Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Angelina Jolie s’è fatta asportare tutt’e due le mammelle per prevenire il cancro al seno: il suo profilo genetico rendeva lo svilupparsi di un tumore in quel punto probabile all’87%. L’attrice, 38 anni, sei figli (tre adottati), figlia di John Voight (lo stallone di Un uomo da marciapiede), moglie di Brad Pitt, celebre soprattutto per la Lara Croft della serie Tomb Raider, ha raccontato la storia di questa “mastectomia bilaterale preventiva” sulla prima pagina del “New York Times” di ieri. E nel mondo, a questo punto, non si parla d’altro.
• Trentotto anni! Come ha spiegato questa scelta che, francamente, mi pare terribile.
Il padre, John Voigt, diceva che la figlia è disturbata mentalmente... In ogni caso, la madre, Marcheline Bertrand, attrice pure lei, ha combattuto col cancro al seno per dieci anni e alla fine è morta. Aveva 56 anni. «Ho ereditato da lei un gene difettoso, il Brca1. Questo fatto aumenta in modo consistente la probabilità di essere colpiti dalla malattia al seno o alle ovaie. Conosciuta la mia situazione ho deciso di attivarmi e minimizzare il rischio. Ho fatto prima la mastectomia perché il rischio del cancro al seno era più alto di quello alle ovaie, e l’intervento più complesso. Sto scrivendo questo articolo perché spero che altre donne possano avere un beneficio dalla mia esperienza. Cancro è ancora una parola che spaventa i cuori delle persone, producendo un senso di impotenza. Ma oggi è possibile scoprire attraverso un test del sangue se si è a rischio, e fare qualcosa». Dice che della morte «della mamma di mamma» e «della malattia che ce l’ha portata via» parla spesso con i figli. «I miei figli mi chiedevano se la stessa cosa poteva capitare anche a me. Allora ho deciso che non dovevano temere di perdere la madre per un cancro al seno». È rimasta in clinica dal 2 febbraio al 27 aprile. « Quando ti risvegli dall’operazione, con i tubi di drenaggio infilati nel seno, ti sembra di stare sul set di un film di fantascienza».
• Cioè, per capirci: adesso è completamente piatta?
C’è la chirurgia estetica. Si mettono delle protesi...
• Una mia amica su Facebook ha scritto: «Fanatismo preventivo. È bellissima, può permettersi la miglior mastoplastica ricostruttiva, ma questa non è prevenzione, è distruzione anticipata di un corpo che non tutte possono permettersi».
Il professor Veronesi ha spiegato che per persone ad alto rischio come Angelina non ci sono che due strade. Una è quella scelta dall’attrice, cioè l’asportazione totale. Effettivamente, in questo modo, si passa dal 90% di probabilità al 5%, col fastidio delle protesi, che vanno sostituite ogni dieci anni. L’altra strada è quella del controllo frequente: «Oggi con una risonanza magnetica abbiamo la possibilità di scoprire un tumore in uno stadio talmente precoce da poterlo operare con una piccola incisione e una guaribilità del 98%». Secondo Veronesi, è anche un problema psicologico, cioè dipende da come la donna vive la malattia o il rischio della malattia. Il grande clinico ha spiegato che con la prima soluzione, nel caso si formi lo stesso un tumore (5% di probabilità), l’intervento sarà più complicato. La zona interessata ha già subito un intervento chirurgico, è fibrosa, il cancro non è solo più difficile da operare, è anche più difficile da scoprire.
• Se la faccenda è genetica, si può intervenire addirittura sul feto, no?
Tocchiamo un tasto delicatissimo, quello della scelta, in un insieme di embrioni, di quello sano a danno di quello malato. Lei sa quali problemi morali sono sottintesi a queste pratiche, vietate in Italia dalla legge 40. Il primo intervento del genere, a quanto se ne sa, è stato effettuato in Inghilterra nel 2009. Lo hanno replicato a Barcellona due anni fa, nel quadro di un programma di riproduzione assistita chiamato PuigvertSant Pau. Del caso spagnolo sappiamo qualcosa: due embrioni senza il gene Brca1 errato impiantati in una donna la cui famiglia era stata devastata dal cancro. Uno dei due embrioni sopravvisse. Il direttore dell’Istituto di Bioetica, Núria Terribas, cercò di non far trapelare la notizia per non essere sommerso dalle richieste. E spiegò il punto chiave relativo ai tumori: «Prima di procedere, dobbiamo analizzare storia per storia». Noi infatti chiamiamo “cancro” un complesso vastissimo di malattie, ognuna molto diversa dall’altra. Sta anche in questo la difficoltà della cura.
• Nella decisione della Jolie di dare pubblicità al suo male, non c’è anche la solita voglia dei personaggi dello spettacolo di farsi pubblicità?
Forse. D’altra parte non è la prima donna che racconta in pubblico il proprio cancro al seno. Mi vengono in mente Martina Navratilova, Jane Fonda, Kylie Minogue e da noi Rosanna Banfi. Qualunque siano state le intenzioni di Angelina, parlarne fa bene alle stesse donne. Un tempo il cancro era più difficile da curare anche per il senso di vergogna da cui erano afflitti i pazienti. All’inizio degli anni Cinquanta, lo stesso “New York Times” su cui Angelina ieri ha raccontato la sua storia rifiutò l’inserzione di un gruppo che aiutava le malate di cancro al seno. La parola “cancro” venne giudicata impubblicabile e idem la parola “seno”, per la quale l’ufficio pubblicità del giornale propose l’espressione “cassa toracica”.
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