Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il Parlamento ha confermato la fiducia a Berlusconi, con un margine ampio al Senato (162 a 135, e con due assenti) ristretto alla Camera (314 a 311). Mentre la Camera votava, e gli stessi deputati venivano a un certo punto alle mani, Roma era assediata dalle manifestazioni e blindata dalle camionette della polizia, che hanno impedito ai manifestanti di raggiungere Palazzo Madama e Montecitorio. Gli incidenti, come riferiamo a parte, sono poi degenerati nel pomeriggio, quando sono apparsi i black bloc e una densa colonna di fumo s’è levata verso il cielo da piazza del Popolo.
• Come si è determinata questa maggioranza favorevole al Cavaliere?
Tre finiani hanno cambiato campo: la cosiddetta miss Cepu, Catia Polidori, Maria Grazia Siquilini e Giampiero Catone. I tre del nuovo Movimento di Responsabilità Nazionale – cioè Calearo, Scilipoti e Cesario – hanno poi sciolto la loro riserva in favore di Berlusconi. Aggiungiamo le defezioni già certe e annunciate nei giorni scorsi (Razzi, Grassano) e abbiamo l’analisi numerica del risultato. Ai tre presentatori delle mozioni di sfiducia non è bastato che venissero a votare anche le tre deputate incinte (la Bongiorno ha seguito i lavori, e votato, in carrozzella, la Cosenza è arrivata in ambulanza) o che Guzzanti si sia espresso per la sfiducia e neanche che il democratico Marco Fedi sia arrivato in aereo dall’Australia, ad onta di una grave malattia. Berlusconi ha vinto lo stesso. La salita al Quirinale è stata un pro-forma. Il premier s’è trattenuto col presidente della Repubblica per una mezz’ora in tutto.
• Come l’ha presa Fini?
C’è una sua dichiarazione, rilasciata subito dopo il voto: «La vittoria numerica di Berlusconi è evidente quanto la nostra sconfitta, resa ancor più dolorosa dalla disinteressata folgorazione sulla via di Damasco di tre esponenti di Futuro e Libertà. Che Berlusconi non possa dire di aver vinto anche in termini politici sarà chiaro in poche settimane». Più tardi uno del Fli rimasto anonimo ha annunciato: «D’ora in poi saremo una falange macedone, un esercito compatto». A queste parole tanto bellicose ha fatto seguito questa proclama guerresco del falco finiano Granata: «Da domani in Parlamento renderemo la vita impossibile a Berlusconi». In realtà la sconfitta di Fini è gravissima: non solo per i tre che gli hanno voltato le spalle, ma soprattutto perché il partito appare spaccato e non si possono escludere altre defezioni. La colomba Silvano Moffa, primo firmatario della lettera con cui domenica sedici parlamentari (sei finiani), hanno tentato di rimettere al tavolo della trattativa Berlusconi e Fini, ha alla fine votato la mozione di sfiducia, chiedendo però le dimissioni del capogruppo Bocchino. Bocchino gli ha risposto a brutto muso: «Formalizzi, formalizzi e vedremo quanto consenso ha». Non ci sarà tempo di formalizzare perché in serata Moffa ha annunciato che lascerà il Fli. Gli incerti di domenica erano, come abbiamo detto, sei. E quattro se ne sono già andati. Che faranno gli altri due? Che cosa gira in questo momento, per esempio, nella testa di Andrea Ronchi che ha lasciato un posto da ministro per lanciarsi in una battaglia perduta? Tra l’altro quel posto da ministro è sempre libero e la sirena Berlusconi ha già cominciato a cantare: «Ci sono parlamentari che dopo oggi possono rientrare nei gruppi del Pdl o comunque nella nostra coalizione più ampia. Penso all’Udc e ad altri partiti che non voglionon restare nell’angolo». Sono anche impressionato dal ripensamento del senatore Burgaretti dell’Mpa. Del suo voto non c’era bisogno, pure ha voluto schierarsi col governo. L’Mpa ne ha annunciato l’espulsione, ma intanto da cinque che erano sono rimasti in quattro. L’aria è che l’opposizione moderata abbia una certa probabilità di sgretolarsi e di dare al governo una forza superiore ai tre voti con cui ha vinto ieri. Machiavelli ha scritto che le congiure fallite perdono i congiurati e rafforzano il principe.
• Casini ha risposto all’offerta di entrare nella maggioranza?
Per ora ha detto di no. «Berlusconi non ha voluto seguire il nostro consiglio, dimettendosi prima del voto. E adesso governi». Sottinteso: se ci riesce. La prima prova sarà sulla mozione di sfiducia a Bondi, che i finiani residui promettono di votare «come una falange». Ma temo che saranno falange anche quegli altri.
• In ogni caso il Cavaliere ha una maggioranza risicata.
Quello che hanno sottolineato subito i leghisti. Calderoli: «Il governo mangia il panettone, ma penso che non mangerà la colomba», cioè che non durerà fino a Pasqua. Maroni: «Berlusconi allarghi la maggioranza o si va al voto». Alla Lega le elezioni piacerebbero: un risultato incerto al Senato consegnerebbe loro il pallino del gioco. Ma a questo punto le urne mi sembrano meno probabili di prima. Sul sistema elettorale Berlusconi ha detto: «Vorremmo introdurre il premio di maggioranza nazionale anche al Senato» e «Non si può governare con 15 gruppi parlamentari, io alzerei lo sbarramento al 5%».
• Dovrà almeno rinunciare alla riforma della Giustizia.
Non è detto. «Non ci sarà riforma su alcuni punti che non trovano il consenso dell’opposizione, ma su altri, come ad esempio la velocizzazione dei processi, credo sia possibile portare a termine le riforme». Nel suo intervento di ieri Di Pietro – insultandolo a sangue, dandogli del “fuggitivo” – ha insistito sulla fine del suo impero e sulla necessità che si consegni alla magistratura per essere giudicato. Non mi pare che il Cavaliere se ne sia fatto impressionare. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 15/12/2010]
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