Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La mafia cinese esiste ed esiste anche in Italia, come dimostra una grande operazione della Guardia di Finanza che ieri ha arrestato 17 cinesi e sette italiani, sequestratro 73 aziende, 181 immobili, 300 conti correnti, 166 auto di lusso, 780 mila articoli contraffatti. Ci sono anche 134 persone indagate a piede libero. Le accuse: associazione di stampo mafioso dedita al riciclaggio di denaro proveniente da evasione fiscale (2,7 miliardi di euro accertati fino ad ora), contraffazione, sfruttamento della prostituzione, ricettazione. Otto regioni coinvolte: Toscana, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Sicilia.
• Come si fa a dire che è ”mafia”, cioè un’organizzazione strutturata e complessa? Non potrebbe trattarsi della solita banda di furbi mascalzoni, magari un po’ internazionalizzata?
Il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, ha parlato con i giornalisti per commentare e spiegare l’operazione. Ha detto: «La potenza economica e commerciale della Cina è un fenomeno geopolitico che influenzerà la criminalità organizzata nei prossimi anni e che porterà le organizzazioni criminali di tutto il mondo a favorire i canali cinesi». Non è provato che vi sia già un collegamento stretto tra mafia italiana e cinese, ma certo c’è dalla Cina verso l’Italia un intenso traffico di clandestini e dall’Italia verso la Cina un ricchissimo traffico di denaro. anzi proprio il traffico di denaro ad aver orientato gli inquirenti: una certa agenzia Money2Money, con sede a Bologna e sportelli sparsi su tutto il territorio nazionale, si segnala perché riceve una quantità di versamenti da 1990 euro circa, una somma appena al di sotto dei duemila euro…
• Che succede a quota 2000 euro?
Le nuove norme antiriciclaggio impongono un limite ai singoli trasferimenti di duemila euro. Chi vuole fare il trasferimento senza permesso di soggiorno viene poi indagato. E insomma questa Money2Money faceva capo a una famiglia di cinesi furbi, di nome Cai, che smuovevano i soldi attraverso una donna delle pulizie al loro servizio. La Money2Money era però stata fondata da una famiglia italiana, di nome Bolzonaro, e qui si vede un primo nesso tra noi e loro. Il cuore di tutto il sistema è naturalmente tra Firenze e Prato, dove prosperano decine di aziende cinesi che lavorano stoffe importate da laggiù e che rivendono poi il prodotto finito (jeans, magliette ecc.) sui mercati dell’Est. Un ciclo economico che considera il nostro Paese solo terra di passaggio, ma che intanto sta distruggendo il tessuto produttivo di Prato…
• In un’altra conversazione lei mi ha spiegato che il sindaco di Prato si stava adoperando perché le aziende cinesi legali usassero almeno tessuti nostri…
E’ un’iniziativa che per ora si è arenata. I rapporti con Pechino sono anzi peggiorati. Il nuovo ambasciatore Ding Wei è andato a Prato venerdì scorso e ha avuto un colloquio piuttosto tempestoso col prefetto della città, signora Maria Guja Federico, e col sindaco Roberto Cenni (centro-destra). L’ambasciatore deve avere esagerato in arroganza, perché la Lega cittadina ha chiesto ufficialmente a Maroni di intervenire su Pechino perché questo ambasciatore sia richiamato in patria.
• Che cosa era successo?
Ding Wei s’è lamentato dei troppi controlli a cui sono sottoposte le aziende cinesi, s’è detto preoccupato per la sicurezza dei suoi connazionali… Figuriamoci, negli ultimi giorni ci sono stati, a Prato, tre ammazzamenti tra cinesi, l’interprete che aiuta i carabinieri è stato aggredito all’uscita della discoteca Siddharta. Il sostituto procuratore Laura Canovai ha detto che «la comunità cinese non ci aiuta, non collabora con le istituzioni», l’unico cinese iscritto alla Confindustria ha raccontato ai cronisti che forse non c’è ancora stato lo sbarco in Italia della mafia cinese, però «tanti giovani sono sbandati, non si rendono nemmeno conto di dove vivono, anzi pensano di essere in Cina».
• Quindi?
Ha scritto Dario Di Vico sul Corriere della Sera: «Dietro gli omicidi e i ferimenti di questi giorni c’è la realtà del distretto tessile parallelo, di una Prato che si lecca le ferite della sua industria declinante e vede invece fiorire il business dei confezionisti cinesi nell’apoteosi dell’economia sommersa: ogni giorno aprono 4 aziende cinesi e 2 chiudono, partite Iva vanno e vengono, un giro d’affari di 2 miliardi di euro per più della metà in nero». Tutto questo provoca un flusso di denaro verso la Cina di 1,2 milioni al giorno, cioè di 500 milioni l’anno. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 29/6/2010]