«[a proposito dell’attentato che è costato la vita al premier iraniano Ali Ramzara] da quanto sembra i sovietici hanno favorito i sentimenti nazionalisti dei musulmani dell’Iran contro gli interessi inglesi nelle industrie petrolifere persiane, con quelle promesse sulla cui natura non è necessario pronunciarsi. Il Senato persiano deve decidere sulla nazionalizzazione delle industrie petrolifere già votata dal Parlamento. Il Governo britannico inviò nei giorni scorsi una nota al Governo di Teheran per far presente la illegalità del provvedimento e per consigliare un accordo con la Anglo Iranian Oil Co. In attesa degli eventi Londra ha deciso di non fare più pressioni sull’Iran prima di aver esaminato il rapporto dell’ambasciatore britannico a Teheran. Il Gabinetto inglese tuttavia segue con ansiosa attenzione la situazione persiana sovrattutto per le ripercussioni che essa può avere nel Medio Oriente e specialmente nell’Iraq dove si sta sviluppando un vivo malcontento per la « ingerenza » britannica nelle industrie del petrolio di quel Paese» (Corriere d’Informazione)
Il gen. Razmara, che aveva 49 anni, fu chiamato al Governo dallo Scià ventiquattro ore dopo lo scoppio della guerra in Corea. Era l’uomo delle situazioni gravi. Allievo di Saint-Cyr, di educazione e di tendenze occidentali, la sua energia rappresentava la risorsa estrema del sovrano e del Paese. Subito, l’atteggiamento politico di Razmara fece capire che l’orientamento della Persia cambiava. Il generale, che aveva garantito l’Azerbaijan persiano contro le tendenze di separatismo, cioè di annessione alla Russia, prese l’iniziativa di una distensione verso l’Urss. Un accordo commerciale fu concluso con Mosca: i termini rimasero piuttosto oscuri, e non s’era ancora potuto accertare se Teheran lasciasse ai Sovietici l’assoluta libertà di commercio, e perciò di influenza politica nelle regioni settentrionali, o se i traffici dovessero avvenire soltanto attraverso gli uffici competenti persiani. Contemporaneamente la Persia rifiutava di lasciar ritrasmettere la «Voce dell’America» dal suo territorio, e non consentiva alle compagnie petrolifere americane di far ricerche nelle regioni del Nord, ai confini russi. Questo indicava una oscillazione della Persia, non verso la Russia, ma verso una politica più elastica e cauta, consigliata dagli avvenimenti di Corea. L’oscillazione non spostava sostanzialmente la politica persiana. All’Onu e in tutte le altre occasioni i rappresentanti diplomatici della Persia continuavano a seguire la linea occidentale. E nella complicata vertenza sulle concessioni alla Anglo-Iranian Oil Company, che produce quasi 32 milioni di tonnellate di petrolio all’anno ed è di proprietà del Governo britannico, Razmara prendeva un atteggiamento favorevole all’Inghilterra, resistendo alle pressioni dei nazionalisti. Ma la maggioranza del Parlamento, sotto l’influenza aperta dei patriottardi e coperta della Russia, non accettava quella politica di moderazione e di rispetto degli interessi occidentali. L’assassinio avviene su questo sfondo di intrighi e di passioni, dominato da immensi interessi politici ed economici. Il Tudeh o partito di massa di ispirazione e disciplina comuniste, è stato sciolto già qualche anno fa, ma è noto che esso vive e agisce ancora in tutta la Persia. Questo partito, secondo gli osservatori londinesi, potrebbe preparare il terreno a un colpo di mano sovietico (Domenico Bartoli sul Corriere della Sera)
«[...] Razmara — dice Ayatoullah —, pur di rimanere al potere, ha tentato di offrire grosse concessioni agli Inglesi e agli Americani, a spese del popolo iraniano. Razmara ha concluso un accordo con l’Urss che dava al Russi dieci e zero all’Iran. Razmara ha rinunciato ad otto tonnellate d’oro in favore dei Russi, oro depositato dopo la guerra, per conto dell’Iran, in una banca sovietica. Razmara facilitò l’evasione di dieci capi del partito comunista Tudeh, detenuti, in attesa di giudizio, nelle carceri di Teheran: questi leaders, rifugiatisi nell’Europa orientale, fondarono d’urgenza un nuovo partito comunista dell’Iran. Ecco, in sintesi, le ragioni dell’uccisione di Razmara, colpevole, oltre tutto, di fronte a tutto il Parlamento, di essere stato designato Capo dello Stato, dallo Scià, senza l’approvazione del Parlamento stesso. Ma per dimostrare l’eccessivo fervore nazionalistico di Ayatoullah, basterà ricordare quello che Ayatoullah non ricorda nel suo libro d’accuse contro Razmara e cioè che Razmara era riuscito a raggiungere un accordo con gli Inglesi, per cui l’Iran avrebbe incassato invece di quattro scellini sei scellini per tonnellata estratta, mentre un altro progetto, avviato quasi alla conclusione, prevedeva parità di diritti, nella Società da parte dell’Iran e dell’Inghilterra, e la divisione al cinquanta per cento degli utili. I termini del contratto erano stati, quindi, profondamente modificati e soltanto in favore dell’Iran. Nulla di tutto questo raccontano Ayatoullah e i nazionalisti ad oltranza. L’opinione del Medio Oriente (l’opinione, intendo, dei nazionalisti saggi, chè sano ben rari i non nazionalisti) è di conseguenza che otto grammi di polvere estremista abbiano fatto il gioco dei comunisti e dell’Unione Sovietica, e si ritiene certo che le Potenze occidentali non rimarranno impassibili di fronte alla imprevista minaccia che grava sulle loro risorse petrolifere, sui loro interessi economici e sulle loro posizioni strategiche nel Medio Oriente». (da un articolo dal Cairo di Manuer Lualdi per il Corriere della Sera).
