Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La Apple ha tirato su Wall Street l’altro giorno, in una seduta che poteva risultare drammatica. E i dati dell’azienda sono impressionanti: 15,68 miliardi di fatturato e un utile netto di 3,38 miliardi nel quarto trimestre 2009, contro gli 11,68 e i 2,26 dell’anno scorso. Margine del 40,9% contro il 37,9 dello stesso trimestre del 2008. Sono stati venduti 3,36 milioni di computer Macintosh durante questi tre mesi, vale a dire +33% su dodici mesi prima. Quanto agli iPhone: sono andati via 8,7 milioni di pezzi, il doppio del 2008. Sono diminuite solo le vendite di iPod, 21 milioni di apparecchi con un calo dell’8 per cento. Ma quello dell’iPod è forse un mercato ormai quasi maturo. Che cosa vorrà fare adesso Steve Jobs con l’iPad, l’ultimo prodotto della ditta di Cupertino? Jobs l’ha presentato ieri a San Francisco e di quella cerimonia, attesissima come sempre, riferiamo qui sotto.
• A proposito di Steve Jobs: non gli avevano pronosticato un cancro incurabile, a causa del quale doveva morire in pochi mesi?
Sì, gli hanno poi trapiantato il fegato a metà dello scorso anno e ieri sera, sul palcoscenico dello Yerba Buena Center (il solito posto), Jobs era in gran forma. Si rigirava tra le mani questo tablet e pareva un giovanotto che ha scoperto la pietra filosofale, il gioco dei giochi. Non si meravigli della resurrezione di Steve, è uno che è già risorto almeno una volta.
• Sì?
Sì. Nel 1985 Jobs litigò con l’amministratore delegato di Apple, John Sculley, e lasciò l’azienda mettendo in piedi una nuova società, di nome NeXT. Un flop clamoroso, per combattere il quale acquistò la Pixar da George Lucas, quello che aveva diretto Guerre stellari. Grazie alla Pixar, nel ”95 ottenne un contratto con la Disney per Toy Story, successo clamoroso cui seguì quello di A Bug’s Life. Rispetto ai tempi dei computer non era però una gran vita. Ma, senza di lui, andava male anche la Apple che nel ”96, pur di riaverlo in servizio, gli comprò la NeXT. Steve accettò lo stipendio simbolico di un dollaro l’anno. Massimo Gaggi ha raccontato così il suo ritorno in azienda: «Si presentò con scarpe da ginnastica, pantaloni corti, la barba di alcuni giorni. Convocò i capi area con l’aria di uno che vuole continuare un lavoro lasciato a metà la sera prima, e chiese loro a bruciapelo: “Cos’è che non funziona in questo posto?”. Alla seconda risposta impacciata interruppe l’interlocutore urlando: “I prodotti! I prodotti non attirano, non sono sexy, fanno schifo!”».
• Ah, è uno che urla?
Urla con i suoi in modo terribile. presuntuoso, geloso, irascibile. Tira la roba addosso alla gente. Chi deve presentargli un prodotto nuovo sa che sta per giocarsi tutto e bussa al suo ufficio con la faccia del condannato a morte. A domanda, Steve ha risposto: «Il nodo è: si innamoreranno della Apple? Perché se si innamoreranno della Apple, tutto il resto verrà da sé».
• Quante lauree ha uno così?
Jobs non è laureato. E non è un tecnico, non è un ingegnere, non è un programmatore, non è uno scienziato, non è un imprenditore e non è uno smanettatore come lo era Bill Gates. Ha cavalcato due destrieri invincibili: la comunicazione e il design. autore di parecchi slogan (’Think different”, “Insanely Great” che deve aver ispirato il Be Stupid con cui si presenta adesso Diesel), ma il tormentone che lo definisce meglio è il Non mi piace con cui tormenta i suoi. «Non mi piace, non mi piace, non mi piace!». Direi che per Jobs comunicare è prima di tutto «non fare come tutti gli altri». Quando Ibm lanciò il suo personal computer, nel 1981, Apple comprò una pagina del Wall Street Journal per pubblicare questo annuncio: «Benvenuta Ibm. Davvero. Benvenuta nel mercato più importante e eccitante. Congratulazioni per il tuo primo personal computer». In privato Jobs si mostrò sprezzante: «La più grande azienda informatica del mondo ha creato un apparecchio che non regge il confronto con quello che noi producemmo nel garage di casa mia sei anni fa». Poi chiese ai suoi un computer bello come una Porsche e portò i suoi designer a visitare un’esposizione dell’arte Tiffany a San Francisco, reclutò lo scienziato-musicista Jef Raskin, ecc. Alla fine nacque il Macintosh, detto Mac, col quale Apple introdusse la prima versione di icone e finestre che sarebbero diventate universali col software Windows di Microsoft. Quando poi si trattò di lanciarlo, il Mac, lo spot venne girato da Ridley Scott (Blade Runner) e venne messo in onda una sola volta, durante il SuperBowl: dei robot-schiavi con lo sguardo fisso su uno schermo gigante erano indottrinati dal Grande Fratello, accomunato all’establishment capitalistico Ibm. Una ragazza atletica prendeva la rincorsa scagliando un martello che frantumava lo schermo. Grazie a Apple, concludeva lo spot, «il 1984 non sarà il 1984 del romanzo di Orwell».
• Errori?
Forse questo iPad. Con l’aria di voler essere nello stesso tempo computer, notebook, e-book, telefonino e non so che altro, potrebbe invece risultare un coso né carne né pesce. La Borsa l’ha punito facendo perdere al titolo il 2 per cento. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 28/1/2010]
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