Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri, stessa solfa. Milano -3.2, Londra sotto di quasi un punto, Francoforte -1.11, Parigi -1.69 eccetera. Tokyo, che fa la politica espansiva e riconosce un tasso negativo sui titoli a dieci anni (primo caso nella storia), ha perso addirittura il 5.4. Accontentiamoci del fatto che, mentre scriviamo, Wall Street, incapace di decidere, non perde e non guadagna. Registriamo il coro secondo il quale l’Italia, nel caos generale, c’entra poco o niente, nonostante la situazione delle nostre banche e la scarsa dimestichezza con i problemi di finanza del nostro premier. Padoan ieri ha promesso che alla fine di quest’anno il nostro debito risulterà più basso. Promessa che ha commosso molto poco i venditori scatenati.
• Cina.
C’è andata bene che il capodanno cinese ha tenuto chiuse quelle Borse. Ma riaprono oggi e il giudizio del mondo su quello che hanno fatto le autorità di Pechino per fronteggiare i crolli è impietoso: si tratta di dilettanti che non sanno quello che fanno. In cassa hanno molti meno soldi di prima (li hanno adoperati per comprare azioni delle loro aziende decotte e fermare il precipizio delle quotazioni) e una gran parte dei capitali in fuga verso gli Stati Uniti vengono proprio da qui.
• Germania.
Due problemi grossi come una casa. Il primo si chiama Deutsche Bank. Ha perso il 40% dall’inizio dell’anno, il 50% in sei mesi, ha chiuso il 2015 con un rosso di 6,8 miliardi, il 75% degli utili precrisi è stato distrutto dalle cause provocate dalle manipolazioni su cambi, derivati, mutui subprime. Ha più di sei miliardi di debiti ed è quotata al 40% del valore del suo capitale. Stiamo parlando della prima banca tedesca, che l’altro giorno ha dovuto giurare con un comunicato di avere abbastanza soldi in cassa per rimborsare, eventualmente, i suoi acquirenti di bond subordinati. Secondo problema tedesco: gli stessi parametri di Maastricht impongono che nessun paese della comunità abbia un surplus commerciale (export meno import) superiore al 6%. I tedeschi stanno sopra il 6% da cinque anni consecutivi e nel 2018 hanno addirittura segnato un +8,9. La loro forza schiaccia tutti gli altri e li obbligherebbe a redistribuire sul resto d’Europa il loro avanzo, ma non ci pensano nemmeno.
• Grecia.
Il Pil greco s’è ridotto di un quarto, il debito è al 185% del Pil, c’è il problema delle pensioni da tagliare (la minima, dopo appena 15 anni di contributi, deve scendere a 384 euro al mese), la disoccupazione è al 25,1%, non ci sono indennità di nessun tipo per chi ha perso il posto. I cinquantamila in piazza Syntagma dell’altro giorno dicono che il governo Tsipras è in pericolo, mentre la Troika non può cedere su nessun punto dato che qualunque concessione alla Grecia dovrebbe subito essere estesa a polacchi, danesi, svedesi, ungheresi e chiunque lo richieda. Accanto al caso Grecia metterei anche il caso Portogallo che ha presentato un bilancio in aperta violazione delle regole europee.
• Italia.
L’Italia ha il debito, e gli affanni complessivi delle banche, per le quali peraltro ha sborsato finora solo 1 miliardo, contro i 240 miliardi tedeschi messi sul tavolo fino al 2014. E poi c’è il nostro sistema lobbistico, mafiosetto, iperburocratizzato, paralizzato, soffocante. Qualcuno dice che i litigi sulle unioni civili o sui cinesi di Milano mentre il mondo ha ripreso a venir giù somigliano al valzer che si ballava sul Titanic poco prima della fine. Speriamo che non sia vero.
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