Il Senato di Teheran ha approvato oggi la proclamazione della legge marziale nella provincia del Khuzistan, ricca di . giacimenti petroliferi, il cui governatore generale è stato destituito ieri. Spetta ora alla Camera di pronunciarsi sull’argomento. Un comunicato ufficiale pubblicato oggi smentisce la voce di uno sbarco di truppe inglesi nell’ Iran meridionale, come pure quella di una penetratone in Persia di membri della tribù dei Barzani, provenienti dalla frontièra sovietica. Il Parlamento ha stabilito di prorogare la legge marziale per due mesi dopo che il ministro degli Interni, generale Fazlollah Zahedi, aveva riferito che un lavoratore e un poliziotto erano rimasti uccisi ad Isfahan durante una dimostrazione di solidarietà con gli scioperanti del Khuzistan. Nelle zone petrolifere il movimento di sciopero si va estendendo. La direzione della « Anglo-Iranian » ha segnalato, che picchetti di scioperanti hanno formato una «catena urnana » tutt’ attorno agli stabilimenti delle raffinerie di Abadan, e che solo 3000 dei 12.000 dipendenti hanno potuto recarsi normalmente al lavoro. Intorno alla fabbrica continuano a verificarsi episodi di intolleranza e disordini. La produzione di petrolio della zona è scesa dai 18 milioni di galloni al giorno a nemmeno 10 milioni. Negli altri impianti di proprietà della compagnia, a Bandar Manshur ed Aghajari, il lavoro continua invece normalmente.
La situazione in Iran si va facendo sempre più tesa. Trenta esperti americani hanno lasciato ieri il lavoro nella zona petrolifera, chiedendo l’immediato trasporto in Patria delle famiglie. Al tempo stesso le famiglie britanniche degli addetti al porto petrolifero di Abadan, nell’Iran sudorientale, sono state trasferite a Bassora, nell’Iraq. Trentasei treni recanti rinforzi di truppe iraniane sono stati inviati in tutta premura ad Abadan, dove si segnala la presenza di agitatori comunisti provenienti da vari Paesi del Medio Oriente. Il Governo iraniano si è riunito iersera in seduta straordinaria per discutere la critica situazione. L’ambasciatore americano Henry F. Grady ha dichiarato alla stampa che « gli Stati Uniti sperano che il problema petrolifero dell’Iran sia risolto nel senso di una soddisfazione del popolo iraniano e degli interessi del mondo libero del quale l’Iran fa parte ». Da Abadan vengono segnalati ulteriori episodi di violenza, e cosi pure dalla provincia centrale dell’Ysfahan e da due città industriali del Mazanderan, provincia sita lungo la costa del Caspio. Ad Abadan, dove venerdì scorso vennero uccisi tre marinai britannici e almeno sei iraniani, oltre ventimila fra operai e studenti si sono ammassati ieri per protestare contro il seppellimento delle vittime iraniane. Il «fronte nazionale» filo-sovietico aveva progettato un corteo funebre attraverso le vie della città, ma le autorità hanno provveduto di buon mattino a seppellire le salme. Le truppe hanno fatto fuoco in aria per disperdere i dimostranti. Pure nella mattinata di ieri, gli scioperanti di Abadan hanno stabilito un cordone di «picchetti» attorno alla raffineria dell’Anglo-Iranian, una delle più grandi del mondo, che è stata così costretta a chiudere per la prima volta dal 1917. I dimostranti sono anche riusciti a penetrare nell’edificio che ospita gli apprendisti della raffineria, ma ne sono stati subito scacciati dalla polizia e dalle truppe che hanno formato un cordone protettivo intorno al quartiere bianco della città. Il coprifuoco è in vigore dalle 19 alle 6.
