Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il governo francese non vuol saperne dei parametri di Maastricht, niente deficit/Pil al 3%, niente pareggio di bilancio, se ne parla al massimo nel 2017. Una svolta clamorosa, anche se prevedibile, che ha suscitato una reazione risentita della Merkel: «Non siamo ancora al punto in cui si possa dire che la crisi è alle nostre spalle» ha replicato la Cancelliera «i Paesi devono fare i loro compiti per il loro benessere. Il patto di stabilità e di crescita si chiama così perché non può esserci crescita sostenibile senza finanze solide». Le finanze solide, evidentemente, sono per i tedeschi quelle che non si producono grazie ai debiti. Dello stesso tono la reazione europea, affidata a Simon O’Connor, portavoce del commissario agli Affari economico e finanziari. Senza nominare la Francia, O’Connor ha detto: «Gli Stati devono rispettare le raccomandazioni specifiche perr paese. Gli impegni presi dagli Stati nei confronti degli altri sono comuni e il ruolo della Commissione è quello di dire se i progetti di bilancio metteranno gli Stati sulla strada giusta per rispettare tali impegni».
• C’è dunque qualcuno che sta in cattedra e giudica quello che fanno i francesi e gli italiani, e può promuovere o bocciare. Questo qualcuno sono i tedeschi. Si promuovono da soli o sta scritto da qualche parte che comandano loro?
Si promuovono da soli, in quanto titolari dell’economia più in ordine e più ricca. Il sottinteso è: fate come noi. Ma il Sud Europa ha seguito politiche completamente diverse da quelle tedesche, anche se, magari, sbagliando. Non si può girare la nave di colpo, sono processi lenti e con grandi conseguenze sociali. C’è un problema di consensi, poi: il favore verso Hollande è ridotto ai minimi termini, la Le Pen passa da un successo all’altro, adesso è anche entrata in Senato, prima volta nella storia. È chiaro che Hollande, in un sistema basato sulle elezioni, ha il terrore di superare certi limiti.
• Che cosa dicono, in concreto, i francesi?
Ha parlato il loro ministro delle Finanze, Michel Sapin. Il deficit transalpino resta per quest’anno al 4,4%, invece del canonico 3%. L’anno prossimo calerà al 4,3, nel 2016 al 3,8 e solo nel 2017 scenderà al 2,8. In precedenza Parigi s’era impegnata a rientrare nel parametro già quest’anno. Debito al 98% del Pil nel 2016 (sarà un record) con leggera discesa nel 2017. Crescita l’anno prossimo di appena l’1%. Pareggio di bilancio nel 2019 invece che nel 2017. Tenendo conto del fatto che in questa fase le previsioni sono sempre ottimistiche e devono essere riviste in genere al ribasso, il quadro appena molto fosco. D’altra parte, ha detto Sapin, il governo sta tagliando la spesa pubblica per 50 miliardi, e ciononostante gli impegni dello Stato risultano ancora in crescita dello 0,2%. Quindi - è il sottinteso - Berlino si rassegni.
• Questa improvvisa presa di posizione francese non ci fa comodo? Non potrebbe crearsi un asse con l’Italia capace di costringere i tedeschi a rivedere le loro posizioni?
Premesso che non mi azzardo a dire chi, tra i flessibilisti e i rigoristi, abbia davvero ragione, noto che comunque la situazione francese e quella italiana sono diverse. Noi chiudiamo i nostri conti in attivo, con un avanzo primario, prima degli interessi sul debito, dell’1,7% del Pil, cioè più di venti miliardi. Siamo in attivo da molti anni e da molti anni col deficit sotto il canonico 3%. I francesi sono perennemente in rosso già prima degli interessi sul debito e da molti anni.
• Come mai hanno l’aria di star meglio di noi?
Resistono relativamente bene perché pagano poco interesse sul debito, che è comunque più basso del nostro. Se pagassimo sul nostro debito lo stesso interesse che pagano loro, saremmo quasi al pareggio di bilancio. In queste condizioni ci si può alleare? Forse sì. Dipende anche dall’atteggiamento di Bruxelles. I conti italiani saranno esaminati a novembre. La Commissione potrebbe imporci di riscrivere in tutto o in parte la legge di stabilità (ex Finanziaria). A quel punto si vedrà, noi e i francesi.
• I nostri cont, dalle ultime che ho sentito, non sono mica buoni.
Il ministro Padoan, presentando martedì sera la Nota di aggiornamento del Documento Economico e Finanziario, ci ha mostrato un Pil in calo dello 0,3%, deficit al massimo consentito del 2,9-3%, manovra da 20-22 miliardi, debito ancora in crescita e pareggio di bilancio non più nel 2015, come promesso, ma nel 2017. Il Fiscal Compact è per ora una pia illusione. Bruxelles, in novembre, potrebbe bocciarci e costringerci a una manovra più dura. Per passare l’esame, anzi per essere rimandati alla prossima primavera, bisogna che intanto passi la legge di riforma del lavoro con la relativa libertà di licenziare restituita agli imprenditori (ex “padroni”). Il premier ieri ha detto che il Jobs Act deve essere approvato «in pochi giorni». Bersani ha risposto che non sarà certamente lui a far cadere l’esecutivo.
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