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 2011  febbraio 12 Sabato calendario

In Italia

Il Presidente della Repubblica è Giorgio Napolitano
Il Presidente del Senato è Renato Schifani
Il Presidente della Camera è Gianfranco Fini
Il Presidente del Consiglio è Silvio Berlusconi
Il Ministro degli Interni è Roberto Maroni
Il Ministro degli Esteri è Franco Frattini
Il Ministro della Giustizia è Angelino Alfano
Il Ministro di Istruzione, università e ricerca è Mariastella Gelmini
Il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali è Maurizio Sacconi
Il Ministro dell’ Economia e delle Finanze è Giulio Tremonti
Il Ministro della Difesa è Ignazio La Russa
Il Ministro dello Sviluppo economico è Claudio Scajola
Il Ministro delle Politiche agricole è Giancarlo Galan
Il Ministro di Infrastrutture e trasporti è Altero Matteoli
Il Ministro della Salute è Ferruccio Fazio
Il Ministro di Beni e Attività culturali è Giancarlo Galan
Il Ministro dell’ Ambiente è Stefania Prestigiacomo
Il Ministro dell’ Attuazione programma di governo è Gianfranco Rotondi (senza portafoglio)
Il Ministro della Gioventù è Giorgia Meloni (senza portafoglio)
Il Ministro delle Pari opportunità è Mara Carfagna (senza portafoglio)
Il Ministro di Pubblica amministrazione e Innovazione è Renato Brunetta (senza portafoglio)
Il Ministro dei Rapporti con il Parlamento è Elio Vito (senza portafoglio)
Il Ministro di Rapporti con le Regioni e Coesione territoriale è Raffaele Fitto (senza portafoglio)
Il Ministro delle Riforme per il federalismo è Umberto Bossi (senza portafoglio)
Il Ministro della Semplificazione normativa è Roberto Calderoli (senza portafoglio)
Il Ministro di Sussidiarietà e decentramento è Aldo Brancher (senza portafoglio)
Il Ministro del Turismo è Michela Vittoria Brambilla (senza portafoglio)
Il Governatore della Banca d’Italia è Mario Draghi
Il Presidente della Fiat è John Elkann
L’ Amministratore delegato della Fiat è Sergio Marchionne
Il Presidente della Rosa per l’Italia è Savino Pezzotta
Il Segretario Nazionale dei Popolari per il Sud è Clemente Mastella

Nel mondo

Il Papa è Benedetto XVI
Il Presidente degli Stati Uniti d’America è Barack Obama
Il Presidente del Federal Reserve System è Ben Bernanke
Il Presidente della BCE è Jean-Claude Trichet
Il Presidente della Federazione russa è Dmitrij Medvedev
Il Presidente del Governo della Federazione russa è Vladimir Putin
Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è Hu Jintao
La Regina del Regno Unito è Elisabetta II
Il Premier del Regno Unito è David Cameron
La Cancelliera Federale di Germania è Angela Merkel
Il Presidente della Repubblica francese è Nicolas Sarkozy
Il Primo Ministro della Repubblica francese è François Fillon
Il Re di Spagna è Juan Carlos I
Il Presidente del Governo di Spagna è José Luis Rodríguez Zapatero
Il Comandante Supremo delle Forze Armate dell’ Egitto è Mohammed Hoseyn Tantawi
Il Primo Ministro di Israele è Benjamin Netanyahu
Il Presidente della Repubblica Turca è Abdullah Gül
Il Presidente della Repubblica Indiana è Pratibha Patil
Il Primo Ministro della Repubblica Indiana è Manmohan Singh
La Guida Suprema dell’ Iran è Ali Khamenei
Il Presidente dell’ Iran è Mahmud Ahmadinejad

Alle cinque di ieri pomeriggio è apparsa sugli schermi televisivi egiziani la figura magra di Omar Souleiman, il vicepresidente: «Cittadini, in nome di Dio misericordioso, nella difficile situazione che l’Egitto sta attraversando, il presidente Hosni Mubarak ha deciso di dimettersi da suo mandato e ha incaricato le forze armate di gestire gli affari del paese. Che Dio ci aiuti». Le migliaia di persone che non hanno mai abbandonato la piazza Tahir hanno preso a sventolare bandiere, grida di gioia si sono levate dalla folla, le borse sono tornate positive, il prezzo del petrolio è sceso mentre le agenzie di stampa venivano intasate dalle dichiarazioni degli uomini politici di tutto il mondo, in genere esultanti, e preoccupate solo dalle parti di Tel Aviv, dove il passaggio di mano è vissuto con una certa ansia: Israele ed Egitto sono in pace dal 1979, la direzione che prenderà a questo punto la politica estera del Cairo è un mistero. L’esultanza dei palestinesi di Gaza e i comunicati trionfalistici di Hamas e di Ahmadinejad, che auspica un Medio Oriente senza americani e senza Israele, dicono che i timori di Netanyahu non sono forse ingiustificati.

