Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Gli studenti stranieri iscritti nelle scuole italiane sono quest’anno 550 mila, il 5,6 per cento del totale dei ragazzi che studiano. Se si guardano i dati di dieci anni fa si vede che questo numero è cresciuto di otto volte e mezzo. Crescita continua: nel 2000 era straniero ancora solo il 2 per cento degli iscritti.
• Quante scuole esistono senza alunni stranieri?
Una su tre. Poi ci sono i casi estremi, tipo la scuola elementare Pisacane di Roma: il 75 per cento degli alunni sono figli di immigrati. Naturalmente bisogna tenere presente che l’espressione “figli di immigrati” significa un’enorme mescolanza di etnie, lingue, credenze, costumi, religioni. Viaggiamo verso il modello americano. L’11 settembre del 2001 gli attentati alle Twin Towers fotografarono questo dat nelle due torri lavoravano i rappresentanti di ottanta popoli diversi. Dei nostri immigrati il 43,7 per cento viene da paesi europei, ma non della Ue, con una presenza crescente di albanesi (+9.000 rispetto all’anno scorso). Altra grossa etnia in crescita è quella rumena (+11.000). Per la prima volta quest’anno i ragazzi stranieri iscritti nei licei e nelle altre scuole secondarie sono più di quelli iscritti alle elementari (19,4% del totale degli stranieri contro il 19,2%). In ogni cas le crescita è generalizzata e riguarda tutte le scuole di ogni ordine e grado.
• Ma come fanno in classe quando arriva un bambino senegalese o ecuadoregno e magari non sa una parola di italiano?
Ci sarebbero i cosiddetti “docenti facilitatori”, quelli che lavorano per favorire l’integrazione. Purtroppo, mentre gli alunni aumentano, gli insegnanti di sostegno diminuiscono. A Milano s’è passati dai 240 del 2001-2002 (che erano già meno di quelli dell’anno precedente) ai 155 del 2002-2003. L’Ismu – l’Istituto per le Iniziative e gli studi sulla multietnicità – non fa che lanciare grida d’allarme. Ma non succede niente. Il punto è che non sappiamo che cosa vogliamo fare di questi ragazzi. Sono futuri cittadini italiani? gente di passaggio che, un domani, tornerà a cercar fortuna nel suo paese? Il nostro comportamento dovrebbe dipendere dalla risposta a questa domanda. La sensazione invece è che non ci si sia fatti nessuna domanda.
• All’estero come fanno?
In Francia il processo di integrazione prevede l’abbandono della propria identità di partenza. Filippini o cinesi, i ragazzi nel momento in cui varcano il confine devono considerarsi francesi. Anzi: “buoni francesi”. lo stesso modo di ragionare che hanno gli americani. In Germania – dove il numero degli studenti stranieri è il più alto in assoluto (10%) – si applica il principio “né integrazione né segregazione”. Li tengono, cioè, a una certa distanza e incoraggiano il mantenimento di legami con la madre-patria. Idem in Inghilterra. Non saprei dire quale dei due criteri è migliore e anche qui, probabilmente, dipende da strategie più generali. Il punto è che un criterio bisognerebbe averlo e noi non ce l’abbiamo. Procediamo, direi, a casaccio.
• La presenza di stranieri in classe non ostacola l’istruzione degli altri? Magari i programmi vanno più lentamente.
Il problema esiste. A Milano, la città con più immigrati e quindi che ha più scolari stranieri (35 mila ragazzi), molte famiglie sono scappate nelle scuole private perché in quelle pubbliche si studiava ancora meno del solito. C’erano classi dove la metà degli alunni non era italiana. Il guaio per questi genitori è che, naturalmente, le scuole private possono costare anche ottomila euro l’anno.
• E gli studenti stranieri che dicono delle nostre scuole?
Ah, Stefania Miretti, la bravissima giornalista della Stampa, è andata all’istituto professionel Birago di Torino per chiederglielo. Senta qua. Sergej, moldavo, in Italia da quattro anni: «In Moldavia non puoi certo fare quello che vuoi, c’è severità. Qua si gioca col telefonino durante le lezioni, là se lo porti in classe vieni punito troppo duramente. Qui i muri sono sporchi, là i ragazzi si occupano di tenere la scuola in ordine e a fine anno tocca a loro imbiancare le pareti». Ciprian, romeno, elementari in Romania: «Là c’è più rispetto per i professori, per esempio ci si alza in piedi quando entrano in classe, e anche il linguaggio che si usa con loro è meno libero, mentre qui li tratti come amici e li sfotti pure. Qua in prima superiore si fa la matematica che là sta nel programma di prima media; e c’è più pulizia nelle aule, ci sono le tende alle finestre e anche i fiori nei vasi» Issam, marocchino, nato in Italia: «I miei amici che vivono là mi dicono che i professori sono severi e in classe ci sono meno distrazioni». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 15/9/2007]
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