Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Purtroppo il bollettino del Medio Oriente è pieno di notizie.
• Sentiamo.
La più straordinaria viene dalla Cisgiordania, il territorio palestinese non confinante con la Striscia di Gaza e governato dai moderati di al Fatah. Una macchina si è fermata a un posto di blocco israeliano e qui una shahid palestinese ha tirato la cinghia del suo corsetto esplosivo, facendo saltare tutto in aria. Beh, è sopravvissuta persino la donna-martire, e quanto a quelli del posto di blocco se la sono cavata con un ferito leggero. Non avevo mai sentito di qualche kamikaze islamico che fosse riuscito a restar vivo. La carica artigianale era stata preparata con una bombola di gas, l’obiettivo — sostengono gli investigatori israeliani — sarebbe stato quello di farla saltare a Gerusalemme. È anche la prima volta in queste settimane di violenza che l’attentato sembra essere stato organizzato
• Questa notizia significa che Israele è ben lontana da una qualche pacificazione?
Lontanissima, direi. Gli assalti con i coltelli sono andati avanti. Nel centro del Paese un arabo israeliano ha prima investito una soldatessa (è grave), è sceso dalla macchina e ha pugnalato altri tre passanti. Viene da Wadi Ara in Galilea, area dove è molto forte l’influenza del Movimento islamico: il premier Benjamin Netanyahu ha chiesto al procuratore generale dello Stato di valutare se è possibile dichiarare fuorilegge l’organizzazione e il suo leader Raed Salah. Perché secondo lo Shin Bet, il servizio segreto interno, sono Salah e i leader di Hamas a fomentare la rabbia araba in difesa di quella che loro considerano una minaccia israeliana alla Spianata delle Moschee. Il capo dell’intelligence ha spiegato ai ministri del governo che il presidente Abu Mazen — accusato da Netanyahu di incitare la sua gente — sta invece cercando di riportare la calma. Gli scontri e gli attacchi vanno avanti da ormai una decina di giorni. I palestinesi uccisi sono 24, tra loro una madre (incinta) e la figlia di tre anni ammazzate nel bombardamento che ha colpito tra sabato e domenica la Striscia di Gaza in risposta al lancio di un razzo verso Israele. Gli israeliani morti sono quattro. Insomma, anche se tutto il mondo è concentrato sulla Siria, la situazione in Palestina si fa sempre più incadescente.
• A proposito di Siria, ieri a un certo punto è sembrato che avessero ammazzato lo pseudocaliffo al Baghdadi.
L’aviazione irachena ha bombardato un convoglio dell’Isis dalle parti di Anbar. Gli islamisti stavano andando a un vertice a Kabrala, nella parte ovest dell’Anbar, provincia dove il movimento domina. A bordo delle macchine c’erano parecchi capi del califfato. La tv irachena dice che molti di questi leader sono stati ammazzati, e tra questi, in un primo momento, hanno citato anche al Baghdadi. Più tardi la notizia è stata smentita, dal che dovremmo dedurre che lo pseudocaliffo è vivo. E forse è effettivamente vivo, però, conoscendo le logiche islamiche, le dico che potrebbe anche essere morto e la notizia della sua morte tenuta accuratamente nascosta. Lo hanno già fatto in passato, riuscendo a non far trapelare la verità anche per un anno. Scrive stamattina Guido Olimpio: «C’è da dire che rispetto a bin Laden, l’uomo che ha preso le redini dello Stato Islamico fornisce ben poche prove della sua esistenza. Di lui ci sono rare immagini pubbliche. Inoltre, nel timore di essere individuato, ha creato attorno a sé un formidabile cerchio di sicurezza affidato a militanti selezionati. Molto scrupoloso anche nell’utilizzo di apparati elettronici. Inoltre con il denaro che ha sarebbe poi strano che non si fosse dotato di sistemi di comunicazioni criptati. Infatti lui ha evitato i missili dei droni mentre è andata peggio a molti esponenti Isis neutralizzati dai droni statunitensi». Approfitto di questa sosta in Siria per dirle che laggiù stiamo assistendo a una controffensiva dell’esercito di Assad, favorita dai bombardamenti decisi da Putin. Dicono quelli dell’Osservatorio siriano, che stanno a Londra ma giurano di avere molti osservatori sul terreno, che truppe del regime affiancate dai miliziani di hezbollah (libanesi) hanno assunto il controllo di Tal Skik, un altopiano da cui si domina l’autostrada che collega Damasco alle città di Homs, Hama e Aleppo. È una zona - la provincia dell’Idlib - dove sono forti anche i ribelli siriani affiliati ad al Qaeda. Costoro starebbero a loro volta marciando su Aleppo, forti della riconquista di Tal Soussin e Tal Qrah, strappate all’Isis. Infine, aerei turchi e aerei siriani si sono sfiorati in quel cielo troppo affollato, dando luogo alle proteste di Ankara, che ha parlato di “provocazioni”. Putin intanto ha fatto sapere di non volersi immischiare nella guerra tra sunniti e sciiti, «ci interessa solo la stabilità della zona e che resti in sella il governo legittimo», cioè quello di Assad.
• Lei ha citato la Turchia. Notizie intorno ai mandanti della strage di ieri?
Nessuna notizia, nessuna rivendicazione. Secondo i curdi, i morti sono 128, secondo il governo 95. I feriti sono 508. Uno dei due shahid
è stato identificato con sicurezza, è un ragazzo di 20-25 anni (hanno ricavato le impronte digitali da un frammento della bomba). Forse si tratta del fratello maggiore del martire che s’è immolato il 20 luglio a Suruc (34 morti). L’altro kamikaze è una donna, a cui finora non è stato dato un nome. La sicurezza turca giura che la mano della strage di sabato è quella dell’Isis, che avrebbe voluto ammonire Erdogan dopo le sue ultime, timide iniziative contro lo Stato islamico. Le faccio notare però che la sicurezza non potrebbe dire altro. L’opposizione è certa invece della responsabilità dello stesso Erdogan, il quale eccitando una strategia della tensione cercherebbe di recuperare voti a destra in vista delle elezioni del 1° novembre. Ci sono stati 36 arresti, ma la polizia nega che siano legati alla strage. Ad Ankara e a Istanbul ci sono state grandi manifestazioni di protesta. L’opposizione a Erdogan si identifica ormai quasi per intero con il partito curdo Hdp. I manifestanti hanno gridato a piena voce: “Erdogan assassino”.
• Ho sentito che gli iraniani si sono dotati di un missile capace di colpire un bersaglio a duemila chilometri di distanza, cioè come se si sparasse da Milano per uccidere a Palermo.
Sì, ma non si faccia impressionare dal Milano-Palermo, duemila chilometri oggi sono solo un medio-raggio. Si tratta di un razzo terra terra, versione aggiornata dello Shahab 3. Da Teheran hanno subito avvertito: «È un’arma di difesa». Arriva a colpire i paesi del Golfo, Israele e la Turchia. Non l’Europa, però, ancora troppo lontana.
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