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 2015  novembre 02 Lunedì calendario

In Italia

Il Presidente della Repubblica è Sergio Mattarella
Il Presidente del Senato è Pietro Grasso
Il Presidente della Camera è Laura Boldrini
Il Presidente del Consiglio è Matteo Renzi
Il Ministro dell’ Interno è Angelino Alfano
Il Ministro degli Affari Esteri è Paolo Gentiloni
Il Ministro della Giustizia è Andrea Orlando
Il Ministro dell’ Economia e delle Finanze è Pier Carlo Padoan
Il Ministro di Istruzione, università e ricerca è Stefania Giannini
Il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali è Giuliano Poletti
Il Ministro della Difesa è Roberta Pinotti
Il Ministro dello Sviluppo economico è Federica Guidi
Il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali è Maurizio Martina
Il Ministro di Infrastrutture e trasporti è Graziano Delrio
Il Ministro della Salute è Beatrice Lorenzin
Il Ministro di Beni e attività culturali e turismo è Dario Franceschini
Il Ministro dell’ Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare è Gian Luca Galletti
Il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione è Marianna Madia (senza portafoglio)
Il Ministro per le Riforme Costituzionali e i rapporti con il Parlamento è Maria Elena Boschi (senza portafoglio)
Il Governatore della Banca d’Italia è Ignazio Visco
Il Presidente di Fca è John Elkann
L’ Amministratore delegato di Fca è Sergio Marchionne

Nel mondo

Il Papa è Francesco I
Il Presidente degli Stati Uniti d’America è Barack Obama
Il Presidente del Federal Reserve System è Janet Yellen
Il Presidente della BCE è Mario Draghi
Il Presidente della Federazione russa è Vladimir Putin
Il Presidente del Governo della Federazione russa è Dmitrij Medvedev
Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è Xi Jinping
La Regina del Regno Unito è Elisabetta II
Il Premier del Regno Unito è David Cameron
La Cancelliera Federale di Germania è Angela Merkel
Il Presidente della Repubblica francese è François Hollande
Il Primo Ministro della Repubblica francese è Manuel Valls
Il Re di Spagna è Felipe VI di Borbone
Il Presidente del Governo di Spagna è Mariano Rajoy Brey
Il Presidente dell’ Egitto è Abd al-Fattah al-Sisi
Il Primo Ministro di Israele è Benjamin Netanyahu
Il Presidente della Repubblica Turca è Recep Tayyip Erdogan
Il Presidente della Repubblica Indiana è Pranab Mukherjee
Il Primo Ministro della Repubblica Indiana è Damodardas Narendra Modi
La Guida Suprema dell’ Iran è Ali Khamenei
Il Presidente dell’ Iran è Hassan Rohani

Erdogan ha vinto le elezioni turche. Non solo il suo partito Akp è arrivato primo, cosa di cui non ha mai dubitato nessuno, ma sfiorando il 50% dei consensi ha portato a casa la maggioranza assoluta dei seggi, 315 su 550. Se nel corso dello spoglio - che si sta svolgendo mentre scriviamo - le percentuali non cambieranno, Erdogan non avrà bisogno di nessun alleato per formare il governo. Gli serviranno tuttavia 15 voti per varare la riforma della Costituzione, obiettivo che persegue dallo scorso giugno.

Che cosa è successo lo scorso giugno?
Il Paese aveva votato e il partito di Erdogan aveva ottenuto appena il 40,9 per cento dei suffragi, un flop se si pensa che dal 2002 in poi l’Akp ha sempre ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi. Lo smacco era particolarmente grave, perché il presidente turco puntava, e punta, a cambiare la Costituzione in senso autoritario, attribuendo una quantità di poteri a se stesso. Per far questo ha però bisogno di almeno 330 seggi. Con 330 voti e un referendum confermativo può cambiare la Carta del Paese. Le elezioni dello scorso giugno risultarono particolarmente sgradite perché riuscì a entrare in Parlamento anche il Partito dei curdi, nonostante uno sbarramento mostruoso del 10%. Caparbio come è, Erdogan ha fatto condurre per finta le trattative per un governo di coalizione. Passati i 45 giorni concessi dalla regola di quel Paese per formare un gabinetto, ha riportato il Paese alle urne, in un clima di tensioni crescenti.  

