Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Riflettori puntati su Mario Monti: nominato l’altra sera senatore a vita, indicato dalla stampa italiana come il prossimo presidente del consiglio incaricato, è tornato di corsa da Berlino a Roma (senza valigie: gliele ha portate la moglie), ieri è salito al Quirinale, ha preso atto che deve tenersi disponibile fino a domenica sera. Nessuna dichiarazione, naturalmente. Ci si aspetta però che Napolitano, una volta approvata la legge di stabilità, gli chieda di formare un governo già domenica sera, in modo da presentare ai mercati, fin da lunedì mattina, l’immagine di un’Italia messa a posto. Non è escluso infatti che, ricevuto l’incarico, Monti presenti subito una lista di dodici ministri e con quella vada immediatamente in Parlamento, lasciando ai partiti la scelta di appoggiarlo o no, e di assumersene quindi la responsabilità davanti agli elettori. Napolitano ha fatto chiaramente capire che sarà giocata una sola carta, respinta la quale le forze politiche dovranno affrontare il voto. E non è detto che tra quelli da eleggere non ci sia a quel punto lo stesso Mario Monti, a capo di una specie di formazione del presidente, magari coalizzato con un pezzo di Pd e un pezzo di Pdl (l’esplosione dei partiti viene data come piuttosto probabile da chi se ne intende).
• Intanto si tratta di capire chi è questo Mario Monti.
Un economista, laureato alla Bocconi e specializzato a Yale.
Presidente della Bocconi, di cui è stato anche rettore. Nato a Varese nel 1943.
Il padre era direttore di banca, molto diffidente nei confronti della politica.
Un uomo severo, «a differenza di mia madre che aveva il dono dell’allegria. Una
dote che non ho ripreso da lei, purtroppo» (così in un’intervista di qualche
anno fa). Suo zio era Raffaele Mattioli, celebre amministratore delegato della
Comit. Siamo nel salotto dei grandi banchieri, con fedina antifascista e
cultura liberale, Croce, La Malfa, Cuccia. Monti viene da lì, ma è cattolico.
Una grande differenza. I cattolici lo hanno già sdoganato come uomo loro,
Casini non rilascia più dichiarazioni perché non ce n’è bisogno, persino
Maurizio Lupi, berlusconiano di ferro, ha applaudito alla candidatura ancor
prima del Cavaliere, in omaggio anche alle sue origini cielline. Monti, se lo
faranno lavorare, sarà perciò un tagliatore implacabile (questo è inevitabile e
lo ha già fatto capire), ma pronto a favorire al più presto l’adozione di una
politica sociale di mercato. E del resto ha scritto di recente che è
indispensabile lavorare per lo sviluppo («c’è un gran lavoro da fare», ha detto
ieri) e che la pressione fiscale in Italia è intollerabile. Quelli che hanno
cominciato a sparargli addosso cannonate, gabbandolo come rappresentante del
potere forte franco-tedesco che vuol far pagare a noi la crisi delle banche di
Sarkozy e della Merkel, gli fanno torto. Il personaggio è parecchio più
complesso, e francesi e tedeschi non lo amano troppo. L’unico organo di stampa
che ha dubitato della sua nomina a capo del governo, prevedendo invece un incarico
a Giuliano Amato, è, guarda caso, il “Financial Times”.
• Però ‘sta cosa esiste. Attaccano le banche italiane in
difesa delle banche loro.
Sì, le nostre banche sono costrette a svalutare i
loro bond di stato, mentre le banche francesi e tedesche, zeppe di titoli
tossici a valore zero, possono conservarli in bilancio al prezzo di acquisto.
Un’ingiustizia. Ma come è stata possibile? Perché la nostra classe politica ha
perso qualunque autorevolezza in Europa. Nessuno ci ha saputo difendere.
• Invece Mario Monti…
Monti è stato commissario europeo, prima al Mercato interno,
poi alla Concorrenza. Nominato da Berlusconi, confermato da D’Alema. Come
commissario alla Concorrenza ha fatto la guerra a General Electrics, che voleva
comprare per 43 miliardi Honeywell (battaglia perduta), e alla Microsoft
sanzionata con una multa da 497 milioni di dollari (battaglia vinta). Gli
americani gli diedero allora il nome di SuperMario oppure di Full Monti. Quella
volta il nostro uomo fece correre un po’ tutti, bloccando per esempio la
fusione di Mci e Sprint o imponendo ad Aol Warner Bros di vendere uno dei suoi
marchi o bloccando gli aiuti di stato di Parigi all’Alstom (2,8 miliardi: è
infatti un nemico degli aiuti di stato). Alla fine gli hanno dato il premio
Antitrust Achievement Award (tripla A…), l’Oscar dell’Antitrust: è il primo
non-americano ad averlo vinto.
• In quell’epoca non c’era anche Prodi in Europa?
Sì, e i maligni raccontano che all’Economia Prodi gli
preferì Padoa-Schioppaperché
Monti conosceva tutti i retroscena della scialba figura che aveva fatto a
Bruxelles. Lui invece faceva marciare i suoi funzionari - tedeschi, italiani,
olandesi e spagnoli – come soldatini. Adesso però Prodi lo appoggia senza
riserve, anzi lo considera quasi l’unica soluzione.
• Ce la farà?
È uno che ha detto molti no, per esempio nel 2005
quando Berlusconi gli propose di subentrare a Tremonti al ministero
dell’Economia. Monti portò a spasso il cane (un golden retriever) poi tornò a
casa e rispose di no. Adesso potrebbe rinunciare di fronte a un consenso scarso
o o svogliato.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 11 novembre 2011]
(leggi)