Il Primo ministro Ala Hussein ha rassegnato stasera le dimissioni nelle mani dello Scià di Persia dopo che, com’è noto, la commissione parlamentare per il petrolio aveva proposto l’esproprio delle installazioni appartenenti alla Anglo-Iranian Oil Company. Nella serata di ieri la commissione, con unanime decisione, aveva proceduto alla stesura delle proposte per la nazionalizzazione delle industrie petrolifere iraniane. Il Parlamentò aveva approvato la nazionalizzazione in data 21 marzo ed aveva costituito il comitato per fissare i metodi con cui subentrare alla Anglo-Iranian Oil Company. Le dimissioni di Hussein hanno fatto seguito all’ammonimento dell’ambasciatore britannico Sir Francis Shepherd il quale aveva dichiarato che vi potrebbero essere « le più gravi e lontane conseguenze » se l’Iran tentasse di impadronirsi delle proprietà della compagnia controllata dai Britannici. Come è noto, Hussein aveva sostituito l’ex-Primo ministro generale Ali Razmara, assassinato il 7 marzo. L’ambasciatore britannico, parlando ieri alla stampa, aveva detto: « Io spero che il Parlamento non proceda ad una azione unilaterale o precipitata in merito alla questione del petrolio, cosa che chiuderebbe la porta a negoziati e potrebbe avere le più gravi e lontane conseguenze ». Nella giornata di oggi l’ambasciatore aveva fatto visita ad Hussein e successivamente aveva conferito con lo Scià. Prima dell’annuncio delle dimissioni, il Primo ministro aveva convocato una riunione speciale del Gabinetto per discutere la situazione alla luce degli ultimi sviluppi e di quelle che venivano considerate « voci allarmistiche diffuse dai partiti dell’opposizione ». Va rilevato che il presidente della commissione parlamentare del petrolio, Mossadeq, aveva fatto accenno ieri alla possibilità che accadesse qualche cosa che avrebbe potuto impedire ogni decisione sulla nazionalizzazione dei petroli È stato frattanto riferito da Sciras che nella città si è verificata un’esplosione di polvere pirica e che parte della città stessa è tuttora in fiamme. Non sono stati forniti ulterioti particolari. Sciras conta circa 70 mila abitanti. Trentasette persone sono state tratte in arresto nella città di Resht, in seguito a una dimostrazione.
[...] «nazionalizzazione» significherebbe espropriazione. Negli impianti della Anglo-Iranian è investito capitale inglese per circa trecentocinquanta milioni di sterline. Il Governo persiano non ha denaro per pagare regolarmente i suoi funzionari; come potrebbe pagare quella somma? Quindi, per nazionalizzare, dovrebbe o impossessarsi degli impianti senza pagare un soldo, o prendere un prestito da un Governo straniero per pagare la Anglo-Iranian. Al quesito «quali sarebbero gli effetti della nazionalizzazione» si può rispondere con le parole del defunto Primo ministro Ali Razmara: l’effetto sicuro e immediato sarebbe la perdita per il Tesoro persiano dei quattro quinti delle sue entrate. È fuori dubbio che i Persiani non sarebbero capaci — per lo meno per decenni — di far funzionare una organizzazione industriale e commerciale cosi gigantesca e complessa come la Anglo-Iranian. Infine: perchè tutti, in Persia, vogliono la «nazionalizzazione», cioè un provvedimento che sconvolgerebbe l’economia e la finanza del Paese e che farebbe sorgere i più gravi pericoli per la sua indipendenza? Risposta: la vogliono i comunisti perchè sono comunisti, e, come tali, vogliono che non solo il petrolio persiano, ma essa stessa cada nelle mani del comunismo sovietico. La vogliono i nazionalisti per quell’odio torvo per lo straniero che cova in tutto l’Oriente musulmano. La vogliono le classi abbienti, il Majlis, perchè hanno bisogno di un capro espiatorio su cui riversare le loro responsabilità, e lo hanno trovato nella Anglo-Iranian. Le masse persiane sono in una miseria che supera ogni immaginazione. 1 capi nazionalisti, i latifondisti, i ricchi mercanti, che dominano il Majlis, attaccando la Anglo-Iranian, distraggono l’attenzione del volgo dal loro fallimento, e si danno le arie di combattere per liberare il Paese dalla miseria di cui sono la causa principale La risposta a questi quesiti cambierebbe completamente se il Governo persiano si rivolgesse all’estero per averne aiuto di capitali e di tecnici. Vi è un solo Governo che avrebbe forse la capacità e certamente l’interesse di fornirgli un tale aiuto: il Governo sovietico. E, anzi, già da parecchio tempo glielo ha offerto in modo esplicito. (da un articolo di Augusto Guerriero sul Corriere della Sera)
