Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La seconda tappa delle primarie americane, l’altra notte nel New Hampshire, ha visto la vittoria di Donald Trump tra i repubblicani e quella di Bernie Sanders tra i democratici. Gli osservatori traggono da questo risultato l’opinione che la campagna elettorale per il nuovo presidente della Repubblica sarà lunga e incerta, se non fino alla fine, almeno fino al Supermartedì del 1° marzo in cui voteranno 15 stati in contemporanea e si distribuiranno 1.200 delegati.
• Vediamo le quattro situazioni una per una, cominciando da Bernie Sanders.
Ha 74 anni e, dopo aver perso per un pelo nello Iowa, ha stravinto nel New Hampshire, prendendo il 60% dei voti e lasciando a Hillary appena il 38%. L’uomo del giorno ha 74 anni, opinioni che negli Stati Uniti possono essere considerate troppo radicali, per esempio vuol rifare da capo la riforma sanitaria di Obama e portare il salario minimo a 15 dollari l’ora. Ma ha dalla sua la forza che fu di Occupy Wall Street, i ragazzi che nel 2011 occuparono Zuccotti Park. Da allora ad oggi, benché la disoccupazione americana sia inferiore al 5%, un sacco di gente s’è impoverita e precarizzata, creando in basso un cuscinetto di rabbia di cui ora, col successo di Sanders, si vede qualche effetto. Sanders chiama alla lotta contro l’1% più ricco del Paese, quello che ha in mano tutte le risorse, e grida che bisogna farla finita con i signori di Wall Street, quelli che decidono tutto quello che c’è da decidere e si comprano, facendoli eleggere, i membri del Congresso e gli inquilini della Casa Bianca. Si vanta di aver rifiutato i finanziamenti di lor signori e di vincere grazie alla rivoluzione di cui è portatore.
• Che cosa gli risponde la Clinton?
Nel dibattito che s’è svolto venerdì scorso, Hillary ha voluto sottolineare che lei, al contrario di Sanders, manterrà quello che promette. In generale il risultato mediocre nello Iowa e la sconfitta in New Hampshire non avrebbero dovuto preoccupare lo staff della Clinton. Senonché venti punti di distacco sono troppi e il pericolo, per i clintoniani, è che l’entusiasmo suscitato da Sanders tra i giovani contagi anche il North Carolina e il Nevada, due stati dove Hillary pensa di vincere grazie all’appoggio di ispanici e afroamericani, praticamente assenti in New Hampshire. Altro problema è il voto delle donne. Le femministe anziane sono con Hillary, ma con prese di posizione pubbliche piuttosto sguaiate: Gloria Steinem, per esempio, ha detto in televisione che le ragazze vanno di preferenza ai comizi di Sanders perché sono pieni di ragazzi e dunque si rimorchia più facilmente. È presto per dire che Hillary è nei guai, ma certo la nomination a questo punto risulta più in salita del previsto (il marito Bill ha accusato Sanders di attaccare Hillary «per sessismo»!).
• Donald Trump.
Trump ha vinto alla grande tra i repubblicani prendendo il 35% dei voti e dando, anche lui, venti punti di distacco al secondo arrivato, John Kasich. Subito dopo l’annuncio del risultato democratico, s’è voluto congratulare con Sanders con queste parole, molto significative: «Congratulazioni a Bernie. Ma lui vuole svendere la nostra America. E invece noi rifaremo l’America grande, batteremo la Cina, daremo una lezione al Messico, tutti dovranno rispettarci. Avremo frontiere forti, protette dal Muro. Rinegozierò tutti i trattati commerciali in nostro favore, basta con le concessioni ai cinesi e a tutti gli altri. Sarò il più grande presidente che Dio ha mai dato all’America». Ha anche lanciato un messaggio in favore della lobby delle armi: «I francesi hanno le leggi più severe contro le armi, poi lasciano entrare quegli animali, e quelli fanno 130 morti».
• Gli altri repubblicani? Ma quanti sono? Non si è ancora ritirato nessuno?
Si è ritirato, tra i democratici, Martin O’Malley subito dopo il risultato dello Iowa. Tra i repubblicani si scommette sul ritorno a casa, se non subito, almeno dopo il North Carolina (20 febbraio), di Christie, di Carson e della Fiorina.
• Che situazione c’è dietro Trump?
Se la giocano in quattro: John Kasich, arrivato secondo dopo Trump col 15%, Ted Cruz (11,5), Jeb Bush (11,1) e Marco Rubio (10,5). La situazione repubblicana, per certi versi, è simile a quella democratica: in tutti e due i partiti stanno andando meglio i candidati sgraditi all’establishment. In casa repubblicana si spera che prima ancora del Supermartedì tre dei concorrenti lascino la partita e permettano di concentrare i consensi sul quarto rimasto in gara. In questo modo, il superstite dovrebbe battere Trump. Il superstite più desiderato è proprio Jeb Bush, il fratello dell’ex presidente George jr., piuttosto maltrattato nelle prime due tappe. Ma se fosse Kasich, tutto sommato, andrebbe bene lo stesso.
(leggi)