Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il tema di maggior successo, ieri alla prima prova degli esami di maturità, è stato quello legato al “villaggio globale”: lo hanno svolto il 30 per cento degli studenti. I quattro “saggi o articoli di giornale” dedicati alla nascita della Costituzione oppure al fatto che la convivenza civile si basa su “giustizia, diritto, legalità” o anche ai “luoghi dell’anima” nell’arte o infine alla nascita della “scienza moderna” hanno convinto, tutti insieme, il 57 per cento degli studenti. Scarso successo per il tema storico sull’immigrazione (scelto dal 6,9 per cento degli studenti) e per quello su Dante, scelto dal 5,7 per cento dei ragazzi e ultimo in classifica. Gli studenti degli istituti professionali hanno protestato perché nel loro corso Dante non si fa. E anche i tecnici si sono lamentati: cessano di studiare Dante al quarto anno.
• Ho letto su Internet che questo tema conteneva un errore.
Sì, un errore grave, che ha provocato una lettera indignata dei commissari dell’Istituo Angiolo Poliziano Montepulciano (Siena): nella traccia si sostiene che San Tommaso descrive a Dante le figure di San Francesco e di San Domenico. Invece, San Tommaso racconta ed esalta la vita di San Francesco d’Assisi nel canto XI, mentre San Domenico viene lodato da San Bonaventura nel canto XII. Non è uno sbaglio da poco per questa ragione: San Tommaso, che parla bene di San Francesco, è un frate domenicano; San Bonaventura, che parla bene di San Domenico, è un frate francescano. Dante cioè ha fatto ricorso qui, per ragioni che sarebbe troppo lungo elencare, a una figura retorica che si chiama “chiasmo”. I “chiasmi” li adoperiamo anche adesso. Per esempio: «Non bisogna vivere per mangiare, ma mangiare per vivere». Oppure: «Chi non ha denti ha pane, chi non ha pane ha denti». Si incrociano cioè due elementi del discorso contrapposti. La pubblicità lo fa di continuo. Questo sarebbe stato un bel tema: il chiasmo in Dante e negli spot pubblicitari. Oppure: artifici retorici in Dante e nei media. Accidenti.
• I temi non le sono piaciuti?
Io li ho trovati difficilissimi. Ma davvero i nostri ragazzi sono in grado di affrontare, credibilmente, argomenti simili? Non che fosse tutto chiaro, intendiamoci, e certi enunciati – se devo essere sincero – temo di non averli neanche capiti fino in fondo. Ma in ogni caso: l’aria ministeriale era da «adesso ti faccio vedere io». Mi sono ricordato che Bontempelli (mi pare che fosse Bontempelli) entrava in classe e diceva qualcosa come: «Fatemi un tema dove entrino una noce e un paio di scarpe». Non so.
• Lei che tema avrebbe fatto?
Ma intanto ho letto, sempre su Internet, un lunghissimo articolo della professoressa Mariangela Bastico, viceministro della Pubblica Istruzione e non parlamentare, che in mattinata avevo anche sentito da Emanuela Falcetti alla radio. Una donna molto simpatica. Dice questo: «La prova di italiano deve essere l’occasione per esprimere se stessi, le proprie attitudini ed interessi, le proprie conoscenze e la capacità di fare collegamenti logici ed analisi critiche». Càspita, troppe cose. E ne manca una: quando scrivi, sai mettere in fila tre parole oppure no?
• Sarebbe meglio fare i quiz?
No, l’idea del tema mi piace. Mi lasciano molto in dubbio i titoli, così pretenziosi, e lo stile con cui sono redatte le tracce. Sette tracce piene di polvere. Intanto il ministero poteva sforzarsi, lui per primo, di fare i «collegamenti logici», mostrando come tutti i temi prescelti sono connessi alla nostra vita di oggi (e lo sono). Tipo le figure retoriche di Dante e quelle della nostra pubblicità. Oppure la questione della «scienza moderna». Ecco il tema che forse avrei fatto: quello su Galileo.
• E che cosa avrebbe detto?
Che l’espressione «scienza moderna» presuppone l’esistenza di una «scienta antica». Che la «modernità» della scienza comincia quando, dopo aver formulato delle ipotesi, le si sottopongono a verifica sperimentale. Avrei poi fatto vedere che, da Galileo in poi, nessuna teoria è valida se non ha alle spalle dei solidi dati sperimentali di conferma. E nello stesso tempo avrei mostrato anche che nessun dato sperimentale è valido se non ha alle spalle una solida teoria che lo illumini. Chiasmi anche questi, alla fine. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 20/6/2007]
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