Il «Majlis» persiano, riunitosi stamane in seduta segreta, ha proposto allo Scià di nominare Primo ministro in sostituzione del dimissionario Ala Hussein il dott. Mohammed Mossadeq che capeggia il gruppo nazionalista al quale si attribuisce l’organizzazione dei sanguinosi disordini di Abadan. La proposta del Parlamento, approvata da 79 deputati su 91, dovrà essere confermata dallo Scià. Stasera, poi, il Majlis, dopo una seduta durata sette ore e mezzo, ciò che costituisce un record nella storia parlamentare persiana, ha approvato all’unanimità il progetto di legge per la nazionalizzazione dell’industria petrolifera, invitando il Governo ad espropriare senz’altro la Compagnia Anglo-Iranian, controllata dal Governo di Londra. È stata inoltre proposta la creazione di una commissione mista governativa e parlamentare per esaminare gli eventuali reclami di altri Governi o delle compagnie petrolifere. Si afferma a Teheran che lo Scià è furente per la decisione del Majlis tendente ad imporgli di nominare Primo ministro il più accanito nazionalista del Paese. Vi è persino chi assicura che il sovrano potrebbe invocare i suoi poteri costituzionali per sciogliere il Majlis col proposito di instaurare un Governo stabile. Oggi Mossadeq, a nome del suo gruppo, ha precisato che intende dissociarsi dal partito comunista Tudeh messo al bando, al quale solo spetterebbe la responsabilità di aver fomentato i torbidi di Abadan e Isfahan. Oggi il Parlamento ha anche bocciato una mozione che prevedeva la vendita del petrolio nazionalizzato al maggior offerente (la Russia?) e ha stabilito che il petrolio deve essere venduto ai clienti precedenti in base ai prezzi internazionali. L’Anglo-Iranian Oil Company, dal suo canto, ha protestato già oggi contro le decisioni prese a suo danno dal Parlamento persiano. Viene riferito che in una nota inviata al Governo di Teheran l’Inghilterra si oppone risolutamente alla «possibilità di una simile infrazione all’accordo esistente tra il Governo imperiale (persiano) e la Compagnia». Si aggiunge che l’Inghilterra ha intenzione di inviare sul posto alcune cannoniere, che si trovano a non più di 48 ore di navigazione dai principali porti persiani, a protezione delle vite e dei beni britannici. Un portavoce del Foreign Office ha precisato che la Anglo-Iranian ha alle sue dipendenze in Persia circa 3.500 impiegati britannici.
Questa mattina, con carattere di grande urgenza, il Gabinetto britannico si riunisce per esaminare la decisione presa dal Parlamento di Teheran di dar corso immediatamente alla nazionalizzazione delle industrie petrolifere britanniche nell’ Iran. Nel pomeriggio di oggi il ministro degli Esteri Morrison farà delle dichiarazioni in proposito alla Camera dei Comuni. A Londra la situazione è giudicata molto seria ed è fonte di gravi preoccupazioni soprattutto di carattere internazionale. Infatti, se il Governo inglese dovesse decidere di sbarcare delle truppe nel porto di Abadan per proteggere la vita dei cittadini britannici e le proprietà della Anglo-Iranian Oil Company, le truppe sovietiche potrebbero invadere la provincia dell’Azerbaijan persiano, secondo le informazioni fornite all’ambasciatore inglese a Teheran dall’ex-Primo ministro iranico Hussein Ala dimessosi venerdì scorso. Le concessioni dell’Anglo-Iranian avrebbero dovuto scadere il 31 dicembre dei 1993. Il Daily Telegraph rileva stamane, in un suo editoriale, la gravità dell’improvvisa votazione della legge sulla nazionalizzazione delle industrie petrolifere iraniane. «La Persia non ha né la capacità tecnica né le risorse finanziarie per sfruttare la ricchezza del suo sottosuolo. Ogni suo tentativo di far funzionare le industrie petrolifere della Anglo-Iranian, senza la collaborazione straniera, significherebbe rovinare gli impianti già esistenti e distruggere le basi sulle quali si regge la intera economia del Paese » Il giornale, dopo aver sottolineato il pericolo non solo per la Gran Bretagna, ma anche per altre Nazioni del mondo libero se dovesse venir meno il petrolio dell’ Iran, aggiunge: «Solo il comunismo, i cui agitatori hanno diretto, prima nascostamente e poi apertamente, la campagna antibritannica per la nazionalizzazione delle industrie petrolifere persiane, può essere avvantaggiato dal collasso della economia dell’ Iran e dal divieto che il petrolio persiano arrivi nei Paesi dell’Occidente. Il Governo britannico sarebbe pienamente giustificato, anche se dovesse difendere con le misure più drastiche i suoi diritti, ma ciò potrebbe causare l’intervento dell’Unione Sovietica ».
