Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La ristrutturazione di Air France è finita a botte, con il capo delle risorse umane Xavier Broseta inseguito, strattonato, ridotto e dorso nudo e infine in salvo, prima per la faticosa protezione del servizio d’ordine e poi per l’agilità con cui ha scavalcato una paratia (o forse era un cancello). Comunicati, indignazione, stupore e gli altri sentimenti non possono naturalmente diminuire la realtà che sta dietro agli incidenti, e cioè il fatto che la compagnia di bandiera francese vuole mandar via 2.900 persone e in questo modo tentare di risanare conti piuttosto disastrati.
• Ma qualche anno fa non volevano comprarsi Alitalia?
Nel 2007 era la prima compagnia al mondo per ricavi, ma il panorama è completamente cambiato. I conti presentati alla fine del primo semestre sono inquietanti: perdita netta in aumento del 3 per cento a 638 milioni, perdita operativa cresciuta del 12,1 per cento a 232 milioni. Stiamo parlando del doppio marchio Air France-Klm, cioè l’erede del vecchio marchio francese Aéropostale - la Air France propriamente detta - e la compagnia aerea olandese. Non c’è più il vecchio Jean-Cyril Spinetta che al tempo di Prodi trattava per comprarsi la nostra Alitalia ancora pubblica. Adesso il numero uno si chiama Alexandre de Juniac e già in estate aveva annunciato tagli per 300 milioni su costi da 1,5 miliardi. Gli si chiese: non è che farete entrare anche voi Etihad nel capitale? Risposta: illazioni, voci infondate... Etihad, in quel momento - la compagnia di bandiera degli Emirati - s’era appena comprata il 49 per cento di Alitalia.
• Com’è andata questa scena del quasi pestaggio al capo delle risorse umane, quello che un tempo si chiamava capo del personale?
È tutto molto semplice. Venerdì scorso la compagnia aveva annunciato questi 2.900 tagli, all’interno di un piano di sviluppo chiamato “Perform”: 300 piloti, 900 assistenti di volo, 1.700 personale di terra da mandar via. Cancellati anche gli ordini relativi a nuovi aerei Boeing, cioè diciannove 787-9 e sei 787-10. Stamattina c’è stato l’assalto alla sede: i manifestanti hanno forzato i cancelli, sono entrati, hanno invaso l’aula dove era riunito il comitato centrale e hanno cercato l’uomo-simbolo della ristrutturazione, cioè il capo del personale Xavier Broseta. Broseta e un altro manager si sono messi in salvo a stento, come abbiamo detto all’inizio. Nello stesso tempo è stato proclamato uno sciopero, ma in modo parecchio confuso. Non si sa per quante ore, non è neanche chiaro chi sciopera (piloti e personale di terra, pare). La compagnia non ha cancellato nessun volo e solo avvertito che potrebbero esserci ritardi. Il premier Manuel Valls s’è detto scandalizzato delle violenze, il portavoce del governo, Stephan Le Foll, ha rilasciato questa dichiarazione: «Faccio appello a tutti, in particolare i piloti, perché facciano uno sforzo, ovviamente bisogna che il dialogo sia possibile, bisogna mettersi intorno a un tavolo».
• C’è la possibilità che gli esuberi siano di meno?
Quelli di Air France, e gli altri manager delle grandi compagnie in crisi, mettono sotto accusa parecchi fattori e uno di questi fattori sarebbero le compagnie asiatiche e particolarmente arabe che, a loro dire, possono permettersi di spendere e spandere senza problemi perché possedute dagli stati, che ricavano le loro risorse altrove. A dire il vero, a vedere i piani e le logiche attuate per esempio da Etihad in Alitalia - dove l’amministratore delegato Silvano Cassano è stato mandato via dopo appena un anno per risultati giudicati insoddisfacenti - gli arabi non applicano per niente le logiche stataliste come noi le conosciamo. E poi è curiosa l’accusa: anche Air France è posseduta per il 18 per cento dallo stato francese, e l’appello di Stephan Le Foll nasconde probabilmente l’intenzione del governo di non perdere altri consensi attraverso questa storia. Anche se la Ue vieta gli aiuti pubblici.
• La crisi di compagnie come Air France non è dovuta anche al successo delle low cost?
Sicuro, e infatti i conti delle low cost, cioè le compagnie a basso costo che sono capaci di portarti da Bergamo a Parigi anche per un euro, risultano assai brillanti. EasyJet ai primi di settembre ha annunciato un utile pre-tasse tra i 675 e i 700 milioni di sterline (581 milioni nel 2014) dato che tutti gli indici che favoriscono i ricavi sono aumentati. Idem Ryanair, con un traffico passeggeri aumentato del 15% in agosto (sul 2014), o la piccola Wizzair, specializzata nei collegamenti con l’Europa dell’Est. I titoli di queste aziende schizzano verso l’alto e gli analisti continuano a marcarle con il consiglio “buy” (“compra”). La lezione che se ne ricava è piuttosto amara: la redditività o meno delle compagnie è questione, come sempre, di immaginazione e coraggio, ma anche di contenimento dei costi. Esercizio nel quale EasyJet, RyanAir, Wizzair e le altre sono maestri.
• Air France ha sempre una quota di Alitalia?
Poco più dell’1%, cioè praticamente niente. Alitalia, lo scorso maggio, ha anche annullato tutti i rapporti di partnership con Air France. Alla scadenza (gennaio 2017) non saranno rinnovati.
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