Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Cominciamo dai numeri. I morti sono sempre dodici, i feriti molto gravi quattro, gli assassini certamente due ma forse con un terzo complice, i poliziotti sguinzagliati sul territorio per la loro cattura 88 mila. La caccia è concentrata nei comuni di Villers-Cotterêts, Corcy e Longpont, tutti in Piccardia. Gli agenti entrano nelle case, perquisiscono. I due ricercati avrebbero abbandonato la Renault Clio usata per l’ultimo tratto di fuga, e starebbero scappando a piedi. Sono due fratelli francesi di origine algerina. Si chiamano Saïd e Chérif Kouachi.
• Che cosa sappiamo di loro?
Il più piccolo è Chérif, 32 ani, ed è lui quello che la polizia conosceva come jihadista. Il quotidiano Le Parisien ha messo sul sito un video che riproduce un servizio di France 3 del 2005. Si vede Chérif che confessa di essere un estremista islamico, di essersi lasciato reclutare «per vincere la paura», si dice pronto al martirio e si esibisce in un rap. Adesso ci viene detto che le forze dell’ordine lo consideravano «un fanatico pericoloso». Essere considerati «fanatici pericolosi», nel sistema occidentale, non ti dà ancora il diritto di arrestare nessuno. Non si possono processare le intenzioni, non si può condannare qualcuno per un reato che non ha ancora commesso. Quindi Chérif girava giustamente libero. Sull’altro fratello, più grande e di nome Saïd, sappiamo che viveva a Reims, che è stato a lungo disoccupato e che adesso lavorava col fratello. Abbiamo anche la testimonianza di un suo ex vicino di casa, raccolta da Le Figaro: «Ci incrociavamo e ci salutavamo, non abbiamo mai avuto problemi con i nostri vicini. Kouachi a volte indossava la djellaba, una tradizionale tunica di alcune comunità islamiche. Praticava la religione, ma non l’ho mai visto cercare di convertire qualcuno. Sua moglie era velata, dalla testa ai piedi. Siamo scioccati per quello che è successo e aspettiamo di vedere come finirà. Lui è un sospettato ma non è ancora stato giudicato colpevole».
• Il vicino di casa non crede troppo che sia colpevole.
Si è arrivati ai due Kouachi attraverso una carta d’identità trovata nella Citroen C3 adoperata nel primo tratto di fuga. La polizia dice che Saïd è stato riconosciuto nei video girati dalle telecamere. Però c’è la questione del terzo uomo, indicato con una certa sicurezza dagli inquirenti come il diciottenne Amid Mourad. Invece Mourad ha un alibi di ferro, che ha esibito lui stesso ai poliziotti a cui s’è presentato spontaneamente. Alle undici di mercoledì di mattina era a scuola, come hanno confermato anche i suoi compagni. Quindi la polizia si sbaglia, e bisogna andarci cauti. Anche perché questo è uno dei casi in cui il colpevole ci vuole assolutamente, per tranquillizzare l’opinione pubblica. Come le ho già detto ieri, si tratta di un’illusione ottica.
• Perché?
Non c’è nessuna organizzazione da smantellare, non c’è nessun grande vecchio, non ci sono capi da catturare per infliggere un colpo mortale ai suoi adepti. I ceceni di Boston, il matto di Sidney, i fanatici di Tolosa, del museo ebraico di Bruxelles, del parlamento di Ottawa non fanno parte di un piano di attacco organico all’Occidente. Si tratta di cellule sparse, individui isolati che si fanno sedurre dalle prediche degli imam, le cui parole di violenza cadono attraverso internet su un terreno fertile. Questi assassini sono infelici, sono frustrati, non trovano lavoro, percepiscono intorno a sé una società ingiusta, che li esclude, una società che presto viene giudicata peccaminosa. È così che si preparano decine di atti isolati, i quali tutti insieme dànno luogo a una sensazione di guerra totale, ma che presi singolarmente, nonostante l’orrore che suscitano, nonostante i dodici morti di mercoledì, appaiono poca cosa, gesti miserabili, del tutto privi di grandezza olteché di senso. Vincere la guerra contro un nemico simile è praticamente impossibile.
• Eppure una via ci deve essere.
Ci sono riunioni in tutti i palazzi di potere del mondo, non solo a Parigi, ma anche a Roma, a Madrid, a Londra. Si alza la soglia dell’allarme e si spera. Voglio ricordare che dopo l’11 settembre, a parte Boston, gli americani sono riusciti a tenere a bada i terroristi – che certamente considerano l’America il primo posto da colpire – grazie anche al loro gigantesco sistema di intercettazioni troppo sconsideratamente attaccato dai media. C’è un solo modo per limitare questo tipo di danni, bisogna avere informazioni prima, sorvegliare chi è pericoloso, bloccarne le iniziative sul nascere. Intercettare tutti è pressoché necessario.
• La solidarietà per Charlie Hebdo è stata immensa.
Sì, c’è stata anche una manifestazione di solidarietà a Baghdad, da parte dei giornalisti iracheni, manifestazione a cui si sono uniti molti civili. L’Islam che non è d’accordo con questo metodo di lotta deve farsi sentire. Veglie hanno anche avuto luogo a Parigi, a New York, in molte città italiane. Ovunque – sulle piazze e in rete – ha campeggiato la scritta «Je suis Charlie», divenuta ormai una bandiera.
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