Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Andreas Lubitz, 28 anni, ha volontariamente guidato l’Airbus 320, di cui era copilota, contro la parete rocciosa delle Alpi francesi. Era solo in cabina. Da fuori, il comandante Sonder Heimer, diecimila ore di volo alle spalle, tempestava sulla porta blindata, tentando di sfondarla, visto che l’altro non rispondeva e non apriva. Dalla torre di controllo chiamavano e non ottenevano risposta. Lubitz stava manovrando in modo che i computer di bordo, attrezzati per correggere la rotta automaticamente, non potessero intervenire. Poco prima dell’impatto, i passeggeri si sono accorti di quello che stava succedendo. La scatola nera ritrovata ha restituito le loro grida. Nella scatola nera si sente anche il respiro di Lubitz. Regolare. Tranquillo. Fino all’ultimo.
• Ma perché avrebbe fatto questo?
Ancora non si sa. La madre di un’amica d’infanzia ha raccontato alla Frankfurter Allgemeine che Lubitz nel 2009 aveva sospeso l’addestramento perché precipitato in una profonda depressione. Gli era poi passata ed aveva ripreso i corsi. Aveva poco più di 600 ore di volo alle spalle. Viveva con i genitori a Montabaur, nella Renania-Palatinato, aveva anche un’altra casa alla periferia di Düsseldorf. Date le caratteristiche della discesa avevo per una frazione di secondo pensato anch’io che fosse un suicidio. Un’idea subito scacciata di mente, nemmeno presa in considerazione.
• Come mai Lubitz era rimasto solo in cabina? Nessuno aveva intuito che fosse pericoloso?
Nessuno. Per i primi venti minuti Heimer e Lubitz parlano tranquillamente in tedesco, poi Heimer dice qualcosa come «siamo pronti ad atterrare a Düsseldorf», quindi si sente un sedile spostato, una porta che si apre e che poi si richiude. Heimer è semplicemente andato alla toilette, Lubitz è rimasto solo in cabina. Sono le 10.31. Lubitz dà subito inizio alla discesa e intanto blocca la porta. Heimer torna, trova la porta chiusa, bussa, Lubitz non gli risponde e allora aziona il codice per rientrare. Il meccanismo funziona così: se da dentro nessuno risponde, dopo trenta secondi la porta si apre da sé. Ma chi sta dentro ha a disposizione un pulsante per bloccare l’apertura automatica. E Lubitz ha bloccato l’apertura automatica. Il senso di questo sistema è chiaro: se, mentre Heimer era al bagno, Lubitz fosse morto d’infarto, il comandante avrebbe potuto rientrare in cabina grazie al codice e all’apertura automatica. Se invece di Heimer si fosse presentato alla porta blindata un terrorista, Lubitz avrebbe potuto impedirgli l’accesso. Nessuno ha previsto il caso del pilota suicida da fermare. O meglio: forse gli americani ci hanno pensato, perché da loro è proibito restar soli in cabina. Un divieto che in Europa non c’è.
• Ed è normale affidare la vita di 149 persone a un tizio che cade in depressione?
Questo è il problema. Carsten Spohr, amministratore delegato di Deutsche Lufthansa, ha tenuto una conferenza stampa a Colonia e ha detto: «Lubitz aveva superato tutti i test medici, ma anche tutti i test psicologici, era atto al volo al cento per cento. Siamo veramente sconvolti, neanche nell’incubo più terribile avremmo potuto immaginare quello che è successo. Noi della Lufthansa scegliamo il personale di cabina con attenzione, è parte del nostro Dna. Non guardiamo solo alle capacità tecniche e cognitive ma anche ai profili psicologici». È una difesa disperata, ma fallace: è purtroppo evidente che psicologicamente Lubitz non era in grado di sopportare una responsabilità come quella. Appena la notizia s’è sparsa, la famiglia del pilota suicida è stata messa sotto protezione.
• Ci sono già stati casi del genere?
Sì, ieri le agenzie hanno diffuso una lista, preparata dal sito news.aviation-safety.net. Sono una trentina di casi in circa un quarto di secolo. Il pilota russo che s’è buttato per vendetta sul tetto di casa della moglie, il pilota di Singapore che aveva problemi di soldi, eccetera. Il caso più recente in Namibia, nel 2013: il pilota portò con sé all’altro mondo l’equipaggio e 33 passeggeri.
• Come va il recupero dei corpi?
Centocinquanta cadaveri ridotti in brandelli. Sono arrivate le famiglie dalla Francia e dalla Spagna. Saranno accolte nelle camere ardenti allestite in due località vicine all’incidente, Seyne-les-Alpes et Le Vernet. Grandi tendoni in plastica bianca, completamente chiusi, davanti alla cappella di Seynes-les-Alpes. I parenti incontreranno Brice Robin, formalmente il titolare dell’inchiesta sullo schianto. Una messa in suffragio delle vittime si terrà domenica nella basilica di Notre Dame du Bourg, a Digne. La Merkel ha detto: «Le notizie relative al copilota rappresentano un peso in più per le famiglie e i parenti delle vittime». In una foto si vedono il presidente francese Hollande e il premier spagnolo Rajoy che si abbracciano davanti alla Kanzlerin.
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