Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La differenza tra la carta stampata e i telegiornali è questa. Che essendoci un rapporto del Fondo Monetario sull’Europa e sull’Italia, i siti dei giornali hanno tutti titolato sull’opinione del Fondo monetario secondo cui, prima di tornare ai tassi di occupazione pre-crisi, il nostro paese dovrà aspettare vent’anni. Mentre i telegiornali, senza dire una parola su questi vent’anni di sofferenza che ci attenderebbero, hanno costruito i loro pezzi puntando al fatto che il Fondo ammette la ripresa italiana e si limita a darci «cinque consigli».
• Chi ha ragione?
Ma probabilmente hanno torto tutti, compreso il Fmi. Per la parte che riguarda la ripresa: la ripresa italiana, per ora prevista a un +0,7 per cento, è il prodotto di tante incognite e di tanti fattori contingenti che è difficile inquadrarla già ora in un processo storico, cioè strutturale. L’idea che tra vent’anni il tasso di occupazione sarà tornato ai livelli del 2007 non sta invece letteralmente in piedi, e non per colpa dell’Italia ma per il fatto che nel 2035, anche se non succedesse niente di epocale (ed è impossibile), il mondo sarà in ogni caso diverso, e diversa la struttura demografica italiana. Ci troveremo ad esempio con dieci-venti milioni di italiani in meno, visto che continuiamo a non far figli. E basta questo per immaginare, tra il 2035 e il 2050, un periodo di grande crisi. .• Mi incuriosiscono i cinque consigli che gli uomini della Lagarde danno al nostro paese.
Niente di particolare. Il Sole 24 Ore ha scritto queste cose molto prima del Fondo. In ogni caso: riformare la Pubblica amministrazione, riformare la giustizia civile in modo da garantire processi rapidi e veloce recupero dei crediti incagliati, incoraggiare la concorrenza, puntare sulla contrattazione aziendale invece che su quella nazionale in modo da realizzare una differenziazione salariale tra imprese e anche tra porzioni del territorio, incrementare la formazione. Sono cose che, per esempio, ha fatto in buona parte la Spagna trovandosi adesso con una previsione di aumento del Pil superiore al 3%. L’altro esempio da seguire sarebbe quello americano, dove sia l’amministrazione Bush che quella Obama hanno inondato il mercato di miliardi di dollari, senza esitare davanti al salvataggio con soldi pubblici dell’industria automobilistica o di banche come Aig. Il dinamismo americano, da noi, sarebbe emulato solo da Draghi e dal suo quantitative easing, imbrigliato però dalle nostre onnipotenti burocrazie. Sullo stampar moneta a lungo termine, come lei sa, io ho i miei dubbi e l’esempio del Giappone, dove il quantitative easing ha peggiorato la situazione, conferma che bisoga stare attenti con queste formule all’apparenza troppo facili.
• Quant’è la disoccupazione in Italia a questo punto?
A questo punto è al 12,6%, leggermente in calo rispetto all’anno scorso, ma raddoppiata rispetto al 2007, quando stava al 6,2. Tremendo è il dato della disoccupazione giovanile, che sta da mesi al 43%, ma su questa percentuale ho il dubbio relativo al fatto che comunque i nostri giovani rifiutano ancora una gran quantità di lavoro che viene intercettata invece dalla manodopera straniera. Sospetto che le famiglie, mentre hanno di sicuro una funzione da welfare, agiscano anche come un freno, rendendo possibile a tanti giovani il rifiuto di qualunque lavoro ritenuto non all’altezza. È infatti impressionante da noi anche il tasso dei cosiddetti Neet, al 26% contro l’8,7 tedesco, il 13,8 francese, il 14,7 inglese. "Neet" sono i giovani che non studiano, non lavorano e non vogliono nemmeno lavorare, disposti a campare della sola paghetta di mamma o di quello che capita. L’Istat li ha quantificati in due milioni, numero che mi pare enorme.
• E perché ci vorranno vent’anni per tornare al 6,2 del 2007?
Ma non torneremo mai al 6,2 del 2007. E lo sostengo citandole una frase dell’Economist: «La quota di reddito destinata ai lavoratori calerà via via, causa globalizzazione e automazione, mentre il capitale si arricchirà a spese del lavoro». Cioè ci stiamo evolvendo verso un mondo che, grazie all’informatica e ai robot, libererà quote sempre più vaste di popolazione dalla schiavitù del lavoro. Settimana lavorativa di 15 ore! Magnifico! Però anche compensi coerenti con una settimana lavorativa di 15 ore. E del resto già adesso chi lavora non lavora più come un tempo, e se è vero che l’inflazione è ridotta a zero, è anche vero che i prodotti venduti sempre allo stesso prezzo di anno in anno sono però di anno in anno peggiorati, cioè con la stessa somma di denaro compriamo la stessa quantità di roba però di qualità più scadente, che è un altrto modo di convivere con l’inflazione. Tutto il processo, dominato dal prevalere sempre più schiacciante della finanza, mostra che l’offerta di lavoro resterà sempre molto ampia, mentre la domanda si andrà restringendo. Altro che 2007.
• E come camperanno quelli con lo stipendio da 15 ore a settimana?
Mettendo insieme tanti spezzoni da 15 ore. O cavandosela con i sussidi che lo Stato, per evitare problemi di ordine pubblico, sarà costretto a distribuire. Prelevandoli, naturalmente, dalla quota-salario dei pochi, non so se fortunati, che avranno ancora la voglia e l’occasione di lavorare.
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