Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Le reazioni enormi alla morte di Lucio Dalla dicono su questo artista molto di più di quanto possa fare il cronista riassumendo e ricordando. Valgano per tutte le parole del presidente Napolitano: «Lucio Dalla è stato autore e voce forte e originale, che ha contribuito a rinnovare e a promuovere la canzone italiana nel mondo. È stato un artista amato da tanti italiani di diverse generazioni. E a me personalmente è caro il ricordo dei nostri incontri e dell’ultimo, a Bologna, per una iniziativa di di beneficenza, ritrovando in ogni occasione la schiettezza e delicatezza del suo tratto umano». Su questo punto, in effetti, hanno insistito tutti: l’umanità di Dalla, il calore della sua amicizia, la sua disponibilità ad incoraggiare i colleghi nei momenti difficili, a scoprire talenti e ad aiutare i giovani a farsi strada, la Pausini ha ricordato quel ristorante di Bologna in cui Dalla la sentì cantare per la prima volta e poi le carezzò i capelli (aveva 8 anni), Samuele Bersani ha ripetuto che «è grazie a Lucio se ho potuto sparare le mie prime cartucce» idem Ron, Luca Carboni, gli Stadio. De Gregori è sconvolto al punto di non aver voluto dire niente, Gianni Morandi è andato a rappresentare la sua disperazione al Tg1, Pupi Avati ha raccontato di aver suonato insieme a Dalla quando lui aveva 20 anni e Lucio 16, e di essersi mangiato il fegatio tutte le sere perché Dalla, per qualche motivo misterioso, suonava il flauto meglio di lui (e senza conoscere la musica). Ma è impossibile dar conto di tutte le reazioni.
• Bisogna invece dire qualcosa sulle circostanze della morte.
Era a Montreux, in Svizzera, dove avrebbe cantato stasera. Era all’inizio di una tournée che aveva appena toccato Lucerna e Zurigo e sarebbe proseguita, dopo Montreux, per Basilea, Berna, Ginevra, Lugano, Parigi, Düsseldorf, Amburgo, Brema, Francoforte, Lussemburgo, Stoccarda, Monaco, e infine Berlino. Era andato tutto molto bene, mercoledì sera aveva parlato allegramente col suo produttore Michele Mondella, ieri mattina s’era svegliato in piena letizia, aveva fatto colazione, poi telefonato a un paio d’amici e poi… e poi s’era sentito male. Credo sia morto in pochi minuti. I primi a dare la notizia sono stati i frati della Basilica di San Francesco d’Assisi, venuti a conoscenza non si sa come del fatto. A mezzogiorno e 10 hanno lanciato un messaggio su twitter: «È morto Lucio Dalla, dolore e sgomento della comunità francescana conventuale di Assisi per l’improvvisa scomparsa del cantautore di Dio…». Le agenzie si sarebbero accorte della notizia 26 minuti dopo.
• Si può dire di Lucio Dalla “cantautore di Dio”?
Penso proprio di sì. Una volta disse: «Sento Dio in me, anche se a dirlo così ti pigliano per folle. Il destino lo sento come una specie di marketing celeste. Penso Dio come Ingmar Bergman nella sceneggiatura di Conversazioni private». La Voltattorni raccontò: «Va a messa, rifiuta l’aborto (“La vita va difesa sempre e comunque”), cerca Dio (“La ricerca del divino e della trascendenza fanno parte della natura umana”). Ama papa Ratzinger, “un grande e fine intellettuale”, di cui ha apprezzato l’enciclica sulla Speranza, “il livello della sua catechesi è così elevato da sfuggire a quelle menti che ricercano, nel mondo attuale, solo l’insulto”». Anche Ludovica Ripa di Meana vide in Dalla una sorta di profeta: «Forse senza saperlo, e certo senza volerlo, Lucio Dalla è un profeta. Lo è per il suo fisico che si adatterebbe benissimo a un uomo di Dio itinerante attraverso i deserti della Galilea. Lo è per la voglia di avvicinarsi agli altri, e di entrare in comunione con loro attraverso quel segnale affabile e misterioso che è la musica».
• Da tutto questo lo si definirebbe piuttosto un uomo di destra.
È troppo schematico. Nel 1997 disse che gli piaceva D’Alema, ma che era amico di Berlusconi. «Essere per la gente, per il popolo, per la democrazia. Questi sono valori di sinistra che però possono essere realizzati benissimo anche dalla destra. Se c’è un idraulico bravo ma di destra non è che non lo chiamo perché non la pensa come me». Con Berlusconi ebbe un rapporto forte e insegnò anche alla sua scuola per manager. Ma teneva in casa la foto di Berlinguer. «Mi portò da Berlinguer Walter Veltroni. C’era anche Francesco De Gregori. Un gelo terribile. Qualche parola di tanto in tanto, qualche sguardo. Per spezzare il silenzio gli dissi che trovavo simpatico Cossiga. Sapevo che erano cugini alla lontana, pensavo di fargli piacere. Credo però che avessero litigato, perché Enrico ci rimase malissimo. Siccome non poteva finire così, Veltroni ci riprovò. Ci invitò a cena, e quella volta parlammo. Berlinguer si era preparato. A De Gregori chiese la differenza tra una chitarra acustica e una elettrica. A me domandò chi avrebbe vinto il campionato di basket. E comunque un mito è un mito. Non deve essere simpatico».
• Chi sono i suoi eredi, musicalmente?
Non credo ce ne siano. Lui stesso disse di non averne.
• E il cattivo trattamento all’ultimo Sanremo?
Ieri Celentano ha detto cose molto toccanti su di lui («se n’e andato un poeta» eccetera) ma a Sanremo Dalla lo attaccò con forza. «Non credo ci sia mai stato un Sanremo peggiore», aveva dichiarato dopo la bocciatura della sua Nanì. «Non perché la canzone di Pierdavide Carone è stata subito eliminata dalla giuria demoscopica, ma è inusuale un cantante che s’improvvisa sociologo e per cinquanta minuti tiene in ostaggio l’Ariston quando farebbe bene a cantare e basta». Polemiche subito dimenticate, però, com’era nel suo carattere privo di rancore.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport, 2 marzo 2012]