Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
C’è un altro scandalo che si annuncia piuttosto grosso e riguarda le Ferrovie dello Stato. I pubblici ministeri di Napoli (il famoso Henry John Woodcock e Francesco Curcio) hanno mandato in galera due ex dirigenti delle stesse Ferrovie, licenziati a suo tempo o fatti uscire, a quanto si capisce, con le buone, e due imprenditori. Un terzo imprenditore è agli arresti domiciliari, mentre sono state messe sotto sequestro aziende degli imputati o riferibili a loro per un valore complessivo di dieci milioni di euro. Ci sono anche altri nove indagati a piede libero. I due ex funzionari delle Ferrovie pilotavano gli appalti in modo che a vincere fossero i loro amici. Questo almeno sostiene l’accusa, che naturalmente dovrà provare quello che pensa in tribunale (fino a quel momento sono tutti innocenti). Il procuratore aggiunto di Napoli, Francesco Greco (un’altra celebrità che viene dal pool milanese di Mani pulite), ha voluto sottolineare che l’operazione s’è potuta fare grazie primo alla collaborazione di Trenitalia e secondo alle intercettazioni.
• E chi vuol capire capisca. Ma il nome di Woodcock è una garanzia o no? Perché mi pare che in genere, quando stava a Potenza, abbia prodotto molto rumore mediatico ma poche condanne.
A Milano, in aprile, i magistrati hanno buttato via tutte le sue intercettazioni relative all’inchiesta sugli appalti per il nuovo grattacielo della Regione Lombardia. Tutte inutilizzabili, anzi tutte del genere: «non si dovevano neanche fare». Tante scuse ai nove sotto inchiesta e nulla di fatto per le supposte tangenti relative a un appalto da 185 milioni. Già che ci siamo, voglio ricordare che la famosa inchiesta su Romeo, l’uomo che aveva il monopolio delle pulizie cittadine a Roma e a Napoli e che secondo i pm era il padrone delle due città, è finita con una condanna a due anni ma non per corruzione: il tribunale ha punito un caso di promessa raccomandazione per posti di lavoro e, dunque, per vicende non legate ad appalti pubblici. Erano sedici imputati, sono stati tutti assolti
• Saranno stati corrotti i giudici, per assolvere tutti?
Chi lo sa. Il brutto è che se lei lo va a dire in giro, qualcuno ci crede. E del resto: nella mega-inchiesta sul caso Anemone non è coinvolto un giudice di Roma (l’inchiesta fa capo a Perugia proprio per questo)? E ogni tanto non vanno dentro anche degli ufficiali della Guardia di Finanza? Si dice: qualche mela marcia non significa… Sì, ma quante mele marce ci sono? Perché la sensazione dei cittadini – misurata per esempio da un’indagine di Transparency – è che il sistema pubblico italiano sia “estremamente corrotto” (una percentuale altissima di sì alla domanda relativa: il 32%, più alta di quella greca). Per esempio, sui tavoli delle redazioni, nella sola giornata di ieri, oltre ai soliti aggiornamenti relativi al caso Anemone, sono piovute notizie su un giro di corruzione a Vicenza, settore della concia, mazzette pagate con festini e orge; e su un altro giro di appalti pilotati relativi al carcere di Massa (12 milioni di euro, è andato dentro anche il direttore del penitenziario).
• Quindi, la stagione di Tangentopoli è passata invano. Siamo corrotti come prima?
E forse, secondo alcuni, più di prima. Il vecchio Rino Formica sostiene che la corruzione sta minando le fondamenta stesse dello Stato, pericolo che nella storia italiana non si era corso né ai tempi del fascismo né dopo la sconfitta in guerra né per i tangentari dell’epoca di Craxi, che comunque molte volte rubavano effettivament per il partito. Il corpo del paese oggi sarebbe invece a disposizione di un branco di lupi, che ha un unico scopo: sbranarlo e divorarlo per il proprio tornaconto e chi se ne frega di quando non ci si sarà più niente da spartirsi perché intanto la rovina sarà diventata generale.
• Pure, certi filosofi teorizzano che la corruzione sia paradossalmente un olio utile a far scorrere meglio gli ingranaggi capitalistici, alla fine con beneficio generale…
Questa sarebbe la favola di Mandeville sulle api: l’alveare degli onesti che viveva molto peggio dell’alveare dei mascalzoni. La filosofia qualche volta può essere un veleno e credo che la situazione italiana sia pressoché fuori controllo. La Corte dei Conti ha lanciato, pochi mesi fa, altissime grida d’allarme a cui non ha fatto caso nessuno. Sempre Transparency, collocandoci – quanto a onestà – al 63° posto nel mondo (pessimo), ha calcolato che ogni punto di corruzione ci costa un 16% di investimenti dall’estero, mentre ogni diminuzione della corruzione vale, in termini di investimenti dall’estero, il 5% del Pil, cioè un’ottantina di miliardi. In concreto la corruzione ci costa intorno ai 60 miliardi l’anno. Può darsi che Mandeville fosse molto intelligente. Può anche darsi che nel 2010 abbia torto. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 7/7/2010]
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