Che fine ha fatto Mubarak?
Dovrebbe essere a Sharm-el-Sheik, con la famiglia. È probabile che poi si rifugi ad Abu Dhabi, negli Emirati, o forse addirittura a Riad. Gli svizzeri gli hanno congelato i conti.

È molto ricco?
È accreditato di un patrimonio di 70 miliardi di dollari e di case, palazzi, grattacieli a Londra, Parigi, Madrid, Dubai, Francoforte. In America il clan dei Mubarak ha una società, la Alaa Mubarak, che possiede immobili nelle zone di pregio di Los Angeles, Washington e New York. Un paio di yacht da 80 milioni l’uno. Eccetera. Lo scrittore Aladdin Elaasar sostiene che «Mubarak ha uno stile di vita molto dispendioso con case in tutto l’Egitto». La decisione dell’altra sera di non dimettersi è stata favorita dall’improvviso appoggio di Abdullah, il re dell’Arabia Saudita, che ha messo a disposizione le sue risorse per aiutare l’Egitto, cioè di fatto per sostituirsi agli Stati Uniti (tre miliardi di dollari l’anno). Nella notte il raìs aveva parlato anche con Gheddafi, non tranquillissimo dopo le rivoluzioni d’Egitto e di Tunisia. L’incertezza riguarda in effetti non solo i destini del Cairo, ma quelli di tutta l’area. L’ultimo numero dell’Economist ha calcolato il rischio vulnerabilità dei paesi della zona. Incrociando l’indice di giovinezza della popolazione (un fattore storicamente destabilizzante), il numero di anni in cui il dittatore locale è al potere, il livello di corruzione, il tasso di democrazia, il reddito medio eccetera, si vede che le percentuali di una rivoluzione sono l’83% in Yemen, il 65% in Libia, il 64 in Siria, il 59 in Oman, il 57 in Arabia Saudita, il 50 in Algeria, il 45 in Giordania, il 42 in Marocco, il 38 in Bahrein, il 36 in Libano, il 24 negli Emirati. Lo sbarco dei disperati tunisini a Lampedusa, cu sui riferiamo a parte, ci avverte di quanto questi paesi ci siano vicini, di come l’area in questione ci riguardi.

Il potere è passato in mano all’esercito, come si prevedeva fin dall’altro giorno?
Sì. Dovrebbe esserci un passaggio formale delle consegne da parte di Souleiman al consiglio supremo militare. In questo caso, l’uomo forte del Paese dovrebbe diventare il ministro della Difesa, Mohammed Hussein Tantawi. Gli egiziani lo considerano per ora una specie di eroe nazionale. I soldati non hanno sparato sulla folla e, quando sono intervenuti, è effettivamente finita la carneficina che aveva provocato fino a quel momento 300 morti, da imputare in gran parte alla polizia. Tantawi e gli altri graduati dovrebbero condurre il paese alle elezioni e a un inizio di vita autenticamente democratica. Se questo accadesse, se davvero in Egitto si votasse senza trucchi, se funzionassero un parlamento e una libera stampa, se insomma prendesse vita un sistema di garanzie di tipo occidentale, l’effetto sul resto del Medio Oriente potrebbe essere devastante. Dico: per i regimi autoritari che dominano laggiù, a cominciare proprio da Teheran.

E se invece la transizione prendesse uno sviluppo islamista?
È la domanda che si fanno tutti. I Fratelli musulmani, tecnicamente ancora fuori legge, e molto defilati durante questi 18 giorni, ieri hanno elogiato i nuovi padroni, cioè l’esercito.

Chi si candiderà alle presidenziali?
El Baradei, dopo aver manifestato tutta la sua esultanza («è il più bel giorno della mia vita»), ha detto che non si candiderà. In questo momento sembrerebbe in buona posizione Amr Moussa, segretario della Lega araba da dieci anni, già ministro degli esteri di Moubarak (nel ’91) e critico a quel tempo verso gli Stati Uniti e la sua politica filoisraeliana. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 12/2/2011] (leggi)

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