Il Governo persiano ha intimato un ultimatum di sette giorni alla Compagnia petrolifera britannica. Se entro il 30 maggio la Anglo-Iranian Oil Company, l’ex-Compagnia, come dicono i Persiani, non avrà accreditato i suoi rappresentanti per fissare le modalità del trapasso d’accordo col Governo, questo procederà alla nazionalizzazione senz’altro indugio. L’ultimatum è in realtà rivolto al Governo britannico, che possiede la maggioranza delle azioni della Compagnia, e risponde di fatto alla nota inglese di sabato scorso. La linea di condotta della diplomazia persiana che, essendo orientale, non manca di sottili furberie, consiste nel rivolgersi direttamente alla Compagnia e di rifiutare ogni intervento britannico col pretesto di dover respingere le intromissioni nei propri affari interni. Ma non c’è dubbio che l’azione di Mossadeq colpisce in pieno e direttamente l’Inghilterra nel suo prestigio, nella sua forza politica e militare e nei suoi interessi economici. Questo agitato parlamentare, sempre barricato dentro l’edificio del Parlamento, sta per infliggere all’Inghilterra il colpo più grave che essa abbia subito dopo la vittoria
Il Premier persiano, Mohammed Mossadeq, ha avvertito gli Inglesi che è meglio cedere le concessioni petrolifere dell’ Iran sudorientale ai legittimi proprietari, anziché subire le probabili conseguenze di un rifiuto: una terza guerra mondiale e la caduta della civiltà occidentale. Mossadeq, che è un tipo altamente emotivo, ha avuto scoppi di pianto e frasi assai aspre nell’intervista concessa ai giornalisti, alla quale s’è presentato appoggiandosi a un deputato che lo aiutava a tenersi dritto. È la prima volta che il ministro appare in pubblico dopo esser riparato al palazzo del Parlamento per difendersi dagli attentati e difendere la nazionalizzazione dell’industria petrolifera persiana e comunicare ufficialmente che l’Anglo-Iranian non è più gradita in Persia. Ricordando e illustrando le fatiche e le miserie del povero popolo persiano Mossadeq ha pianto abbondatemente, ma la sua voce si è indurita minacciosa quando ha fatto ricadere ogni colpa sulla malvagia politica coloniale della Anglo-Iranian, sulla quale il Governo inglese ha un interesse preminente. Mossadeq ha lasciato poche speranze di compromesso: la Compagnia deve andarsene, egli ha detto, perché è una fonte di intrighi, di corruzioni e di interferenze negli affari interni della Persia. E con essa debbono andarsene anche gli agenti della Compagnia, perché essi hanno sacrificato tutto il Paese alle loro cupidigie.
Il Primo ministro Mohammed Mossadeq, a quanto si apprende, oggi ha assicurato al Presidente Truman che la Persia darà la precedenza agli attuali clienti quando assumerà il controllo della Iranian Oil Company. È stato rivelato oggi il testo della risposta inviata ieri da Mossadeq tramite l’ambasciatore americano a Teheran alla recente lettera di Truman che esortava a comporre la vertenza mediante negoziati. La risposta oltre a dare le assicurazioni di cui sopra circa la vendita del petrolio rinnova anche l’accusa che agenti segreti della Anglo-Iranian hanno esercitato pressioni economiche sulla Persia per impedire un miglioramento delle condizioni di vita del popolo. Mossadeq dice che l’ Iran non ha altra scelta che nazionalizzare la compagnia ma vuole rimanere amico della Gran Bretagna.
II portavoce ufficiale persiano ha annunciato alle 15 (ora locale) che il Governo di Teheran ha ordinato la requisizione e l’occupazione totale di tutte le installazioni petrolifere della Anglo-Iranian Company. Ciò è stato deciso durante una riunione straordinaria di Gabinetto, durata sei ore, presieduta da Mossadeq, e tenuta nella camera da letto del Premier, oggi febbricitante. Il Gabinetto persiano ha inoltre nominato i suoi rappresentanti incaricati di prendere in consegna le installazioni e gli uffici vendite dell’AIOC. L’ufficio informazioni della Compagnia potrà venire chiuso immediatamente e, in base all’ordine governativo il nome della compagnia stessa dovrà venire cambiato in quello di Compagnia nazionale dei petroli iraniani. I profitti della Compagnia dovranno venire depositati in un conto bancario al nome della Compagnia nazionale. D’ora innanzi, in seguito a tali decisioni, ogni ordine dell’ufficio dei direttori della Anglo-Iranian Oil Company o del direttore centrale non saranno validi se non saranno controfirmati dal consiglio provvisorio d’amministrazione della Compagnia petrolifera nazionale dell’ Iran. Da Abadan giunge intanto notizia che stamane migliaia di lavoratori persiani hanno inscenato una vibrante manifestazione quando il vice-Primo ministro, Makki, ha alzato la bandiera dell’ Iran sulla sede della Anglo-Iranian Oil Company. Makki ha dichiarato che alzare la bandiera iraniana significava l’avvenuto inizio della gestione degli impianti della Compagnia da parte della Persia. I lavoratori si sono poi allontanati quando li ministro li ha invitati a ritornare al lavoro. Makki ha poi dichiarato che il Consiglio provvisorio di amministrazione sta attendendo di minuto in minuto ordini dalla capitale. La produzione per ora continua normalmente. Frattanto l’ambasciatore inglese ha dichiarato di essere ancora in attesa di istruzioni da Londra. Sir Francis Shepherd ha inoltre reso noto d’aver comunicato al console generale a Khorran Shahr, dove si trova la sede centrale della Anglo-Iranian Oil Company, di avvisare le mogli e i bambini dei dipendenti inglesi della Compagnia di essere prudenti e di partire appena possibile. Al massimo dovrebbero rimanere colà 100 dipendenti britannici.
