Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il No ha vinto più o meno per 60 a 40, e a mezzanotte e mezza, quando è stato sicuro della sconfitta, Matteo Renzi s’è presentato ai giornalisti e ha annunciato che «il mio governo finisce qui». Terrà un consiglio dei ministri oggi pomeriggio, poi salirà al Colle e rimetterà la carica di presidente del Consiglio nelle mani di Mattarella. Continuerà a governare fino a che il nuovo governo non sarà in carica e farà in modo di non ritardare l’approvazione della legge di Stabilità.
• Che succederà a questo punto?
Renzi è stato chiarissimo. Adesso tocca alle forze che hanno sostenuto il No portare avanti il Paese e, sottinteso, concordare una nuova legge elettorale che possa permettere ai cittadini di andare alle prossime elezioni con la sicurezza che poi un governo e una maggioranza nascano davvero. Nella situazione che si è determinata dopo la vittoria del No, abbiamo una certa legge - l’Italicum - per la Camera, e una legge completamente diversa per il Senato, cioè il Consultellum, vale a dire il vecchio Porcellum riformato dai giudice della Consulta. Un proporzionale puro, con delle soglie di sbarramento. Vedrà che anche la nuova legge elettorale sarà un proporzionale puro con delle soglie di sbarramento. Unico sistema che possa tenere Grillo a distanza.
• A me è parso che Renzi, pur sorridente, abbia parlato con le lacrime in gola.
Sì, è parso anche a me. Ha salutato con la moglie a pochi metri distanza, che ha ringraziato. E ha ringraziato pure i figli. Ha mandato un tweet prima di presentarsi: «Grazie a tutti comunque. Tra qualche minuto sarò in diretta da Palazzo Chigi. Viva l’Italia. Ps: Arrivo arrivo» che era la chiusa di un suo messaggio all’inizio della sua ascesa a Palazzo Chigi. Durante il discorso, gli abbiamo sentito dire, tra l’altro: «In Italia non perde mai nessuno. Io invece ho perso. Io e solo io porto la responsabilità di questa sconfitta. Voi non avete perso, sentitevi soddisfatti per il vostro lavoro. Vorrei che foste fieri di voi stessi. Sono orgoglioso della possibilità che il Parlamento ha dato ai cittadini di esprimersi sulla loro Carta fondamentale».
• In effetti la partecipazione è stata molto alta.
Sì, è così. Il risultato è tanto più significativo ed eclatante - e la sconfitta del Sì tanto più bruciante - per l’alta affluenza alle urne. Quasi il 70 per cento dei cittadini.
• Quali sono state le prime reazioni?
Il leader della Lega, Matteo Salvini, è andato ai microfoni appena visti gli exit-poll e ha dichiarato: «Se fossero confermati gli exit poll, Renzi dovrebbe dimettersi. In un Paese normale gli elettori dovrebbero tornare al voto subito, senza governicchi». Ha poi esultato alla notizia che Renzi, effettivamente, si dimetteva. Secondo Salvini, hanno perso con Renzi quelli della Casta, i banchieri, il presidente di Confindustria, il presidente di Confagricoltura e in genere i cosiddetti poteri forti. Concetti ribaditi subito anche da Brunetta: «Renzi si deve dimettere. Con quella del premier questa è la sconfitta dei poteri forti. Di chi ha giocato sulla pelle del nostro Paese. Anche della burocrazia di Confindustria». Da parte dei dem, c’è stato prima un elogio alla partecipazione da parte di Lorenzo Guerini, portavoce e vicesegretario del Pd, che ha solo chiesto di aspettare risultati più sicuri prima di qualunque valutazione. Ettore Rosato, capogruppo dei democratici alla Camera dallo scorso anno (sostituì Roberto Speranza, passato ai sinistri-sinistri), ha detto solo: «È la democrazia. Teniamocela stretta».
• Che succederà a questo punto dentro il Pd?
Renzi ha annunciato le sue dimissioni da palazzo Chigi, ma nulla ha detto sul suo ruolo di segretario all’interno del partito. Capiremo qualcosa da domani, quando si riunirà la direzione del Pd. Un elemento che anche la campagna elettorale ha messo in evidenza è che Renzi può intestarsi la sconfitta in solitudine perché non c’è nessun altra personalità dentro il partito che sembri avere la forza o i consensi sufficienti a sostituirlo. Questo è anche il limite del capo del governo (non ancora ex solo per poco): non aver creato un gruppo dirigente forte, credibile, non averlo esteso sul territorio. Specularmente, si tratta delle stesse macerie che Berlusconi ha lasciato nel centro-destra. È possibile che il Pd organizzi delle primarie per trovare il suo nuovo leader (o per confermare quello vecchio) da candidare poi a Palazzo Chigi quando sarà il momento di votare. Nonostante Salvini abbia tentato, con Brunetta, di intestarsi subito la vittoria, è chiaro che, almeno al momento, il nostro sistema è imperniato su due forze politiche, il Partito democratico e il Movimento 5 stelle. Per quanto strillino, gli altri, almeno al momento, appaiono residuali.
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