Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Un punto di sofferenza del mondiale di calcio è capire se Mandela sarà o non sarà presente all’inaugurazione, domani alle 16, in occasione di Sudafrica-Messico. Il nipote Nkosi Zweliveilile ha detto che suo zio verrà e si intraterrà per quindici minuti con i giocatori. Poi tornerà subito a casa. Altri parenti – per esempio la nipote Mandla Mandela - dicono che Mandela è troppo vecchio e malato, non gli si può chiedere questo sforzo. Il portavoce della Fondazione Mandela, che aveva in un primo momento smentito un troppo ottimista Blatter, dice adesso che probabilmente il grande leader nero ci sarà, ma la decisione finale verrà presa la mattina dell’11 giugno, guardando con attenzione le sue condizioni fisiche.
• Perché tutti questi dubbi?
Mandela è nato nel 1918, cioè ha 92 anni. stanco e malato. Vive in carrozzella. Da mesi non compare più in pubblico. D’altra parte, se il Sudafrica ha il Mondiale lo deve a lui, oltre che all’ostinazione di Blatter. Mandela è anche un grande uomo di sport: patito di boxe e di Muhamad Alì (che lo adora a sua volta), in galera a Robben Island gli vietarono di giocare a calcio (era un centrocampista con inclinazione alla copertura) e per non fargli vedere le partite giocate dagli altri detenuti issarono un muro davanti alla sua cella.
• Questo Mandela è un grand’uomo perché ha lottato e vinto contro il razzismo, vero?
Fino al 1994 il Sudafrica è stato governato da una minoranza bianca, che rappresentava non più del 15% della popolazione. Il sistema era quello dell’apartheid. Il significato della parola è intuitivo, ma è importante sapere che nel 1948, quando i razzisti del National Party vinsero le elezioni, l’apartheid diventò un codice: i bianchi e i neri dovevano abitare in zone diverse e non potevano salire sugli stesi autobus, ai neri sarebbe stato impedito di vivere in certi posti e, per sloggiarneli, vennero istituiti i ”bandustan”, territori semi-indipendenti in cui i neri vennero costretti a trasferirsi. Poi: era reato il rapporto sessuale misto, era vietato il matrimonio misto, certe aree delle città erano interdette ai neri, non solo i neri non potevano usare gli stessi autobus dei bianchi, ma non potevano neanche camminare sullo stesso marciapiede, sedere nella stessa sala d’aspetto o sull’orlo di una fontana se ci si era già accomodato un bianco. Vennero predisposti ostacoli per rendere più difficile l’istruzione dei neri. Non si contavano naturalmente le discriminazioni sul posto di lavoro. L’elenco delle ingiustizie patite dalla popolazione di colore è praticamente infinito.
• Mandela si oppose a tutto questo?
Mandela fece la lotta al razzismo bianco, dopo essersi divincolato dalla tirannia della sua tribù nera (è un ottentotto-bantu dei Thembu): volevano imporgli la sposa, scelta dal suo capo-tribu, e per non assogettarsi Mandela scappò dalla sua città natale, Transkei, a Johannesburg. Si iscrisse a Legge e al partito dell’African National Congress (Anc), e quando l’apartheid venne codificata prestò gratuitamente la sua opera di avvocato ai tanti neri perseguitati dai governativi. Arrestato nel 1956, poi assolto, poi nel gruppo che appoggiava la lotta armata contro il National Party, al punto di diventarte comandante dell’Umkhonto we Sizwe, la ”Lancia armata” dell’Anc. Sabotatore, guerrigliero, reclutatore, addestratore. Era un uomo alto, elegante, pieno di fascino. Ha avuto tre mogli e l’ultima, l’attuale, l’ha sposata che aveva 80 anni. Nel 1962 lo presero, grazie a una soffiata della Cia. Entrò in carcere e ci restò 27 anni.
• E non è impazzito?
No, anzi sappiamo che si fecero sedurre dal suo spirito anche parecchi secondini bianchi, che Mandela considerava dei carcerati come lui. Dalla galera, come capita sempre a questi grandi leader, continuò a condurre il suo popolo. Gli offrirono a un certo punto la libertà in cambio dell’impegno ad abbandonare la lotta armata. Lui si rifiutò.
• Cone fece a tornar libero?
Le pressioni internazionali, sempre più forti. Le manifestazioni di protesta del suo partito. Un diverso clima politico anche in Sudafrica. L’11 febbraio del 1990 il presidente de Klerk diede ordine che lo lasciassero andare. Quattro anni dopo si svolsero le prime elezioni libere, cioè – come si dice – ”multietniche”. L’avversario di Mandela era proprio l’uomo che lo aveva liberato, Frederik Willem de Klerk, un bianco. Mandela vinse alla grande e volle poi de Klerk come vicepresidente. Era cominciata una grande opera di riconciliazione nazionale, tra bianchi e neri e anche all’interno degli stessi neri, divisi in 15 gruppi etnici e non esenti, a loro volta, da pulsioni razziste. Un lavoro che continua anche adesso che Mandela si è ritirato e a cui la festa del pallone, che comincia domani, dovrebbe dare un grande contributo. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 10/6/2010]
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