«Abadan ci apparve già agonizzante tre giorni or sono, quando l’aeroplano ci lasciò all’aeroporto civile sul quale tre quadrimotori attendevano di caricare le ultime donne e gli ultimi bambini inglesi. Le donne e i bambini inglesi partivano dopo aver sprangato le porte e chiuso le persiane delle case in cui avevano abitato per tanti anni circondati dal conforto che la potenza finanziaria dell’Anglo - Iranian Oil Company poteva abbondantemente elargire alle donne e ai bambini inglesi. Ora con occhiate alle porte e alle finestre spente, anche le case di Abadan, tutte case a un solo piano, larghe e spaziose, sembrano accompagnare l’agonia delle strade deserte e degli uffici vuoti. All’ingresso del Gimkana Club, un lussuoso palazzotto lucidato al cromo, era stata posta una lavagna su cui si leggeva: “I trattenimenti danzanti di oggi e domani sono stati rinviati a data da stabilirsi”» (da un articolo di Max David sul Corriere della Sera)
Le autorità persiane hanno ingiunto stamane al personale britannico della Anglo Iranian Oil Company di restare in servizio per un mese almeno, a partire dal 27 giugno. Ciò allo scopo di impedire l’interruzione della produzione nei campi petroliferi. Giova tener presente che, in una lettera in data 27 giugno, indirizzata alle autorità iraniane da un comitato rappresentante tutte le sezioni del personale inglese, si dichiarava esplicitamente che non si voleva né si poteva lavorare per conto della Compagnia nazionalizzata. Nella risposta persiana si accusano ora i britannici di aver preso l’iniziativa di dimettersi, e si ricorda che «qualsiasi arresto o riduzione della produzione nelle raffinerie e qualsiasi perdita o danno subito dalla Persia o da altri Paesi liberi del mondo, consumatori del petrolio iraniano, ricadrebbero interamente sui dipendenti dell’AIOC». Le raffinerie di Abadan hanno tuttavia iniziato stamane a lavorare al 50 per cento delle loro capacità produttive. L’ordine di ridurre della metà l’attività produttiva è stato dato ieri dal direttore delle raffinerie, Kenneth Ross, allo scopo di mantenere in funzione gli impianti il più a lungo possibile. Tuttavia anche così fra venti giorni i serbatoi saranno pieni e tutto dovrà fermarsi, se nel frattempo non si sarà verificato qualche fatto nuovo. La riduzione porterà la produzione da 15 milioni e 100 mila galloni di petrolio grezzo al giorno a otto milioni e 300 mila. Le autorità persiane hanno infine interrotto oggi il flusso del petrolio nel solo oleodotto che unisce Abadan con la provincia di Bassora nell’Irak.
Il segreto dell’errore commesso dal Governo laborista nella vertenza anglo-persiana dei petroli e le ragioni della ostinata intransigenza del Governo di Teheran nelle trattative coi rappresentanti britannici potrebbero essere spiegati dal bilancio della Anglo-Iranian Oil Company e dal rapporto aggiuntivo del suo presidente, che sono stati pubblicati questa mattina. La Compagnia petrolifera ha annunciato che nella gestione dello scorso anno i suoi profitti ammontarono alla favolosa cifra di 115.495.994 sterline, pari a circa 200 miliardi di lire italiane. Da questo totale devono tuttavia detrarsi 34 milioni di sterline per usura degli impianti fissi e 24 milioni spesi per i sondaggi di nuove zone petrolifere. L’Anglo-Iranian quindi ha incassato dalla vendita del petrolio 81 milioni di sterline, cioè il doppio dell’anno precedente. Il Governo britannico ha guadagnato con le sue tasse oltre 50 milioni di sterline lasciando cioè alla Compagnia petrolifera un netto di 33 milioni di sterline (35 miliardi di lire italiane) di cui 26 accantonati come capitale e sette distribuiti agli azionisti. Che cosa è toccato ai Persiani nel 1950? Sedici milioni di sterline; se i Persiani avessero ratificato gli accordi supplementari del 1949 avrebbero potuto guadagnarne 33 milioni, perché l’Anglo-Iranian, immediatamente dopo i contratti firmati tra una compagnia petrolifera americana e il Governo dell’Arabia Saudita sulla base della spartizione in parti eguali dei profitti, fece nel gennaio scorso una analoga offerta al Governo persiano che è rimasta segreta fino a oggi. Nel rapporto firmato dal presidente della Anglo-Iranian a illustrazione delle cifre del bilancio è detto che l’ Iran con l’incasso per i suoi diritti di dogana e altre tasse avrebbe potuto ricevere complessivamente circa 50 milioni di sterline all’anno.
