Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Piazza Affari in leggera salita anche ieri e cinguettii a Firenze tra la Merkel e Matteo Renzi. La Cancelliera s’è detta impressionata dal passo italiano sulle riforme, Renzi ha fatto il discorso che il mondo si aspettava, e cioè: non crediate che con il QE i problemi siano risolti, bisogna andare avanti con le riforme, anche più presto di prima («mettiamo il turbo» eccetera).
• Quello che non ho capito è che cosa ci guadagno io da questo QE. QE come “quantitative easing”, no? Stampiamo un sacco di carta moneta e con questa carta moneta compriamo titoli pubblici e titoli privati…
L’idea è che circoleranno un sacco di soldi, quindi questi soldi si potranno prestare oppure con questi soldi si potranno comprare cose, comprando cose si stimolerà la domanda, quindi le fabbriche saranno spinte a costruire prodotti, perciò risalirà l’occupazione, e insomma ci aspetta un’era di felicità.
• La cosa è troppo bella per essere vera. Prima di tutto: se è così, perché non l’hanno fatto prima? E in secondo luogo: come avverrà in concreto? Per esempio, relativamente al mio mutuo che cosa mi devo aspettare?
Il mutuo variabile si aggiorna sull’Euribor, il tasso applicato dalle banche per prestarsi i soldi tra di loro. Questo tasso adesso è praticamente a zero, quindi chi ha un variabile in questo momento dovrebbe pagare molto poco di interessi. Tant’è vero che le banche stanno pensando di mettere un pavimento alla discesa dei tassi, perché altrimenti andrà a finire che saranno loro a dover dare dei soldi a chi ha preso un prestito. In particolare sui mutui, comunque, l’effetto del quantitative easing è doppio. Da un lato, poiché si inonda il sistema di liquidità, cioè di banconote, dovrebbe essere più facile farsi finanziare l’acquisto della casa. In giro ci sono tanti soldi! Però, questo “quantitative easing” o QE ha lo scopo di sconfiggere la deflazione e di riportare l’inflazione in prossimità del 2% (non oltre). Questo vuol dire che, se i calcoli di Draghi sono giusti, a settembre dell’anno prossimo dovremmo appunto avere questo tasso d’inflazione a 1,8-1,9. A quel punto i tassi saliranno, cioè pagheremo il denaro un po’ di più. Ieri infatti il Corriere consigliava di cercare qualche mutuo a tasso fisso inferiore al 3,5% e di prenderlo al volo. Questo naturalmente se tutto va come previsto.
• Potrebbe non andare come previsto.
Sì, potrebbe. Lo scenario che ci si immagina a Francoforte è questo: la Banca comprerà titoli di stato e altra carta pubblica e privata (abs, covered bonds, ecc.) sul mercato secondario. Cioè non si presenterà alle aste, ma andrà a togliere queste obbligazioni dalle cassaforti di banche, fondi pensioni, assicurazioni, fondi di investimento. La scadenza di questa roba sta tra i due e i trent’anni. L’effetto degli acquisti sarà una diminuzione del tasso di interesse che grava su questi titoli, quindi una liberazione di risorse. Idem per gli Stati: interessi più bassi, soldi a disposizione per esempio per tagliare le tasse. È possibile che fondi pensione, banche eccetera, liberatisi di una prima quantità di titoli, ne stampino altri. Questo farà scendere il prezzo dei bonds, li renderà cioè meno appetibili. I grandi investitori potrebbero allora decidere di stornare altrove i loro soldi, stimolando ulteriormente l’economia. Tutto l’insieme, combinato col deprezzamento dell’euro e quindi un rilancio delle esportazioni, dovrebbe far sentire una specie di «profumo di ricchezza», utile per modificare la psicologia del mercato. Il mercato, lei lo sa, ha una sua dimensione psicologica molto importante. Se penso che i prezzi saliranno, mi affretto a comprare. Altrimenti, attendo. Queste aspettative, non sempre scientificamente solide, giocano una parte importante sui corsi. E però potrebbe anche non andare così.
• Perché?
Beh, il QE giapponese, a più di un anno di distanza, non ha sortito gli effetti sperati, per esempio. La gente non compra, la domanda ristagna, il panorama resta fiacco. Tipico comportamento di un paese demograficamente vecchio. Come siamo vecchi noi e i tedeschi.
• Però negli Stati Uniti…
In America hanno fatto tre QE, arrivando a comprare titoli per 85 miliardi al mese. Lì la cosa ha funzionato. E però c’è questo: le imprese americane sono abituate a finanziarsi direttamente sul mercato. Cioè quando hanno bisogno di soldi, emettono un bond, garantiscono un interesse, mostrano – sotto la sorveglianza della Sec – che i loro conti sono a posto e si fanno quindi finanziare dagli stessi cittadini. Otto volte su dieci fanno così. Le nostre imprese invece seguono il percorso inverso: otto volte su dieci, se hanno bisogno di prestiti, si rivolgono alle banche e le banche dànno o non dànno non sempre in ragione della bontà dell’affare. È il capitalismo di relazione, così importante in Italia. Benché Francoforte inondi il mercato secondario di soldi, è possibile quindi che le nostre imprese non se li vadano a prendere. Addirittura per un fatto culturale. Le resistenze a cambiare mentalità sono molte. Guardi la lotta che si preparano a fare le Banche Popolari all’ultimo decreto di Renzi. Preferiscono rimanere sotto il controllo dei politici piuttosto che andare a confrontarsi col mercato.
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