Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il dilemma della ricostruzione è il seguente: bisogna rifare i paesi tali e quali a com’erano prima, e dov’erano prima, o sarebbe meglio costruirli da un’altra parte, magari fondare una nuova città al centro della Penisola, un qualcosa che riuscisse a estendersi tra Abruzzo, Marche e Lazio, le tre regioni coinvolte?
• Che idee ci sono in giro?
Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, intervistato ieri da Lorenzo Salvia del Corriere della Sera, ha detto che «una decisione verrà presa quando usciremo dall’emergenza vera e propria», «quando imposteremo la ricostruzione daremo la parola alla gente del posto» e però si dice anche sicuro che i sindaci decideranno di ricostruire i borghi là dove stavano e, per quanto possibile, cercheranno di farli identici a prima. Quindi niente New Towns alla maniera di Berlusconi per L’Aquila 2009. Come ci si comporterà però in casi come quello di Saletta, frazione di Amatrice, 12 abitanti, che in questo periodo erano diventati 22 e sono tutti morti? In questo tipo di borghi, con gente che vive in genere a Roma, e torna nella casa dell’infanzia giusto qualche giorno d’estate per prendere un po’ di fresco, la ricostruzione riguarda poche migliaia di persone oppure un certo numero di possessori di seconde case. E però ha anche ragione il ministro: «Le nostre città sono la nostra storia, tanto più in quei piccoli borghi che rappresentano il cuore d’Italia».
• Esistono esempi di paesi terremotati e ricostruiti identici a prima?
Sì, il Friuli. In Friuli si adoperò una tecnica detta «anastilosi». Si numerano le pietre e si rimettono nel posto esatto in cui si trovavano prima. La ricostruzione in Friuli (1976), forse l’unica di cui possiamo andare orgogliosi, fu resa possibile non solo dalla volontà degli stessi friulani, che misero 60 lire per ogni 60 lire stanziate dallo Stato, di modo che un patrimonio che valeva 100 si valorizzò solo per questo a 120, ma anche dal fatto che la politica adottò la logica dello stato d’assedio: roulotte sequestrate ovunque, case espropriate, interi comuni (Venzone) dichiarati «opera pubblica» comprese le case private. Cossiga, ministro dell’Interno, scrisse: «Il commissario (era Zamberletti
) agisce in deroga a tutte le leggi, ivi comprese quelle sulla contabilità generale dello Stato». Ci furono molte ingiustizie, ma i paesi vennero ricostruiti e da lì partì anzi la rinascita economica di quel territorio. Qualcuno ieri s’è indignato perché Bruno Vespa ha detto che il terremoto può essere un’occasione economica. Ma è assolutamente vero. Fa testo il Friuli, fa testo l’alluvione di Alessandria del 1993, e fa testo soprattutto il terremoto di Lisbona del 1755, un caso completamente diverso da quello del Friuli.
• Perché?
Perché il marchese di Pombal, a cui venne affidata la ricostruzione (il re Giuseppe I era scappato), rifece daccapo, e in modo diverso, la città, adottando per la prima volta il sistema di ricostruzione a moduli, regolando il territorio con nuovi piani regolatori, trasformando l’artigianato in industria, emarginando la nobiltà imbelle e facendo trionfare l’abbinata impresa-lavoro. Si dice che il Portogallo moderno è ancora oggi quello che Pombal ha voluto. Stessa cosa in Calabria nel 1783: sisma spaventoso (30 mila morti) e palla colta al volo dal principe Pignatelli, inviato del re di Napoli Ferdinando IV, per sbarazzarsi del clero, incamerare beni ecclesiastici, creare una cassa sacra e con quella finanziare uno sviluppo che, fatte le debite proporzioni, resta ancora memorabile. Era successo qualcosa di analogo anche a Catania novant’anni prima.
• Cioè Renzi può cogliere al balzo la palla del terremoto per cambiare il Paese attraverso la ricostruzione.
Potrebbe. Forse non tanto attraverso la ricostruzione di Amatrice e degli altri paesi colpiti adesso, quanto mediante un piano serio, credibile, di messa in sicurezza dell’intero paese. Il 70 per cento dei nostri immobili è a rischio. E siamo, complessivamente presi, un patrimonio dell’intera umanità. Persino borghi come Accomuli o Arquata, che quasi nessuno di noi aveva mai sentito nominare, si rivelano poi gioielli della nostra storia antichissima, impossibili da cancellare.
• Quanti soldi ci vorrebbero per questa messa in sicurezza di tutto quanto?
Trecentosessanta miliardi. Più o meno. È chiaro che ci vuole la collaborazione del mondo e dell’Europa. Ammesso che ci sia permesso di indebitarci per una cifra simile, questi denari andrebbero intanto messi fuori dal calcolo deficit/pil. E fuori dalla possibilità di alimentare il solito gigantesco magna-magna, con l’accompagnamento di sghignazzate telefoniche. Sarebbe, se fatto seriamente, un modo per rilanciare l’economia, dando molto lavoro a un sacco di gente, e quindi con importanti conseguenze anche sull’indotto. Non a caso in Friuli i primi finanziamenti, in quel clima di stato d’assedio, andarono alle imprese. E non ci furono casi di corruzione. Ho l’impressione che la sorte abbia dato a Renzi l’occasione per dimostrare di essere - o di non essere - un uomo di Stato.
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