Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Lo scorso 3 gennaio gli americani hanno ammazzato Giovanni Lo Porto, di 40 anni, un cooperante palermitano che era stato rapito da al Qaeda nel 2012 e di cui non si sapeva più niente. Droni statunitensi, alla ricerca di un bersaglio «al confine con l’Afghanistan», hanno colpito invece lui, l’americano Warren Weinstein («esperto di sviluppo») e due jihadisti importanti, ma che non costituivano il target dell’azione: Ahmed Farouk e Adam Gadahn, cittadini americani convertiti al fondamentalismo islamico. Ha dato la notizia lo stesso Barack Obama, con una dichiarazione piena di rammarico. «Non ci sono parole per esprimere in modo adeguato il nostro dolore per questa terribile tragedia. A nome degli Stati Uniti chiedo scusa a tutte le famiglie coinvolte. Come presidente e comandante in capo mi assumo la responsabilità di tutte le operazioni antiterrorismo, compresa questa. Non sapevamo che all’interno del compound ci fossero anche i due ostaggi. Ho parlato con la moglie di Warren e con il premier Matteo Renzi. Come marito e padre posso solo immaginare l’angoscia e il dolore che le famiglie stanno vivendo oggi. Verificheremo e renderemo pubblici tutti i dettagli dell’operazione, perché i familiari devono conoscere la verità, anche se alcuni punti rimarranno segreti. Questa operazione è stata condotta seguendo le linee guida ed era indirizzata a colpire un compound di Al Qaeda per bloccare i terroristi». Il presidente poi ha parlato di Lo Porto e di Weinstein: «Il lavoro di Giovanni l’ha portato in tutto il mondo, ad Haiti e in Pakistan. Era pieno di passione. Il suo lavoro riflette l’impegno dell’Italia, che è un alleato molto importante. Siamo legati all’Italia dagli stessi valori. L’esempio di questi due uomini brillerà a lungo, sarà una luce per chi è rimasto». Alle famiglie dei due innocenti uccisi verrà riconosciuto un risarcimento.
• Se ne faranno qualcosa?
La madre di Lo Porto, da quando le hanno rapito il figlio, si è trasformata in un’altra donna. È cambiata persino fisicamente. La famiglia abita a Palermo, a un piano rialzato di via Pecori Giraldi, quartiere Brancaccio, periferia est della città. Sono poveri. Il padre e uno dei fratelli di Giovanni sono costretti a lavorare a Pistoia, e sono tornati di corsa a casa ieri. In questi tre anni dal sequestro, nessun familiare ha protestato, s’è lamentato, ha gridato. Si sono fidati della Farnesina e dei misteriosi contatti della cosiddetta Unità di crisi, che raccomanda sempre il silenzio. Ieri la Farnesina ha mandato una squadra di psicologi in via Pecori Giraldi. La madre si chiama Giuseppa o Giuseppina o, alla siciliana, Giusy. Non poteva credere a questa fine. Dopo che le avevano telefonato da Roma, ha voluto ancora guardare il telegiornale. Nel suo durissimo editoriale sul sito della “Stampa”, Domenico Quirico ha invitato Matteo Renzi e lo stesso Obama ad andare a Palermo e a fissarla negli occhi. «Proprio quelli che dovevano salvarlo, lo hanno invece ucciso».
• Non sarà che questo Lo Porto sia partito a suo tempo allo sbaraglio, come le due ultime ragazze andate a quasi perdere la testa in Siria senza sapere quello che facevano.
No, Lo Porto era un professionista, uomo serissimo e grandemente stimato. Studi in cooperazione internazionale alla London Metropolitan University e alla Thames Valley, specializzazione in Giappone, missioni in Centro Africa, ad Haiti (dopo il terremoto), due volte in Pakistan. Alla fine del 2011 stava in Punjab, al confine tra il Pakistan settentrionale e l’Afghanistan (non lontano, crediamo di capire, dal luogo in cui è stato ucciso) per coordinare l’opera di ricostruzione dopo l’alluvione che aveva colpito il Paese. Si trovava nella città di Multan, un milione e mezzo di abitanti, quando quattro uomini armati e molto decisi entrarono nel suo compound e lo portarono via insieme con il tedesco Bernd Muehlenbeck, di 59 anni. Muehlenbeck è stato liberato con un blitz lo scorso ottobre, da un’incursione organizzata dagli stessi tedeschi. L’italiano è finito come è finito.
• I droni sono aerei senza pilota e guidati a distanza, giusto?
Giusto.
• Come ci si può sbagliare in un’operazione del genere?
C’è sempre un bersaglio da colpire, qualcuno che ha un nome e un cognome. Si raccolgono informazioni sul terreno e tra le informazioni necessarie ci sono anche quelle relative alla presenza eventuale di soggetti innocenti. Quando si ritiene di saperne abbastanza si procede. Qui pare che ci siano stati due difetti di partenza: le informazioni sono state fornite da agenti locali, piuttosto sciatti; dentro il compound da colpire, gli ostaggi innocenti sono stati tenuti accuratamente nascosti.
• Chi decide gli uomini o le donne da colpire?
Lo stesso Obama, in base a una lista di nomi che gli viene periodicamente presentata dalla Cia. Bush non credeva troppo ai droni e li aveva adoperati una decina di volte. Il ritmo di Obama è di centinaia di operazioni all’anno.
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