Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Grandi lotte in Europa, dentro la Ue e tra i laburisti inglesi e tra i conservatori inglesi. Intanto però la sterlina ha riguadagnato qualcosa e le Borse hanno rimbalzato, come si dice, cioè Milano dopo aver perso circa 16 punti in due giorni (sedute di venerdì e lunedì) ieri ne ha recuperati 3,3, con le banche a tirare per tutta la giornata, anche se alla fine con Unicredit e Bper negative. Positive tutte le altre. Il bollettino della Brexit deve anche segnalare che Standard & Poor’s ha tagliato il rating del debito britannico da AAA a AA, con outlook negativo.
• È tanto tempo che non parliamo di rating e outlook. Spieghiamo.
«Outlook» si potrebbe tradurre «sguardo al futuro». Standard & Poor’s fa parte di quelle agenzie internazionali che valutano l’affidabilità dei grandi debitori. Dànno dei voti in lettere. La tripla A è il voto più alto: significa che al 99 per cento il debitore restituirà i soldi. Se una di queste agenzie ti abbassa il voto, vuol dire che c’è meno sicurezza sul fatto che sarai in grado di restituire. Intendiamoci: il debito pubblico italiano ha un voto più basso di quello inglese - BBB - perché l’Italia cresce poco e il rapporto debito/pil, oltre il 130%, è troppo alto. Queste valutazioni non sono accademiche: i grandi investitori sono in genere obbligati a liberarsi delle obbligazioni di un paese o di un ente quando il voto sul suo debito scende sotto una certa soglia.
• Torniamo al bollettino.
Il presidente Cameron ha anticipato al 2 settembre la data della sua uscita di scena con relativo cambio di primo ministro. Entro domani i candidati alla successione, che correranno le primarie, devono presentare le loro candidature. Si tratta, diciamolo, di primarie vere, vale a dire i candidati lotteranno per vincere e, anche se il favorito resta Boris Johnson, la lotta è parecchio incerta. Da ultimo sembrano crescere le chances di Theresa May, attuale ministro degli Interni, che gode della strana definizione di «leader degli euroscettici del fronte Remain». Questa posizione più articolata fa capire le preoccupazioni del fronte vincitore del referendum, che a quanto pare vorrebbe adesso mandar giù la pillola dell’uscita il più tardi possibile.
• E come possono fare?
Ieri, in un articolo sul Corriere della Sera, Johnson ha scritto tra l’altro che sarà necessario in ogni caso considerare che la vittoria del Brexit non è stata «così schiacciante. Più di 16 milioni volevano restare. Sono i nostri vicini, fratelli e sorelle. In una democrazia le maggioranze possono decidere, ma tutti hanno ugual valore». A questi sorprendenti distinguo ha fatto eco persino il fondamentalista Farage, che ha preso la parola ieri al Parlamento europeo e tra i fischi ha detto che i britannici saranno «buoni amici, buoni vicini e buoni partner commerciali per l’Europa». Ha aggiunto: «Non mi dimetto ora dall’Europarlamento. Non intendo dimettermi fino a quando il lavoro non sarà fatto». Farage, insieme col Movimento 5 Stelle, i lepenisti e altri campioni dell’antieuropeismo hanno poi votato contro la risoluzione bipartisan per un’uscita immediata della Gran Bretagna dalla Ue. La risoluzione è stata votata a grande maggioranza, 395 a 200 con 71 astenuti. Il presidente della Commissione Juncker, sempre molto duro con gli inglesi, ha detto a Farage: «Mi pare che lei, oggi, parli qui per l’ultima volta».
• Juncker fa il duro, ma la Merkel gli dà addosso.
La Frankfurter Allgemein ha scritto che Juncker si deve dimettere «perché non capisce niente». La posizione della Merkel è questa: a trattare con la Gran Bretagna le condizioni dell’uscita non dev’essere la Commissione Europea (Juncker), ma gli stati, cioè la Germania. C’è questo nuovo punto di vista, mai espresso con tanta chiarezza e che forse dà inizio a una rivoluzione: «La Ue non è di Bruxelles, ma degli Stati». Merkel ha quindi in mente qualcosa di grosso, una ridefinizione di tutto. Intanto è rigida sul fatto che niente si può fare se prima la Gran Bretagna non notifica la sua decisione di uscire, secondo la regola dell’articolo 50. C’è una corrente di pensiero che si dice convinta del fatto che la Gran Bretagna questa notifica non la farà mai, profittando del fatto che il referendum ha valore consultivo e non vincolante. I bene informati, chiosando le parole di Farage che abbiamo riferito sopra, pensano che i più accesi fautori del Brexit puntassero a un’uscita solo alla fine di un lungo negoziato che mettesse le cose a posto nel modo più favorevole per Londra. Un affare della durata di almeno cinque anni. Non so se Merkel vuole cavalcare un’idea simile. Gli inglesi hanno partecipato ieri per l’ultima volta al Consiglio europeo, che da oggi si riduce da 28 a 27 membri. Sempre ieri, in Parlamento, Alyn Smit, deputato scozzese, ha lanciato un appello alla Ue perché il suo Paese, contrarissimo alla Brexit, non sia lasciato solo. La premier scozzese Nicola Sturgeon ha detto che per ora non è alle viste un referendum per staccarsi dalla Gran Bretagna.
• Che cosa sono le baruffe in casa laburista?
Il 70% dei parlamentari laburisti ha sfiduciato il segretario Corbyn, ritenuto troppo a sinistra, quindi incapace di vincere le elezioni e, relativamente al Brexit, troppo freddo nel sostegno al Remain, e perciò coresponsabile della sconfitta del movimento europeista. Corbyn ha risposto che non si dimetterà: la sua carica non è nelle mani dei deputati, ma in quelle degli iscritti, che sarebbero molto aumentati da quando è diventato segretario.
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