Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Nonostante le tante manifestazioni in programma per oggi, 25 aprile, resta la sensazione di una celebrazione ormai puramente decorativa, di cui sia gli uomini politici che la gente comune ha ormai perso il senso…
• Perché dice questo?
Lo dico perché ho visto l’aula deserta di Montecitorio, proprio ieri, vigilia della Liberazione, mentre il ministro degli Esteri Gentiloni riferiva sulla morte del povero Lo Porto. Tutti i gruppi, senza distinzione, avevano pressato la Boldrini per le comunicazioni del ministro, facendo intendere che si trattava anche di rendere omaggio a un eroe, uno dei pochi italiani nostri contemporanei di cui si possa andare veramente fieri. Ieri, invece, si sono presentati in aula una cinquantina di deputati e Gentiloni ha praticamente parlato al deserto. Guardi la foto nell’altra pagina qui a fianco e si lasci impressionare e indignare. La democrazia, per tutti costoro, consiste nella libertà di scegliersi il venerdì di vacanza. I nostri politici però non sono troppo diversi dagli italiani qualunque che li hanno mandati in Parlamento e il giudizio concerne anche i grillini. Quindi, parlare di 25 aprile, di Resistenza, di valori condivisi in un Paese che non sa rendere onore ai suoi morti mi sembra un inutile esercizio retorico.
• Tuttavia, tra i nostri lettori, molti dei quali giovanissimi, potrebbe essercene qualcuno interessato a questa ricorrenza misteriosa. Che cosa si intende, esattamente, per Liberazione? E, trattandosi della ricorrenza dei 70 anni, capisco che la cosa memorabile deve essere accaduta il 25 aprile 1945…
Sì, 25 aprile 1945, ma è una storia che sarà bene cominciare a raccontare dall’8 settembre 1943. Gli italiani, alleati fino ad allora dei tedeschi (cioè dei nazisti), l’8 settembre 1943 smisero di combattere e si misero d’accordo col nemico, nel nostro caso gli angloamericani. Fecero prima un armistizio e poi la pace. Intanto però i tedeschi stavano qui in Italia, li trasformammo noi da amici in nemici. Seguirono stragi e l’inizio di due guerre: una a sud, dove erano sbarcati gli angloamericani che risalivano lentamente la penisola. E una a nord, fatta dagli stessi italiani che, nascondendosi sulle montagne, presero a fare contro i tedeschi la guerriglia detta poi Resistenza. All’inizio erano pochi, sei-settemila persone. Poi, man mano che gli angloamericani si avvicinavano e che risultava chiara la prossima sconfitta dei nazisti, crebbero di numero e gli storici dicono adesso che alla fine si arrivò a un esercito partigiano di 300 mila uomini, di tutte le tendenze: comunisti, socialisti, cattolici, monarchici, liberali, gente di destra e gente di sinistra accomunata solo dal desiderio di farla finita col fascismo, con i tedeschi e con la guerra.
• Così fino al 25 aprile 1945?
Sì. Quel giorno i partigiani entrarono nelle grandi città e ne presero possesso, cioè le liberarono dal fascismo. Due giorni dopo, il 27 aprile, Mussolini, la Petacci e gli altri che col duce tentavano di scappare in Svizzera furono presi a Dongo, tenuti rinchiusi per una notte e fucilati il giorno dopo a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como. Lei saprà che le spoglie dei fucilati vennero portate a piazzale Loreto, in Milano, appese a testa in giù e abbandonate al ludibrio della folla. Gli italiani che erano stati vent’anni ad adorare Mussolini, adesso, invece di aver vergogna di se stessi e senso della tragedia che s’era compiuta, andavano a sputare sui corpi morti e a lordarli in tutti i modi possibili.
• Sì, ho visto su Internet le foto di Mussolini e della Petacci massacrati. Si dà importanza a questo massacro per sminuire l’importanza della Liberazione?
La Resistenza ha due facce. Una, eroica, è quella della guerra ai nazisti. L’altra, abietta, è quella della sanguinosa persecuzione contro i fascisti durata ben oltre il 1945. Il massacro della Petacci, di Mussolini e degli altri di piazzale Loreto non può però far dimenticare il fatto indiscutibile che la Resistenza e il 25 aprile siano il fondamento del Paese che è venuto dopo, la Repubblica italiana basata su una Costituzione democratica, governata da uomini eletti dal popolo, libera nella parola, nelle attività economiche, nella professione di qualunque fede o credo politico. Aver coscienza di questi fondamenti significa impedire che quanto di buono la nostra storia ha prodotto in questi 70 anni sia intaccato o vanificato. Guardi, è una successione di date: il 25 aprile il Paese è liberato, il 2 giugno del 1946 si vota la Repubblica e si elegge la Costituente (e le donne votano per la prima volta), il 18 aprile del 1948 si va a libere elezioni e al primo Parlamento. Queste date — la nostra storia — sono intimamente connesse una con l’altra.
• Come si spiega il degrado degli ultimi anni? La corruzione, una classe politica inguardabile, un Paese menefreghista, ignaro del suo passato e indifferente al futuro dei suoi figli?
È un discorso troppo lungo. Per capire il quale, bisognerebbe avere lo spazio per risalire indietro, fino alle origini del nostro Stato, al cinquantennio dell’Italia liberale che precede la I guerra mondiale e il fascismo. Un’epoca che abbiamo attraversato ma che oggi è totalmente dimenticata.
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