1927-2013
As Roma: vittorie e delusioni della “magica”
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’Ilva di Taranto inquina, i magistrati hanno disposto otto arresti e il sequestro di sei impianti, sono quindi in pericolo 14 mila posti di lavoro e infatti gli operai sono già scesi in strada, senza provocare incidenti.
• Mi viene in mente che a Milano il tribunale ha stabilito l’impossibilità di adottare misure importanti a livello ambientale perché un garage vicino al Duomo ne sarebbe danneggiato. A Taranto invece…
A Taranto c’è la diossina e una percentuale di morti per cancro nettamente superiore alla media. L’Ilva è la più grande acciaieria d’Europa. Scontiamo qui almeno due illusioni: che si possa procedere a un’industrializzazione del Sud come che sia, e per ragioni squisitamente politiche; per le stesse ragioni politiche che si possa tenere in piedi uno stabilimento che ha riempito la città di veleni. Si sa da almeno trent’anni che l’Ilva inquina. L’idea di fare l’acciaio nel Mezzogiorno (dopo aver chiuso lo stabilimento di Mongiana, nelle Serre calabresi, che aveva servito i Borboni di Napoli, per trasferirne la lavorazione a Terni, assurdità dell’unificazione italiana) risale al 1904, cioè a Giolitti. L’area era Bagnoli. Inutile fare tutta la storia: la fabbrica andò benissimo finché c’era la guerra con le relative commesse, poi finì all’Iri, infine, quando si chiamava Italsider, fu venduta ai fratelli Riva. Era il 1995, lo Stato incassò 1.900 miliardi. I Riva non ne trovarono altri per produrre senza inquinare. L’attuale procuratore di Taranto è Franco Sebastio, lo stesso pretore che 15 anni fa condannò Emilio Riva al pagamento di una multa per il “gettito pericoloso di cose”.
• Chi sono gli arrestati?
I provvedimenti sono stati firmati, ma non ancora notificati. Il gip Patrizia Todisco ha disposto per tutti i domiciliari. Cinque di questi erano già inquisiti. Il vecchio Emilio Riva, di 86 anni, il vero patron dell’azienda (finì in carcere per omicidio colposo anche nel 1975 e chiuse la fabbrica dichiarando che, finché fosse rimasto in cella, non ci sarebbe stato lavoro per nessuno), il figlio Nicola che è diventato presidente dell’Ilva nel 2010 e s’è dimesso un paio di settimane fa, l’ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, il dirigente capo dell’area reparto cokerie, Ivan Di Maggio, il responsabile dell’area agglomerato, Angelo Cavallo. Nel gruppo ci sono tre dirigenti arrivati più di recente e dei quali per ora non si conosce il nome. L’Ilva è un mostro grande tre volte Taranto. La magistratura ha messo i sigilli ai parchi minerali, alle cokerie, all’area agglomerazione, all’area altiforni, alle acciaierie e alla gestione materiali ferrosi. Il documento del sequesto è un dossier di 300 pagine e contiene i dati relativi alla diossina e agli altri veleni sparsi dallo stabilimento, quali risultano dall’incidente probatorio discusso lo scorso 30 marzo sulla base di due perizie.
• Sequestro singifica che la fabbrica è chiusa?
Il ministro Clini dice che il governo vuole la continuazione dell’attività. Ha stanziato 336 milioni per le bonifiche. «Non è detto che venga chiuso, non si tratta di impianti che si dismettono premendo un bottone».
• I sindacati? Gli operai?
Stavano manifestando da parecchi giorni, anche con qualche blocco stradale. Tre-quattromila persone si sono radunate ieri sull’Appia, dove sta la direzione aziendale, e lì sono poi andate in corteo fino al centro della città. Il corteo è poi cresciuto quando si sono aggregati i tremila del secondo turno. C’è stata una manifestazione anche a Roma, davanti al ministero dell’Ambiente. Gli operai hanno l’aria di non essere troppo sensibili al problema ambientale. «L’azienda ecocompatibile va bene ma bisogna dare tempo all’azienda. Noi dobbiamo continuare a lavorare, altrimenti dove si va? In questa città le prospettive sono quasi zero. La chiusura dell’Ilva manderebbe in crisi le nostre famiglie. Sarebbe una decisione traumatica». I discorsi sono più o meno questi. I magistrati non hanno scorta, ma li sorveglia una macchina della polizia. Dicono di aver mandatio cinque avvisi negli ultimi anni, rivolgendosi anche a Regione, Prefettura, Ministero eccetera. Mai nessuna risposta.
• Il governatore non è Nichi Vendola?
Non ho finito di dirle che sfilano anche gli ambientalisti: «Aria irrespirabile, cibo inquinato, acqua imbevibile» sono gli slogan. Vendola vuol salvare capra e cavoli e chiede un riesame del provvedimento di sequestro: «Un altro giudice riesamini quegli atti e provvedimenti giudiziari. Vanno letti puntualmente, perchè non significano automaticamente lo spegnimento della fabbrica. Il punto è tenere insieme la vita della fabbrica e la questione ambientale. Non possiamo immaginare che uno degli elementi sia soverchiante rispetto all’altro: appartiene a una cultura ecologista anche la difesa della continuità del reddito per 20mila famiglie». Anche Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, invoca la revoca del provvedimento. «Le condizioni ci sono. I miglioramenti tecnologici già attuati, le recenti normative approvate dalla regione Puglia su standard ambientali e salute. L’Ilva di Taranto da problema può diventare una straordinaria occasione di innovazione per la sostenibilità ambientale delle produzioni pesanti». I magistrati, a quanto pare, ci credono poco.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 27 luglio 2012]