Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Da ieri - e fino al 22 ottobre - si può andare in banca o all’ufficio postale e prenotare un pacchetto di azioni delle Poste, minimo 500 azioni, a un prezzo oscillante tra i 6 euro e i 7 euro e mezzo. Prezzo ed entità effettiva dei pacchetti saranno fissati al termine della cosiddetta Ipo (Initial Public Offering, cioè Offerta Pubblica Iniziale) e alla vigilia della quotazione effettiva in Borsa stabilita per lunedì 26 ottobre o, al più tardi, martedì 27. È possibile che vi sia grande richiesta del titolo e a questo punto, per far contenti tutti, i pacchetti da 500 verranno dimezzati a 250. E il prezzo, con una domanda forte, sarà più vicino ai 7,5 che ai 6 euro. Il vero prezzo, però, lo stabilirà la Borsa: che accadrà lunedì 26 o martedì 27 ottobre? Perché le offerte di aziende pubbliche non sempre hanno avuto un buon riscontro nei primi giorni di Borsa, non sempre...
• Lei mi deve solo dire se devo correre a comprare o no.
Io questo non glielo direi neanche se lo sapessi e neanche se mi costringessero con la tortura. Posso darle qualche idea generale, affinché lei posso orientarsi.
• Quando diciamo “Poste” intendiamo “poste-poste”, quelli che ci portano le lettere? Non è che c’è una società che si chiama “Poste” e non è le Poste...
Le Poste, le Poste, quelle dai colori gialli e blu. La consegna della corrispondenza è però per le Poste, possedute per intero dal ministero dell’Economia, un’attività ormai quasi residuale. Facendosi forza della distribuzione capillare degli sportelli (poco meno di 14 mila) le Poste hanno enormemente svilupato il lato finanza, cioè i servizi assicurativi e il risparmio gestito, profittando del fatto che per esempio sui loro prodotti più popolari, cioè i Buoni Fruttiferi Postali, non si paga commissione e si gira al fisco solo il 12,5 invece del 26%. I rendimenti sono bassi ma sicuri, almeno erano sicurissimi fino ad oggi, dato che il padrone era al 100 per cento lo Stato. Adesso che entrano i privati, qualcuno insinua...
• Come sarebbe? Vendono tutta l’azienda?
No, vendono al massimo il 38,2 del capitale, il che significa che la maggioranza resterà saldamente in mano pubblica. È inoltre chiaramente stabilito che i nuovi azionisti non avranno alcuna voce in capitolo nella gestione dell’azienda, cioè non conteranno niente e dovranno accontentarsi dei dividendi eventuali. È importante chiarirlo perché al pubblico propriamente detto andrà appena un quarto delle azioni in vendita, un altro 5 per cento è riservato ai dipendenti e il 70% è destinato ai cosiddetti investitori istituzionali, cioè poteri forti, banche, assicurazioni, finanziarie, fondi pensione e magari fondi pensione americani. Questi, se possono, decidono e decidono nel loro esclusivo interesse. Che non abbiano voce in capitolo può essere una garanzia, ma può essere anche un handicap.
• Perché?
Renzi ha detto che, con l’Ipo, i politici la smetteranno di pasticciare con l’azienda. Sarà vero, ma allora perché chiudere i privati in un recinto in cui non possono nuocere? In realtà si tratta di rispondere a questa domanda: le Poste sono un servizio pubblico o un business? Come business, dovrebbero adottare, per esempio, una politica del personale rigorosa, e procedere a tutti i tagli d’organico necessari. Ieri l’amministratore delegato, Francesco Caio, ha invece rassicurato tutti: assumeremo altre 8.000 persone, ha detto, una dichiarazione che, se il titolo fosse già quotato, ne avrebbe provocato la caduta. Come servizio pubblico, invece, le Poste dovrebbero garantire la consegna il più possibile rapida ed efficiente della corrispondenza anche agli abitanti del più sperduto villaggio di montagna. E invece sappiamo già che il governo ha autorizzato il rallentamento di questa distribuzione, proprio per abbattere i costi e migliorare i profitti. Un Giano bifronte, un Moloch con due facce.
• Guadagnano o perdono?
Con 24 miliardi di fatturato, hanno un utile di un miliardo. Non granché. Ma stia a sentire: nelle casse delle Poste giacciono circa 45 miliardi di euro. Sono i soldi che vi depositano gli italiani. Chi gestisce questi soldi? La Cassa Depositi e Prestiti, o Cdp, una banca pubblica all’80 per cento, che fa questo lavoro dal 1850 (cioè dai tempi del Regno di Sardegna). Che ci guadagnano le Poste a far gestire i loro soldi alla Cdp? Un miliardo e 600 milioni di euro, la commissione che la stessa Cassa paga alle poste per questo. L’utile dell’azienda viene quindi da un giro garantito da un’altra istituzione pubblica in massima parte pubblica. È difficile non pensare che si tratti di denaro che passa, in definitiva, dalla mano destra alla mano sinistra. E però, in ogni caso, l’evento è epocale, e finiamola di seminar dubbi: Poste Italiane alla fine è una grande azienda con 145 mila dipendenti e una storia che coincide con quella del Paese. I 4-5 miliardi ricavati dalla vendita andranno tutti a diminuire il debito pubblico (più o meno dello 0,4%). Auguri.
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