Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
In Turchia si profila un problema per il presidente Erdogan, il cui partito potrebbe non aver raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi. D’altra parte, se accettasse un governo di coalizione, per esempio con i nazionalisti, potrebbe mettere insieme un numero di seggi sufficiente a cambiare la costituzione? Ai primi conteggi, pare di no. Bisogna anche sottolineare il fatto che il partito curdo è riuscito a entrare in Parlamento, nonostante la soglia di sbarramento fosse stata fissata al 10%.
• Che ce ne importa delle elezioni politiche turche?
Intanto esiste ancora la possibilità che la Turchia entri nell’Unione europea. La posizione di Ankara è poi cruciale nello scacchiere in cui gioca la sua partita l’Isis. Senza dichiararlo, e solo ogni tanto dandolo a vedere, Erdogan tiene bordone allo pseudocaliffo, in odio al suo nemico Assad. È cioè un nemico di Teheran. Un indebolimento, e certe intese un tempo impensabili (tipo un accordo più ampio tra Iran e Usa, dopo la prima bozza d’intesa sul nucleare) diventerebbero possibili. Erdogan ha trasformato le elezioni in un referendum su stesso con l’obiettivo di ottenere i due terzi dei seggi e con questa forza parlamentare cambiare la costituzione in senso autoritario. Poichè tutti i sondaggi della vigilia davano i suoi consensi oscillanti intorno al 50%, devo dedurre che l’accordo con i nazionalisti era già nelle cose. I curdi, per la prima volta in Parlamento, dovranno combattere battaglie durissime.
• In concreto il voto come è andato?
Alle nove di sera, quando era stato scrutinato il 90% delle schede, il risultato era questo: Akp, cioè il partito del presidente Erdogan, 40,50% dei seggi, 6 punti percentuali e 71 deputati in meno sul risultato del 2011. Mhp, cioè i nazionalisti di Devlett Bahceli, 16,70% e 85 seggi. Possiamo già fare i conti: il Parlamento turco (una sola camera) ha 550 seggi, la maggioranza assoluta (la metà più uno) sta a 276 seggi, la maggioranza dei due terzi sta a 367 seggi, se sommiamo i 254 deputati conquistati adesso dall’Akp agli 86 dei nazionalisti arriviamo ad appena 340 seggi. Non ci siamo. Far entrare i kemalisti, seconda forza politica con 132 seggi? Ma è impossibile, i kemalisti sono i diretti discendenti di Atatürk, laici al cento per cento e sostenitori dei diritti di tutti i popoli turchi, niente a che vedere perciò con i pruriti confessionali di Erdogan e con le chiusure pararazziste dell’Mhp. Erdogan potrebbe decidere di sciogliere l’assemblea e chiamare di nuovo il Paese al voto. Si aggiungerebbe così instabilità a un’area già gravemente instabile.
• E i curdi?
È l’altro grande fatto di questo voto. Guidati da un giovane avvocato che parla come un Dio e si chiama Selahattin Demartis, il partito filocurdo dell’Hdp ha preso addirittura il 12% superando di slancio lo sbarramento pazzesco deciso da Erdogan, il 10%, che sarebbe la più alta soglia di questo tipo al mondo. Avrebbe dalla sua 79 deputati. È notevole che, come in Spagna il movimento Podemos è il frutto delle occupazioni di Plaza del Sol, così qui la vittoria dell’Hdp va letta anche come il primo frutto reale della rivolta di Gezi Park (maggio 2013), quella in cui i giovani scesero in strada per impedire agli uomini di Erdogan di tagliare gli alberi della piazza. La prima dichiarazione di felicità dopo l’annuncio dei risultati l’ha fatta un eroe di quelle giornate che si chiama Sirri Sureyya Onder, l’uomo che si mise davanti alle ruspe per obbligarle a fermarsi.
• Come funziona a questo punto? Erdogan potrebbe dimettersi?
No, Erdogan è il presidente della Repubblica, queste elezioni parlamentari formalmente non lo riguardano. Dovrebbe invece lasciare il primo ministro Ahmet Davutoglu, che qualche giorno fa aveva detto: «Se l’8 giugno non saremo in grado di formare un governo monocolore mi dimetterò». Dal 2002 a oggi, l’Akp ha sempre formato governi monocolori, cioè ha sempre avuto la maggioranza assoluta in Parlamento. Ieri Davutoglu l’ha presa alla larga: «La decisione della nazione è la migliore decisione. Non preoccupatevi. Non ci inchineremo mai ad alcun potere». Frase che può significare tutto e il contrario di tutto. D’altra parte, fino a questo momento, Erdogan non ha ancora detto una parola.
• Disordini? Brogli?
Venerdì hanno tirato una bomba a un comizio filocurdo che si teneva a Diyarbakir. Ci sono stati quattro morti. Quanto ai brogli, forse non ce ne sono stati. Centomila volontari hanno girato per i seggi a controllare. L’ultima volta qualcuno fece mancare la corrente contemporaneamente in 35 province, e durante quel black-out, si suppone, vennero buttate e sostituite migliaia di schede. Stavolta non è successo.
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