Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
C’è un altro morto provocato dal dissesto del territorio, una ragazza di 15 anni che a Ischia, sul lungomare di Casamicciola, stava seduta in macchina vicino alla madre. Una frana è venuta giù dal monte che sovrasta il porto, ha travolto l’automobile, l’ha sbattuta in mare. Anna De Felice, la giovanetta che stava andando a scuola presso l’Istituto Alberghiero, è morta annegata. La madre Aurora, portata al reparto Medicina del Rizzoli – l’ospedale dell’isola – non è in pericolo di vita. Ci sono poi altri venti feriti, due dei quali in condizioni gravi
• Com’è andata?
Pioveva da molti giorni e il terreno di Ischia, imbevuto d’acqua, s’è fatto particolarmente instabile. Lo ha spiegato bene Franco Ortolani, geologo e direttore del dipartimento di pianificazione e scienza del territorio dell’università Federico II di Napoli. In quella zona i versanti collinari sono molto ripidi e il suolo particolarmente spesso. Quando le precipitazioni sono forti, il suolo diventa ancora più instabile per le forti pendenze. E un distacco di pochi metri cubi di fango può dare inizio a una vera e propria valanga che scende velocissima a decine di chilometri l’ora. Ogni metro cubo di questo fango può arrivare a pesare fino a 1.500 chilogrammi. Se pensiamo che un tir vuoto pesa intorno alle otto tonnellate, il calcolo è presto fatto: bastano cinque o sei metri cubi di questo fango per far precipitare a valle l’equivalente di un tir. Con quali conseguenze è facile immaginare.
• Ma a Ischia non c’era stata un’altra disgrazia come questa un po’ di tempo fa?
Sì, la cosa che fa più rabbia è che Ischia è un altro di quei posti dove queste cose succedono spesso. Il 30 aprile del 2006, all’alba, una frana di fango precipitò su una casa del Monte Vezzi, tra Barano e Forio. Dentro c’erano sei persone e ne vennero estratte vive solo due. Ortolani dice che tutta l’area vesuviana è a rischio e che non se ne esce se non si coinvolgono nella prevenzione le comunità locali.
• Cioè, i Comuni o le Provincie o le Regioni devono cominciare a spendere soldi per difendere il territorio.
Ortolani parla anche di una consapevolezza diffusa che modifichi i comportamenti della popolazione. Per esempio inducendo le famiglie a lasciar libere le aree pericolose, dove le case e le altre opere di urbanizzazione sono un moltiplicatore del pericolo. Ma sono discorsi che non passano, come avevamo già visto a Sarno undici anni fa e, quest’anno, all’Aquila e a Messina. Il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, anche stavolta se l’è presa con le amministrazioni locali. La frana «da un lato mi fa grande rabbia, dall’altro mi rattrista moltissimo, perché significa che tutto il lavoro che è stato fatto fino a oggi evidentemente non è stato sufficiente. Lo sapevamo - ha aggiunto - Se non si fa questo grande progetto di manutenzione del territorio e di messa in sicurezza di tutto il nostro ambiente continueremo a dover subire questo genere di situazioni. La prevenzione è fondamentale. Fino a quando non faremo prevenzione seria in campo antisismico e del rischio idrogeologico dovremo continuare a confrontarci con questo genere di tragedie. La Protezione civile può garantire un intervento immediato, ma ci vuole progettazione, visione di lungo respiro in modo da cominciare a fare una serie di opere di prevenzione».
• Quanto ci vorrebbe per mettere tutto in sicurezza?
I comuni italiani a rischio idrogeologico sono 5.581 e la metà di questi non fa neanche la manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua. Per salvaguardare il territorio ci vorrebbe un investimento di 43 miliardi.
• Perché le amministrazioni locali non investono su questo?
Perché la difesa del territorio è invisibile e non porta voti. Cercando in archivio ho trovato questo pezzetto, che le cito integralmente: «Il dissesto idrogeologico italiano ha fatto, in mezzo secolo, oltre tremila vittime, ha devastato un Comune su due e ha provocato 150.000 miliardi di danni. La bolletta pagata dagli italiani per le terapie intensive del giorno dopo ammonta a oltre quattromila miliardi l’anno, pari a 200 mila miliardi dal dopoguerra, una decina di miliardi al giorno. Il ministro dei Lavori pubblici lo scorso anno rilevava una assai incompleta attuazione della fondamentale legge per la difesa del suolo, la n. 183 risalente al 1989. Ogni anno l’entità del danno idrogeologico ammonta a circa tremila miliardi, coinvolgendo nel periodo postbellico il 55% dei Comuni italiani, con una perdita di più di tremila vita umane». Adattando i prezzi dalle lire all’euro è un discorso che potremmo riprodurre identico oggi. Si tratta infatti di un’analisi del 1998, un’epoca dalla quale è cambiato molto poco. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 11/11/2009]
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