Il primo ministro persiano Mossadeq si è presentato stamane alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja per patrocinare la causa del suo Paese nella vertenza dei petroli. Mossadeq è giunto alla sede della Corte una ventina di minuti prima che si aprisse l’udienza, a bordo di una automobile del Ministero della Giustizia olandese, scortata da agenti in motocicletta. Altri agenti vigilavano intorno al palazzo e nell’aula delle udienze. Il Primo ministro iraniano, che indossava un elegante abito da mattino, è entrato in aula appoggiandosi a un bastone da passeggio, aiutato dal figlio, suo medico curante, e dal ministro persiano all’Aja, Navab. I rappresentanti legali della Gran Bretagna avevano preso posto in precedenza. L’udienza ha avuto inizio alle undici, sotto la presidenza di José Gustavo Guerrero, della Repubblica del Salvador, che sostituiva il presidente della Corte Sir Arnold McNair, cittadino inglese, e quindi legato a una delle parti in causa. Appena dichiarato aperto il dibattimento, il ministro persiano all’Aja ha presentato alla Corte Il Primo ministro Mossadeq. Quando il Premier si è nuovamente seduto, il belga Henri Rolin, consulente per la Persia, ha preso la parola sostenendo in particolare che la vertenza è una questione interna dell’Iran, completamente al di fuori della competenza della Corte. Quando è stato il suo turno, Mossadeq si è alzato ad affermare solennemente che la Gran Bretagna aveva fatto della Anglo Iranian Oil Company «uno Stato entro lo Stato». Mossadeq ha parlato in francese con voce chiara. Egli ha detto che la Anglo Iranian prima del 1950, quando il petrolio venne nazionalizzato, aveva un proprio servizio di spionaggio non solo nell’ambito della Compagnia ma in tutta la Persia. Egli ha quindi osservato che da mezzo secolo la Persia è sempre stata presa di mira, per la sua ricchezza petrolifera, da due Potenze rivali, la Gran Bretagna e la Russia. Dopo avere sostenuto che la legge persiana per la nazionalizzazione è molto moderata, il Premier ha espresso la speranza che sarà resa giustizia al suo Paese. «La Persia è uno Stato sovrano e libero — ha esclamato alla fine Mossadeq — pertanto la Persia chiede alla Corte di rifiutarsi di intervenire in questa questione».
La Miriella, la petroliera di cui tanto si è parlato durante il suo viaggio da Abadan all’Italia (e che un giornale inglese ha definito «lurida petroliera italiana che si fa beffe della Gran Bretagna»), entrerà domani mattina all’alba nel porto di Venezia (non può entrare prima perché di notte alle petroliere non è concessa l’entrata nel porto) e attraccherà a Marghera, in punto franco. Essa reca a bordo 4.500 tonnellate di petrolio grezzo, ed è in navigazione da venticinque giorni. Il dott. Francesco Mortillaro, consigliere delegato della Supor, la società armatrice, è giunto stasera a Venezia per attendere la petroliera. Egli ha voluto precisare che si tratta di una normale transazione commerciale per la quale il gruppo che egli rappresenta è specializzato. Si tratta infatti dello stesso gruppo che ha effettuato compensazioni contro combustibili solidi e liquidi da vari Paesi europei, specialmente da Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Russia. « L’operazione — ha aggiunto il dott. Mortlllaro - è stata iniziata quando era già nota la sentenza della Corte internazionale dell’Aia che dichiarò la propria incompetenza a giudicare nella vertenza fra uno Stato, l’ Iran, e una società privata, l’Anglo Iranian Oil Company. In quanto a un eventuale sequestro sono pronto ad affrontare la situazione». Uno dei maggiori esponenti della Supor era il duca Mario Badoglio, morto l’altro giorno a San Vito al Tagliamento per un attacco di angina pectoris. Dal punto di vista giuridico si crede di sapere che l’Anglo-Iranian avrebbe dato incarico ad un avvocato di Roma di svolgere le pratiche per ottenere il sequestro del carico. Vertenza tutt’altro che semplice: da una parte l’Anglo Iranian sostiene che in base al contratto col Governo persiano tutto il petrolio prodotto nell’ Iran è di sua proprietà, dall’altra il Governo iraniano obietta che, dopo la nazionalizzazione delle riserve e degli impianti esistenti nel Paese, il contratto con l’Anglo Iranian è decaduto.
VENEZIA - Alle 11 di stamane il presidente del Tribunale, dott. Mastrobuono, ha consegnato alla Cancelleria, per la trascrizione, il dispositivo della sua ordinanza con cui si respinge la richiesta di sequestro delle 4.600 tonnellate di petrolio della Miriella presentata dall’Anglo Iranian. L’Anglo Iranian ha reso noto che ricorrerà immediatamente al Tribunale di Roma, dove ha sede la Compagnia «Supor» acquirente del petrolio trasportato dalla Miriella. L’ordinanza che ha dato ragione agli italiani contro gli inglesi recita tra l’altro: «Il petrolio oggetto della controversia fu preso in Persia dallo Stato persiano, in attuazione della legge di nazionalizzazione, e in Persia fu disposto di esso a favore della Supor, in conseguenza di contratto di compravendita. Tutto questo avvenne in conformità all’ordinamento giuridico dello Stato persiano: col che, si esclude la necessità di procedere ad alcuna valutazione della legge di nazionalizzazione, alla stregua dell’ordine pubblico. Tenuto conto che indubbiamente è un principio di ordine pubblico quello che la proprietà non può essere tolta senza indennizzo, si tratta ora di vedere se la legge di nazionalizzazione persiana contrasti o meno con tale principio. Ma dall’esame degli articoli 2 e 3 di tale legge e dall’impegno preso dal Governo persiano, di depositare presso la Banca Milli-Iran o presso qualsiasi altra banca fino al 25 per cento dei proventi normali derivanti dal petrolio, si deduce come la legge di nazionalizzazione non escluda l’attribuzione all’A.I.O.C. di un Indennizzo; non solo, ma contiene il non equivoco riconoscimento del diritto relativo». Il comm. Arnaldo Bennati, principale esponente della Supor, ci ha dichiarato che due petroliere, la Miriella e l’Alba, di 11 mila tonnellate quest’ultima, giungeranno tra breve ad Abadan, per caricare petrolio persiano. Il petrolio — anche quello sequestrato a Venezia, e che si trova attualmente In punto franco — verrà ceduto alle industrie italiane in compensazione con quanto le industrie stesse invieranno in Persia.