Ieri ci sono stati scontri?
Sì, è in corso una mobilitazione specialmente da parte dei curdi, che forse sono riusciti (per un soffio) a superare lo sbarramento anche stavolta. Entreranno forse in Parlamento, ma conteranno poco o niente. E sanno che il presidente li vuole annientare. Erdogan qualche mese fa ha proclamato a gran voce che avrebbe bombardato le postazioni dell’Isis, e con questa scusa ha mosso invece la sua aviazione contro le basi curde, le basi cioè degli unici che a terra combattono davvero il Califfo. Del resto la politica turca verso lo Stato islamico è stata sempre molto ambigua. Erdogan ha lasciato, e lascia, che dal suo territorio passi di tutto, armi e uomini. Ieri ci sono state barricate e incendi in parecchie città. A Diyarbakir la polizia ha sparato lacrimogeni contro la folla che lanciava pietre. Non si conosce, per ora, il bilancio di questi incidenti.  

Come fa uno che ha preso il 40 per cento a giugno a trovarsi al 50 per cento a novembre? Sono dieci punti!
Le opposizioni hanno gridato ai brogli e ricordato che la tornata elettorale s’è svolta in un clima di intimidazioni. In effetti, Erdogan ha sguinzagliato per il Paese 255 mila soldati e 130 mila poliziotti. Il Partito democratico del Popolo (curdi) ha denunciato che molti suoi osservatori, quelli che erano stati incaricati di presidiare i seggi per impedire prepotenze, sono stati arrestati alla vigilia del voto. Erdogan ha poi messo in atto una campagna elettorale strabiliante. Ha promesso ai turchi che il governo si sarebbe occupato di combinare i matrimoni (Slogan: «Vi manca la sposa? Ve la troviamo noi») con un incentivo del 20% sulla somma che i giovani depositeranno in banca in vista delle nozze. Ha spostato di due settimane l’avvio dell’ora solare (facendo impazzire tablet e cellulari), per il timore che giornate con meno luce scoraggiassero gli elettori dal votare, specie in Anatolia e nella parte orientale della Turchia, dove l’Akp è più forte. L’afflusso è stato in effetti eccezionale, poco sotto il 90%. Ha rifornito di documenti validi, facendoli diventare turchi, tutti i profughi siriani che si trovano nel Paese e che sono stati facilmente persuasi a votare «nel modo giusto». Il presidente ha poi occupato i programmi tv: 29 ore di presenza, irrobustiti dalle 28 ore del suo partito. Ai poveri repubblicani del Chp non sono toccate che cinque ore, i curdi quasi non si sono visti.  

Ha anche arrestato giornalisti, e chiuso reti televisive.
Sì, sette reti televisive sono state oscurate, la polizia è entrata nelle redazioni dei giornali d’opposizione che poi sono stati costretti a pubblicare, alla vigilia del voto, grandi foto di Erdogan e titoli che lo esaltavano. Un effetto sui lettori davvero spiazzante. Non dimentichiamo infine il clima di terrore in cui la Turchia ha vissuto in questo periodo, culminato nella strage di Ankara del 10 ottobre (102 morti durante una marcia per la pace). La vittoria di Erdogan è anche un effetto del desiderio di ordine.  

A parte le questioni relative ai diritti civili e alla dittatura prossima ventura, questo risultato può essere considerato un elemento di stabilità, un passo verso la pacificazione dell’area?
Erdogan, alla Merkel che era andata a trovarlo, ha detto: «La stabilità sono io». Vuole entrare in Europa e ci minaccia con i due milioni di profughi siriani, e con gli altri che arriveranno: se non facesse lui da argine, ci troveremmo questa massa i disperati in Europa. Una catastrofe. È anche possibile che, risolto il problema delle elezioni, Erdogan si decida a far la guerra all’Isis sul serio. Non può lasciare questa medaglia sul petto degli odiati curdi. (leggi)

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