Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Tuoni e fulmini sotto il cielo della sinistra, che hanno raggiunto il loro acme ieri con lo scambio televisivo tra Renzi e Bersani. Tra l’altro Bersani, con le uscite di questi ultimi due giorni, si candida a leader incontrastato dell’antirenzismo.
• Cominciamo da Renzi.
Renzi è andato negli Stati Uniti dove parlerà all’Onu. Ma prima di salire sull’aereo ha visto quelli del Tg2. «Vado avanti e mantengo le promesse» ha detto «nel mio partito c’è chi pensa che dopo il 40,8% alle Europee si possa continuare con un facite ammuina per cui non cambia niente e Renzi fa la foglia di fico: sono cascati male, ho preso questi voti per cambiare l’Italia davvero». Mettiamo quest’ultima uscita in fila con le altre due, e cioè il video contro la Cgil, accusata di fare gli interessi dei lavoratori di serie A e di essere corresponsabile delle ingiustizie in cui vive il mondo del lavoro italiano; e la lettera ai militanti del Pd in cui si accusano i vari Bersani, Epifani, Fassina, Bindi, D’Alema di voler riportare il partito al 25%. Che cosa vediamo?
• Che cosa vediamo?
Che Renzi sembrerebbe deciso a una specie di resa dei conti finale, sia con la sua sinistra che con il sindacato. Sulla decisione di metterla giù così dura ci sono tante interpretazioni, ma per ora dobbiamo far parlare Pier Luigi Bersani, che già sabato, in risposta all’accusa di essere “vecchia guardia”, aveva detto: «Io su questo piano non mi ci metto». Ieri, sentito Renzi, ha risposto con insolita violenza: «Con la mia storia conservatore no, non posso essere accusato di esserlo. Vecchia guardia posso accettarlo ma più vecchia guardia di Berlusconi e Verdini chi c’è? Vedo che loro sono trattati con educazione e rispetto, spero che prima o poi capiti anche a me». Registriamo anche la posizione di Cuperlo, ex sfidante di Renzi alle primarie: «Non possiamo accettare una discussione strumentalizzata per dividere il Pd tra innovatori e conservatori o minacciare decreti. Basta con le provocazioni e gli ultimatum. La delega sul lavoro è troppo vaga. Chi fa il segretario e premier ha il dovere di indicare il percorso».
• E i sindacati?
Dopo gli strilli iniziali si sono calmati. Bonanni (Cisl) e Angeletti (Uil) hanno dichiarato proprio ieri di essere pronti a discutere l’articolo 18, purché il nuovo statuto dei lavoratori sia concepito in modo da eliminare tutte le forme di precariato atipico e di vero e proprio sfruttamento dei giovani. Anche dalla Cgil è partito un messaggio più conciliante: invece di litigare, discutiamo.
• Dove corre più rischi Renzi, sulle piazze o in Parlamento?
Questa domanda è stata fatta anche l’altra mattina, durante il programma Omnibus su La7. Gli ospiti si sono detti sicuri che in Parlamento, alla fine, Renzi non corre rischi, perché nessuno vuole andare alle elezioni. Noi siamo di opinione contraria: a conti fatti ieri da La Repubblica, si vede che la fronda anti-Renzi conta su 110 parlamentari. Per quest’area la questione del lavoro e dell’articolo 18 con l’obbligo del reintegro per il lavoratore licenziato è altamente qualificante. Cedere vuole dire sbiadirsi definitivamente, diventare solo un gruppo di pseudoantirenziani sofferenti. Una specie di combriccola di poveri illusi. Renzi è un premier inevitabile, dato il consenso di cui gode, ma la sinistra Pd se non dà battaglia perde ogni significato. Si parla persino di scissione, e non è insensato. Uno come Civati ha detto che, su temi come questi, voterebbe contro anche se il premier mettesse la fiducia.
• E il sindacato?
Il sindacato non è sicuramente in grado di portare in piazza uno o tre milioni di persone, come nel 2002. Il sindacato non si interroga sulla scarsa credibilità che ha nel Paese e questa carenza culturale gli impedisce di cambiare e adeguarsi ai tempi. Poca presenza in fabbrica, molto patrimonio e molta finanza, riti oscuri per scegliere il gruppo dirigente, come ha denunciato lo stesso Landini (leader della Fiom) nel congresso dello scorso maggio, e scarso rapporto con la base. A dati del 2012, la Cgil aveva cinque milioni e 700 mila iscritti e quasi tre milioni di questi sono pensionati. Il reclutamento avviene soprattutto attraverso i patronati e i Caaf, quei centri che, facendosi lautamente finanziare dallo Stato, ti aiutano a compilare i moduli per pagare le tasse o per ricevere la pensione. Anche le parole d’ordine scelte da Camusso per dare addosso a Renzi suonano vecchie. Ha tirato fuori la Thatcher, roba di trent’anni fa. Dimenticando tra l’altro che, grazie anche a quello che ha fatto la Thatcher, oggi la Gran Bretagna cresce a un ritmo del 3% l’anno. Il sindacato, temo, viene percepito da molti come un’altra versione della casta piuttosto che come un soggetto dedito in esclusiva alla difesa dei lavoratori.
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