Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
I morti in Egitto sono a questo punto 150 (ufficialmente 102), il coprifuoco durerà oggi dalle tre del pomeriggio alle otto di domani mattina, ieri in piazza Tahir si sono ammassate 150 mila persone che hanno chiesto a Mubarak di andarsene, il ministero dell’Interno è stato evacuato completamente e il ministro dimissionario Habib al-Adli è stato salvato dall’esercito. Il tribunale e la Borsa sono chiusi, chiuso anche il valico di Rafah, che permetto il traffico sotterraneo con la Palestina, ad al Jazeera sono state tolte le licenze e oscurato il satellite Nilesat (anche in Cina è impossibile da ieri trovare qualche notizia se si digita la parola “Egitto”). I saccheggi continuano, la polizia ha arrestato circa 500 sciacalli che girano armati di kalashnikov, spade, bastoni e tutto quanto risulta utile in una rapina. I detenuti catturati dopo le evasioni dell’altro giorno sono tremila, mucchi di cadaveri sono stati trovati all’esterno del carcere Abu Zabul. Il nostro ambasciatore al Cairo, Claudio Pacifico, ha detto che l’ordine pubblico è fuori controllo, «si stanno formando gruppi di autocontrollo», cioè comitati di cittadini che si difendono da sé. Mubarak ha infatti ritirato dalle strade la polizia, che farà riapparire oggi, però al fianco dell’esercito. Caccia militari hanno sorvolato più volte a bassa quota il centro del Cairo, presidiato da decine di carri armati e da sedici tank nella sola piazza Tahir. La strada per l’aeroporto è intasata di auto, quasi sempre stranieri che tentano di tornare in patria. L’aeroporto, però, è paralizzato e zeppo di famiglie smarrite, che sperano di fuggire e consolano i bambini in lacrime. Il Dipartimento di stato americano ha detto ai suoi di tornare a casa al più presto e voli speciali sono previsti già da oggi. Manderanno aerei per salvare i loro connazionali anche la Libia, la Turchia, gli Emirati, il Libano, la Giordania, il Qatar, il Kuwait, mentre l’Arabia Saudita ha fatto già arrivare sul posto otto velivoli. Intanto 19 aerei privati sono decollati nelle ultime ore portando all’estero esponenti di spicco del mondo degli affari e della burocrazia. La tv di stato continua a smentire la fuga a Londra della moglie e dei figli di Mubarak, mentre il presidente s’è fatto vedere al quartier generale dell’esercito, insieme col suo vice Suleiman, col ministro della Difesa Tantawi e col capo di stato maggiore Sami Annan.
• È un altro segnale che non intende andarsene?
Molto, molto difficile. I gruppi dell’opposizione – in particolare l’Associazione per il Cambiamento, il movimento 6 aprile e soprattutto i Fratelli musulmani – hanno chiesto a El Baradei di negoziare con i rappresentanti dell’esercito un governo di transizione, che porti a libere elezioni e alla nascita di un nuovo Egitto. Precondizione: la caduta del rais. El Baradei è andato nella piazza Tahir a parlare: «Quel che abbiamo cominciato non può tornare indietro. Io mi inchino in segno di rispetto al popolo egiziano. E vi chiedo pazienza: il cambiamento arriverà a breve nei prossimi giorni».
• Chi è El Baradei?
Un diplomatico sessantanovenne, che ha diretto per dieci anni l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Ambasciatore del suo paese all’Onu. Parlò contro l’intervento di Bush in Iraq, sostenendo che lì non c’erano armi di distruzione di massa. Anche per questo nel 2005 ricevette, insieme con la sua agenzia, il Nobel per la Pace. L’Aiea deve infatti per statuto impedire l’utilizzo dell’energia atomica a fini di guerra e promuoverne l’uso pacifico. Egiziano, ma educato in America.
• L’America conta qualcosa in questo caos?
Gli Stati Uniti versano ogno anno all’Egitto un miliardo e mezzo di dollari. L’Egitto è un punto-chiave nell’area, sponda essenziale per coltivare qualche spenza di pace in Palestina. Ieri Hillary Clinton ha detto di non sapere se Mubarak conserverà il suo potere. È quasi un benservito: «Hosni Mubarak non ha fatto abbastanza, il processo è appena iniziato, è necessaria una transizione ordinata che abbia come risultato le elezioni e il cambiamento che conduce alla democrazia». È in pratica quello che ha detto El Baradei in piazza.
• E se poi all’ultimo spuntasse fuori un qualche membro di al Qaeda?
Tutti dicono che i Fratelli musulmani sono troppo divisi al loro interno per riuscire a qualcosa. El Baradei ieri a Paolo Mastrolilli della Stampa: «I Fratelli musulmani sono solo un gruppo religioso conservatore, come gli ebrei ortodossi a Gerusalemme e gli evangelici negli Stati Uniti. Rappresentano una minoranza degli egiziani e non avranno la forza di sovvertire la nostra costituzione».
• Che conseguenze può portare questa crisi al resto del mondo?
Un aumento del prezzo del petrolio. Venerdì le borse arabe sono precipitate. Per i traffici la prospettiva che il canale di Suez resti a lungo inagibile è spaventosa. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 31/1/2011]
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