Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri sera Ignazio Marino s’è dimesso da sindaco di Roma, e questo significa che la città verrà prima commissariata e poi - tra aprile e i primi di giugno - andrà a votare con Milano, Napoli e le altre città chiamate a rinnovare i consigli comunali. Un esito che Renzi, timoroso di perdere qualche altra metropoli dopo il risultato incerto delle amministrative di pochi mesi fa, voleva evitare ad ogni costo. E invece...
• Sento però che il sindaco si tiene ancora una carta di riserva, e cioè sostiene che fino al ventesino giorno può tornare sui suoi passi, cambiare idea e decidere di restare sindaco.
È così. Marino ha scritto una lettera ai romani e conclude: «Le dimissioni possono per legge essere ritirate entro venti giorni. Non è un’astuzia la mia: è la ricerca di una verifica seria». L’uomo sostiene infatti di aver sconfitto la mafia e la corruzione della Capitale e insinua che la sua caduta, favorita dai cattivi che vorrebbero continuare a saccheggiare la città, potrebbe portare a un ritorno immediato dei grandi malfattori. Ecco qui il ragionamento: «In questi due anni ho impostato cambiamenti epocali, ho cambiato un sistema di governo basato sull’acquiescenza alle lobbies, ai poteri anche criminali. Questa è la sfida vinta. Non nascondo di nutrire un serio timore che immediatamente tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo-mafioso che purtroppo ha toccato anche parti del Pd e che senza di me avrebbe travolto non solo l’intero Partito democratico ma tutto il Campidoglio. Tutto il mio impegno ha suscitato una furiosa reazione. Sin dall’inizio c’è stato un lavorìo rumoroso nel tentativo di sovvertire il voto democratico dei romani. Questo ha avuto spettatori poco attenti anche tra chi questa esperienza avrebbe dovuto sostenerla. Oggi quest’aggressione arriva al suo culmine. Le condizioni politiche oggi mi appaiono assottigliate se non assenti. Per questo ho compiuto la mia scelta: presento le mie dimissioni non come segnale di debolezza o addirittura di ammissione di colpa per questa squallida e manipolata polemica sulle spese di rappresentanza e i relativi scontrini...» eccetera. In effetti, Marino vinse le primarie contro l’opinione dei maggiorenti del Pd, una volta eletto è stato subissato di attacchi concentrici e provenienti da ogni lato. Scoperta Mafia Capitale, il sindaco ha riguadagnato posizioni non so se in città - dove è in genere stato più irriso che contestato - di sicuro nel partito. Con quella roba lì, lui non c’entrava niente. Però, insieme con l’onestà, è venuta fuori una pericolosa propensione alle gaffes, certe volte cercate con tenacia. Obama viene a Roma, non ha la minima intenzione di vederlo, e lui fa il diavolo a quattro per incrociarlo e farsi la foto, il Papa va in America e lui schizza negli Stati Uniti nella speranza che le tv li riprendano insieme, poi la storia iniziale con la Panda rossa, poi i Casamonica non avvistati per tempo, quindi la vicenda degli scontrini che ha determinato la caduta. Però è giusto ricordare che ieri, davanti al Campidoglio, insieme ai tanti che si sono radunati per gridargli un “Tutti a casa” e hanno poi esultato alla notizia delle dimissioni, c’era pure un gruppo con tanto di t-shirt “Marino, resisti”.
• Cos’è questa storia degli scontrini?
Secondo le accuse, Marino andava a cena con la famiglia e poi diceva di avere invitato dei diplomatici o dei medici, insomma gente ricevuta per motivi di lavoro. Pagava con la carta di credito da diecimila euro del Comune, che all’ultimo voleva restituire con un rimborso di ventimila euro (quasi un’ammissione di colpa). L’accusa è piuttosto circostanziata, i giornali hanno descritto i menu, il costo dei vini, e tutto il resto. La Procura starebbe preparando un avviso di garanzia per peculato. Un caso tipicamente marinesco, se mi passa il termine, cioè di uno che ha fatto dell’onestà una specie di segno distintivo e poi frega sulle note spese (se è vero). C’è anche il precedente di Pittsburg, dove faceva il medico ed ebbe questioni con quell’amministrazione sempre per le note spese. L’altro giorno Renzi non ci ha visto più e se l’è presa con il suo uomo di Roma, Matteo Orfini: «L’hai sempre difeso, e adesso la sconti anche tu». I vertici del Pd hanno comunicato al sindaco che o si dimetteva o l’avrebbero fatto dimettere. Tre assessori sono infatti usciti dalla giunta in mattinata e alla fine l’ignaro Ignazio, come lo chiama Dagospia, ha gettato la spugna.
• Chi sarà il commissario?
Facile che si scelga lo stesso prefetto di Roma, Franco Gabrielli. Il quale però potrebbe pure essere indicato da Renzi come candidato sindaco del Pd. È quello che stava alla Protezione civile e ha poi sovrinteso con successo all’operazione Costa Concordia. È un poliziotto. Forse per Roma ci vuole davvero un poliziotto.
• Sento parlare di Marchini, della Meloni.
Si candideranno. Marchini, così bello, ha buone chances. Berlusconi lo vorrebbe per il centro-destra, ma lui non vuole farsi invischiare dai partiti.
• I grillini?
I sondaggi li dànno al 30% e potrebbero anche vincere. Però Roma è una città difficile, dal suo ventre, che una volta ha partorito addirittura Alemanno, può davvero uscire di tutto.
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