Dopo la decisione del Tribunale di Venezia sul caso della nave cisterna Miriella, che in tutta la stampa britannica sollevò un coro di indignate proteste, l’Anglo Iranian Oil Company avrebbe predisposto le sue prime rappresaglie allo scopo di impedire che nevi mercantili italiane trasportino anche nelle zone franche dei nostri porti il petrolio persiano. La compagnia britannica — secondo quanto pubblica il conservatore The Scotman, minaccia di sospendere le « prospettazioni » petrolifere in Sicilia, se il Governo italiano non assume un diverso atteggiamento di fronte alla questione dei petroli iraniani. L’Anglo Iranian, che possiede il 50 per cento delle azioni dell’Agip italiana, sta effettuando delle ricerche nelle zone di Ragusa, Vittoria e Priolo. Poiché i risultati dei primi sondaggi sono stati finora soddisfacenti, la Compagnia ha informato le autorità italiane che procederà alle perforazioni soltanto sotto determinate condizioni. Una di queste comporterebbe il rifiuto da parte del Governo italiano di consentire la vendita del petrolio persiano all’interno del nostro Paese.
Il Tribunale di Roma ha emanato stamane la sentenza nella causa intentata dalla Anglo Iranian Oil Company (Aioc) contro la società Supor, che ha per prima importato in Italia il petrolio iraniano dopo la nazionalizzazione, iniziandone il trasporto con la famosa nave Miriella. La sentenza rigetta la domanda di rivendica di proprietà del petrolio proposta dall’Aioc contro la Supor e condanna l’Aioc stessa alle spese di giudizio. Gli antefatti della causa sono noti. Come si ricorderà, in seguito alla legge per la nazionalizzazione dell’industria del petrolio in tutto il territorio della Persia, la società italiana Supor raggiungeva un accordo con la National Iran Oil Company per l’acquisto di petrolio nazionalizzato, senza esborso di valuta estera, mediante compensazione con i prodotti dell’industria italiana. I prelevamenti di tale petrolio furono iniziati con la nave Miriella. L’Aioc, che non aveva accettato la legge di nazionalizzazione e che pertanto si riteneva proprietaria del petrolio venduto alla Supor, prima mediante la richiesta di un sequestro giudiziario (che fu respinta dal Tribunale di Venezia) poi con l’instaurazione di tanti processi per ogni carico di petrolio persiano trasportato, chiese alle autorità giudiziarie italiane il riconoscimento del proprio diritto di proprietà sul petrolio. La sentenza riconosce invece il pieno diritto di proprietà del petrolio in contestazione alla Supor per averlo essa acquistato legittimamente.
A Teheran e a Londra è stato annunziato simultaneamente stamane che il consorzio di otto aziende petrolifere occidentali e il Governo iraniano hanno finalmente raggiunto un accordo su larga base per far rinascere l’industria del petrolio nell’ Iran inattiva da tre anni. L’accordo dispone che la grande raffineria di Abadan e i campi petroliferi adiacenti saranno gestiti dal consorzio. La produzione sarà consegnata al Governo iraniano dal quale il consorzio la comprerà e la venderà poi all’estero. Campi e raffineria apparterranno all’ Iran. Si spera di poter riprendere le operazioni di esportazione fra due mesi. L’annunzio dell’accordo è stato dato a Teheran dal ministro delle Finanze, Ali Amini, e da Howard Pgage, rappresentante della « Standard Oil », il quale ha diretto i negoziati. L’accordo avrà una durata di 25 anni, prorogabile per altri cinque, se le parti lo vorranno. Benché l’annunzio non lo specifichi, si crede che l’accordo disponga il versamento del 50 per cento all’ Iran del reddito di produzione, ossia la stessa percentuale in uso in altri Paesi petroliferi del Medio Oriente. Si calcola che l’Iran introiterà 420 milioni di dollari nel primo triennio dell’accordo. Il consorzio è formato dall’Anglo Iranian, che ha sfruttato da sola l’industria petrolifera iraniana fino alla legge di nazionalizzazione di Mossadeq (1951), dalle aziende americane « Standard Oil » del New Jersey, «Standard Oil» della California. « Texas Company », « Gulf Oil » e « Socony Vacuum », dall’azienda olandese « Royal Dutch » e dalla « Compagnie française des pétroles »
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