori particolari per la sua persona, e io sinceramente non avvertii una situazione di pericolo per lui». Piersanti Mattarella, al suo ritorno, nella stessa giornata, confidò al capo di gabinetto Maria Grazia Trizzino ciò che – precisò – «non dirò né a Sergio né a mia moglie»: il faccia a faccia con Rognoni e un avvertimento: «A questo incontro è da ricollegare quanto di grave mi potrà accadere».
Il presidente di Mediobanca Enrico Cuccia subisce un secondo attentato. Questa volta è incendiata la porta della sua abitazione a Milano. L’attentato è immediatamente seguito da una telefonata anonima, ricevuta dalla figlia: "Dì a tuo padre che se non fa quello che vogliamo vi bruceremo tutti vivi. Siamo amici del signore di New York che lui sa". Il riferimento è a Michele Sindona, autori dell’azione sicari di Cosa Nostra che ha assoldato (https://sites.google.com/site/storiadelmovimentooperaio/cronologia/1979)
Roma. Presso lo studio di Rodolfo Guzzi, avvocato di Michele Sindona, è fermato Vincenzo Spatola, membro di una famiglia di Cosa Nostra, che reca un plico da consegnare all’avvocato. Il plico contiene una comunicazione di Sindona e un dattiloscritto firmato Gruppo Proletario di Eversione per una Giustizia Migliore contenente indicazioni per un incontro a Vienna. L’autorità giudiziaria di Roma accusa Spatola, che poi si scoprirà essere stato inviato dallo stesso Sindona, di sequestro di persona a scopo di estorsione (https://sites.google.com/site/storiadelmovimentooperaio/cronologia/1979)
«Ciò che in quell’ottobre 1979 non era ancora noto, era che, per anni, insieme, Calvi e Sindona avevano combinato colossali malaffari e si trovavano ormai ai ferri corti. Calvi doveva molto al collega siciliano: era stato lui a presentarlo a Gelli e a introdurlo ai segreti dei paradisi fiscali, agli astuti meccanismi dei depositi fiduciari, mettendolo in contatto con banchieri internazionali decisamente disinvolti. Però, non era stato riconoscente, anzi, si era rifiutato di salvarlo: quando Sindona gli aveva chiesto di mettere duecentocinquanta miliardi nella liquidazione della sua banca, che gli avrebbero consentito la cancellazione dell’accusa di bancarotta fraudolenta e la revoca del mandato di cattura, Calvi glieli aveva negati. In realtà, l’ambizioso, e a quanto pare ingrato, Calvi pensava di rimpiazzare Sindona in certi affari non proprio limpidicon la politica e il Vaticano e di appropriarsi, come poi fece, di quello che era stato il disegno di Sindona a partire dal 1969: creare, con l’appoggio dello Ior, un fronte compatto di finanza cattolica, patrocinato soprattutto da Andreotti. Progetto che andò in porto in pochi anni. Sindona era vendicativo. Nel 1977, ricercato e latitante, si era ormai convinto di essere stato scaricato dal venerabile Gelli a favore di un Calvi in vertiginosa ascesa. Nel 1979, Sindona riparò a New York e da lì provò a ricattare chiunque, Gelli, Andreotti, il Vaticano, lo stesso Calvi, il quale, ben conoscendo il personaggio, lo sapeva capace di tutto ed era convinto che fosse stato lui a far assassinare Ambrosoli, come sarà confermato dalle sentenze. Il 16 ottobre Sindona si fece ritrovare dalla polizia americana in una cabina telefonica di Manhattan, segno questo della sua intenzione di vuotare il sacco. Fu allora che Calvi, terrorizzato, cominciò a tormentare Maria Angiolillo: aveva bisogno di una talpa dentro la procura di Roma che potesse anticipargli le mosse di Sindona. Maria, che conosceva tutti e tutti coltivava, seguendo la logica del «non si sa mai», era amica del capo della procura Giovanni De Matteo. E si era già fatta un’idea su come sperare di avere qualche confidenza dal magistrato: trovando un lavoro a suo figlio, alla Rizzoli o al Banco Ambrosiano» (Bruno Vespa e Candida Morvillo).
A New York viene arrestato Luigi Cavallo con l’accusa di aver collaborato al finto rapimento di Michele Sindona
Al ristorante “Le streghe” di via Moncucco a Milano, una piccola trattoria a conduzione familiare, sei persone discutono tra amari e caffè al termine di una lunga cena. I gestori attendono annoiati che i clienti se ne vadano. Forse a quel tavolo sta nascendo o si sta ricomponendo l’ennesima banda, pronta a competere con tutte le altre per il controllo della città. Oppure, l’unico vero criminale presente nel locale è il gestore stesso, Antonio Prudente, legato come alcuni avventori a “faccia d’angelo” Francis Turatello, re della ligera e del gioco d’azzardo. Entrano in due. Ordinano per quattro. Forse attendono complici. A un certo momento, perché hanno ricevuto un segnale, perché sono stati riconosciuti o forse solo perché si sta facendo tardi, estraggono le pistole e senza una parola ammazzano uno dopo l’altro tutti i presenti. Compresa la cuoca. Compreso il proprietario e la giovane compagna. Compresi tutti i clienti. 8 morti.
Palermo. Arrestato Leoluca Bagarella dopo un casuale controllo di due carabinieri. Bagarella non reagisce perché con lui in auto c’è Vincenzina Marchese
• Piersanti Mattarella, presidente Dc della regione Sicilia, è stato ucciso dalla mafia mentre andava a messa. Era appena uscito di casa con la moglie, Irma Chiassese e i figli, quando un killer si è avvicinato al finestrino della sua 132 e ha iniziato a sparare. È morto mezz’ora dopo il suo arrivo all’ospedale. Non aveva la scorta. Il presidente la rifiutava sempre nei giorni festivi. [Lodato 2012]
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