Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La presa di Ghouta da parte delle milizie siriane
La foto dell’altro giorno, quella dove si vede il bambino portato nella valigia...
• Già, in che parte del mondo siamo, in quel caso?
Siria. Sono immagini dell’esodo da Ghouta, reso possibile dai russi.
• In quel caso chi sta combattendo chi? Che cos’è Ghouta? In che modo i russi...
La capitale della Siria è Damasco. «Ghouta» è una parola araba che significa semplicemente «oasi». Nella parte orientale di Damasco, appena fuori della città, c’erano questi giardini... L’oasi, «Ghouta», non un’area trascurabile, ci sono città, ci vivevano quattrocentomila persone. Sette anni fa, il 15 marzo del 2011, vi fu una ribellione contro il regime di Damasco, che formalmente è un presidente, ma in realtà è un dittatore. Un dittatore sanguinario, come sappiamo, che gli americani avrebbero voluto deporre, già al tempo di Obama, ma che i russi hanno difeso, perché Assad gli ha lasciato uno sbocco sul mare essenziale per loro, la base di Tartus, l’unica postazione militare di Putin sul Mediterraneo. Quindi Assad - dal punto di vista russo - non si tocca. Ma torniamo ai ribelli. In sette anni di lotta, erano arrivati alle porte della città, nell’oasi di Ghouta appunto, favoriti anche dalla confusione generale generata nell’area dall’altra guerra, quella dell’Isis, e dal conflitto mai sopito dei turchi contro i curdi. E però, sconfitto l’Isis e mentre i turchi stanno menando una nuova offensiva contro i curdi nella regione di Afrin, Assad con l’appoggio russo ha pensato di riprendersi Ghouta e di sconfiggere una volta per tutte i ribelli.
• Ci sta riuscendo?
Per forza. Oltre alle milizie sue e a quelle iraniane, c’è l’aviazione russa che bombarda. Impossibile resistere. Nel 2013, dopo due anni dall’inizio della rivolta e prima che intervenisse il califfo, Assad controllava appena il 30 per cento della Siria. Adesso ne ha riconquistato il 70%. Nella zona che chiamiamo Ghouta, ci sono ancora due piccole sacche di resistenza. A Douma sono asserragliati gli islamici, che sono però propensi a trattare una via di fuga. Ad Arbin, Zamalka, Jasrin resistono quelli del gruppo Faylaq al-Rahman, filoturchi. Erdogan, il dittatore turco, è nemico dichiarato di Assad, si rifiuta di discutere con i diplomatici di Damasco e tratta solo con gli Stati Uniti, i quali, sia pure debolmente, si sono schierati con i ribelli. Ma Trump è piuttosto disinteressato alle vicende mediorientali da quando lo shale oil, cioè il petrolio ricavato dalla frattura delle rocce, ha aiutato l’America a rendersi indipendente su questa voce di spesa.
• Quanta gente è morta in Siria in questi sette anni?
Più di 350 mila persone. Di queste, un terzo è formato da civili. I bambini rimasti vittime dei combattimenti sono ventimila. Una marea di profughi, tra cui quel povero padre che trascina il suo bimbetto assonnato in una valigia, si sta riversando sulle aree vicine. Ventimila, solo tra mercoledì e giovedì. I bombardamenti dei russi e gli attacchi dell’esercito siriano sono ricominciati lo scorso 27 febbraio, e da allora non si sono mai fermati. I civili morti a causa della ripresa dei combattimenti in questo lasso di tempo sarebbero 1.500. I civili si trovano in mezzo, tra le milizie siriane e i ribelli, e subiscono i raid russi. Sparano sui civili anche i ribelli, l’altro giorno hanno fatto fuoco su un gruppo di disperati che volevano scappare. Si sa che per dare il via libera all’esodo si fanno pagare.
• E la guerra dei turchi a nord?
Sì, intorno alla città di Afrin. È territorio siriano, ma a Erdogan la cosa non interessa: qui stanno i curdi dell’Ypg che Erdogan considera terroristi, forse non a torto. In ogni caso: quello che i turchi vogliono evitare è la nascita, alla fine dei negoziati relativi all’area liberata dall’Isis, di uno stato curdo. Quindi, pensa il dittatore di Ankara, i curdi vanno cacciati prima. Giordano Stabile, della Stampa, ha intervistato l’ambasciatore turco a Roma, Murat Salim Esenli, e l’ambasciatore ha spiegato che la guerra di Afrin viene combattuta dai turchi in nome della Nato, dato che distruggere l’Ypg è, secondo loro, dare il colpo di grazia al terrorismo islamico. «Lo ammette anche un documento della Cia del 2017. Lo Ypg non si è fatto scrupolo di lasciar scappare quattromila combattenti e famigliari dell’Isis da Raqqa, e continua a lasciar filtrare i terroristi attraverso i suoi territori verso la Turchia». La preoccupazione turca è che in Occidente, dove Erdogan non gode di buona stampa, si faccia un tutt’uno tra la guerra di Afrin e quella che si sta combattendo a Ghouta. E in effetti i primi nemici del dittatore di Damasco sono proprio i turchi.
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