Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Oggi bisognerebbe parlare soprattutto di Paolo VI, finalmente beatificato ieri, e invece dovremo dire ancora qualcosa sul Sinodo e sulle sue conclusioni.
• Come mai?
Leggo sui quotidiani che hanno vinto i conservatori e perso i liberali, la Chiesa è spaccata, e in un notiziario Rai, addirittura, che il Papa ha annunciato il rinvio di ogni decisione, relativamente al rapporto della Chiesa con gli omosessuali e alla questione se i divorziati possano o no prendere i sacramenti, all’anno prossimo. Ma no, fin dall’inizio era stato stabilito che il percorso della Chiesa sulle questioni più spinose della cosiddetta etica moderna si sarebbero affrontate in due momenti, prima questo Sinodo sulla famiglia del 2014, incaricato di stendere un documento in più punti (saranno 62, alla fine) e poi discussione e meditazione ancora per un anno su questo documento, fino al Sinodo del 2015. Proprio Paolo VI diceva: «La chiesa cattolica non è soltanto la cupola di San Pietro e alcune guardie svizzere. Per capire la chiesa è necessario studiarne gli insegnamenti e capirne la complessità. Noi siamo difficili. Ma voi dovete leggerci. Dovete penetrare questo alfabeto poco noto, così come bisogna leggere i geroglifici per capire una piramide egizia…». Badi a quelle tre parole: «Noi siamo difficili». Adesso invece si vuole ridurre tutto alla conta di chi abbia vinto una partita...
• In realtà?
In realta anche le tesi più azzardate per chi ha a mente la storia della Chiesa sono state votate a larga maggioranza e, solo, non hanno raggiunto il consenso qualificato dei due terzi, che le avrebbe fatte inserire senza fallo nel documento finale. Di regola, queste posizioni sarebbe riamste segrete, ma Francesco ha invece voluto che tutto fosse pubblicato. Così, a leggerla, la cosiddetta vittoria dei conservatori (comunque minoranza) ha più l’aria di una sofferta resistenza all’oggi, col dubbio - eterno - se sia sensato per la Chiesa adattarsi ai tempi. Viene in mente che per resistere ai suoi tempi Pio IX inventò il dogma dell’infallibilità papale, al quale adesso Francesco oppone invece un discorso capitale sul governo della Chiesa (ieri: «Parliamo un po’ del Papa, adesso, in rapporto con i vescovi») nel quale si vogliono sintetizzare i fermenti della periferia con i tormenti del centro. Nel nostro caso resistono ai nuovi tempi e alla constatazione che ci si sposa sempre di meno, che la famiglia è sempre meno solida, che una fetta non indifferente dell’umanità - coloro che amano le persone del loro stesso sesso - chiede di vivere in pace e, se crede, con Dio, resistono a tutto questo proprio le periferie, l’Africa, il Brasile, gli Stati Uniti. Mentre la spinta innovatrice viene dal centro, cioè dallo stesso papa. «Il compito del Papa è di garantire l’unità della Chiesa, di ricordare ai pastori che il loro primo dovere è nutrire il gregge che il Signore ha loro affidato e di cercare di accogliere — con paternità e misericordia e senza false paure — le pecorelle smarrite. Ho sbagliato, qui, ho detto accogliere: andare a trovarle, piuttosto».
• La Chiesa andrà a trovare, alla fine, le pecorelle divorziate, risposate o omosessuali?
Sì, sono convinto di sì.
• E Paolo VI?
Si diceva, ai suoi tempi: «Volete farvi amare da papa Paolo? Siate suoi nemici». È il papa che prese in mano il Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e lo portò a termine. Fu lui a istituire la pratica dei sinodi, assemblee dei vescovi per discutere le questioni del mondo e tenere aggiornata la Chiesa. Noi lo ricordiamo per questo e per la lettera alle Brigate rosse: «Vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni...». Un papa che aveva innato il senso del dramma.
• Si disse che con quelle parole il Papa aveva sposato il partito della non trattativa...
Lo pensò anche Moro, che scrisse alla moglie: «Il Papa ha fatto pochino, forse ne avrà scrupolo». Credo che fosse invece un appello all’umanità delle Brigate rosse, un’invocazione al pentimento. In San Giovanni poi, al momento del funerale, gridò: «Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica». Montini è forse il Papa più simile a Francesco, tra quelli del dopo guerra. Solo che Francesco ha il dono di una simpatia immediata, frutto della sua semplicità magari solo apparente. Mentre le inquietudini di Paolo VI erano ben visibili, ben percepibili, e il mondo in quel momento gli era nemico. Il Sessantotto, la contestazione, i preti operai, il divorzio, l’avanzare di una società in cui i vecchi valori sbiadivano a ogni ora... Quante cose c’erano in quelle parole, «Tu, o Signore, non hai esaudito la nostra supplica»...
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