Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La situazione in Palestina è precipitata: ieri, a Nahal Oz, una folla di palestinesi si è avventata sulla barriera che a Gaza tiene a debita distanza israeliani e palestinesi. L’idea degli assalitori era di sfondare e invadere il territorio israeliano, fatto mai tentato in tanti anni (la prima barriera venne costruita nel 1996). I soldati ebrei hanno fatto fuoco e alla fine sono state ammazzate sette persone. Ci sono anche molti feriti. Mentre avveniva l’assalto, il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, ha definito “intifada” quello che sta avvenendo in questi giorni, sassate, aggressioni col coltello, eccetera. «L’ondata di attacchi deve essere rafforzata ed intensificata, è l’unica strada che può portare alla liberazione della Palestina. Gaza è pronta a svolgere il proprio ruolo, a battersi per Gerusalemme e guidare questa battaglia».
• Con quello che succede in Medio Oriente, qualcuno è ancora interessato alla liberazione della Palestina?
Lei è un cinico, ma la sua domanda coglie un punto. Dopo le famose primavere arabe, le stesse che si sono meritate il premio Nobel per la pace assegnato ieri, la questione palestinese è scivolata sempre più in secondo piano, fino ad essere considerata oggi, dai giornali e dalle cancellerie, questione prettamente locale, quasi un conflitto tribale. L’accordo tra Iran e Stati Uniti ha dato il colpo di grazia definitivo alla centralità del conflitto arabo-israeliano. Ormai, il punto di riferimento per tutti è Teheran, è rispetto a Teheran che questi e quelli si posizionano. Il capo di Israele, Netaniahu, che avrebbe voluto vedere l’accordo Iran-Usa bocciato dal Congresso, non è riuscito a smuovere la famosa e potentissima lobby ebraica americana. E, da quest’altro lato, Europa e Stati Uniti dànno meno soldi di prima ai palestinesi, il presidente egiziano al Sisi ha fatto chiudere i tunnel sotterranei e il va e vieni del contrabbando commerciale con l’Egitto è sempre più difficile, c’è poi la crisi idrica, la crisi agricola, la crisi finanziaria, una disoccupazione devastante. Tutto questo ha messo in ginocchio sia quelli della Cisgiordania che quelli della Striscia, le rivolte di questi ultimi giorni vanno intanto lette - oserei dire: “marxisticamente” - come un portato della struttura economica, i palestinesi stanno malissimo a soldi, anzi stanno sempre peggio e hanno capito che anche dei loro governanti terroristi - quelli di Hamas, collegati con i Fratelli musulmani egiziani - c’è da fidarsi molto poco. Sono corrotti, rubano, e tutto il resto. Gli osservatori descrivono i ribelli di questa ipotetica “terza intifada” come gente nuova, non portano più la kefiah in testa (cioè il copricapo tipico dei contadini arabi, qui quasi sempre a scacchi bianchi e neri), ma indossano i blue-jeans, dicono di voler difendere la Spianata delle Moschee dai sacrilegi di ebrei e cristiani, credono talmente poco ai loro idoli d’un tempo da teorizzare la rivolta individuale, la liberazione ottenuta attraverso il gesto esemplare di un uomo solo.
• Sa che è vera questa cosa che la questione palestinese è scomparsa dalle prime pagine? Lei parlava e io mi sono reso conto di non ricordare più niente. La Striscia di Gaza? La Cisgiordania? Hamas?
La cosiddetta Palestina, uno stato che formalmente non esiste, è spalmata su due territori non confinanti: la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. La Striscia di Gaza è governata da Hamas, un’organizzazione terroristica di fede sunnita (vedi Isis) che ha però preso il potere con le elezioni, sfruttando la ripugnanza generale per il partito avversario, cioè al Fatah di Arafat, troppo corrotto. Al Fatah, però, governa da quell’altra parte, cioè in Cisgiordania, agli ordini di Abu Mazen, successore di Arafat e presidente della cosiddetta Autorità Nazionale Palestinese. Hamas e al Fatah non vanno d’accordo, ma dal solco di questo dissenso sono nate adesso altre formazioni, che starebbero dietro all’attuale rivolta. Israele per inciso ha riempito di muri e reti metalliche sia la Striscia che la Cisgiordania, badando sempre che i territori migliori restassero dalla sua parte.
• E in che consiste questa ripresa di rivolte culminata con la strage di ieri e foriera, temiamo, di un qualche nuovo precipizio di sangue?
È un lungo stillicidio di morti e feriti. Per l’esattezza, esclusi quelli di ieri, nove morti (4 israeliani e 5 palestinesi) e 970 feriti (tutti palestinesi). Il 1° ottobre i palestinesi ammazzano due coniugi in viaggio tra le colonie israeliane di Elon Moreh e Itamar (Cisgiordania settentrionale). Israele reagisce vietando ai palestinesi non residenti l’accesso a Gerusalemme vecchia. Ci sono scontri e manifestazioni. Nel campo profughi di Aida viene ucciso un ragazzino di 13 anni, a Gerusalemme una sparatoria lascia a terra un giovane di 18 anni, un 19enne palestinese ammazza due ebrei ortodossi, eccetera. Da ultimo una quantità di accoltellamenti, ragazzi e ragazze palestinesi che pugnalano alle spalle passanti israeliani.
• La parola “intifada” che significa?
“Sussulto”, “Rivoluzione”. Le due del passato hanno provocato migliaia di morti.
• È esclusa una mediazione internazionale per metter pace?
Gliel’ho detto, a meno che non ricominci un vero e proprio bagno di sangue, la Palestina non interessa più a nessuno.
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