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 2017  dicembre 07 Giovedì calendario

In Italia

Il Presidente della Repubblica è Sergio Mattarella
Il Presidente del Senato è Pietro Grasso
Il Presidente della Camera è Laura Boldrini
Il Presidente del Consiglio è Paolo Gentiloni
Il Ministro dell’ Interno è Marco Minniti
Il Ministro degli Affari Esteri è Angelino Alfano
Il Ministro della Giustizia è Andrea Orlando
Il Ministro dell’ Economia e delle Finanze è Pier Carlo Padoan
Il Ministro di Istruzione, università e ricerca è Valeria Fedeli
Il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali è Giuliano Poletti
Il Ministro della Difesa è Roberta Pinotti
Il Ministro dello Sviluppo economico è Carlo Calenda
Il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali è Maurizio Martina
Il Ministro di Infrastrutture e trasporti è Graziano Delrio
Il Ministro della Salute è Beatrice Lorenzin
Il Ministro di Beni e attività culturali e turismo è Dario Franceschini
Il Ministro dell’ Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare è Gian Luca Galletti
Il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione è Marianna Madia (senza portafoglio)
Il Ministro dei Rapporti con il Parlamento è Anna Finocchiaro (senza portafoglio)
Il Ministro dello Sport è Luca Lotti (senza portafoglio)
Il Ministro della Coesione territoriale e Mezzogiorno è Claudio De Vincenti (senza portafoglio)
Il Governatore della Banca d’Italia è Ignazio Visco
Il Presidente di Fca è John Elkann
L’ Amministratore delegato di Fca è Sergio Marchionne

Nel mondo

Il Papa è Francesco I
Il Presidente degli Stati Uniti d’America è Donald Trump
Il Presidente del Federal Reserve System è Janet Yellen
Il Presidente della BCE è Mario Draghi
Il Presidente della Federazione russa è Vladimir Putin
Il Presidente del Governo della Federazione russa è Dmitrij Medvedev
Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è Xi Jinping
La Regina del Regno Unito è Elisabetta II
Il Premier del Regno Unito è Theresa May
La Cancelliera Federale di Germania è Angela Merkel
Il Presidente della Repubblica francese è Emmanuel Macron
Il Primo Ministro della Repubblica francese è Édouard Philippe
Il Re di Spagna è Felipe VI di Borbone
Il Presidente del Governo di Spagna è Mariano Rajoy Brey
Il Presidente dell’ Egitto è Abd al-Fattah al-Sisi
Il Primo Ministro di Israele è Benjamin Netanyahu
Il Presidente della Repubblica Turca è Recep Tayyip Erdogan
Il Presidente della Repubblica Indiana è Ram Nath Kovind
Il Primo Ministro della Repubblica Indiana è Damodardas Narendra Modi
La Guida Suprema dell’ Iran è Ali Khamenei
Il Presidente dell’ Iran è Hassan Rohani

Trump è andato avanti su Gerusalemme, è un passo per la pace come sostiene lui?

Dobbiamo continuare a occuparci di Israele e della scelta ufficializzata (in diretta tv con un brevissimo discorso) da Donald Trump di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, perché sulla questione sono intervenute Iran e Turchia, e si tratta di interventi preoccupanti.

• Che cosa hanno detto?
Cominciamo dall’Iran. Ecco la dichiarazione di Ali Khamenei, la guida suprema: «(La dichiarazione americana è un) segno di incompetenza e fallimento. La Palestina sarà libera e i palestinesi vinceranno». Il presidente Rohani, che di solito passa per un moderato: «Non tollereremo una violazione dei luoghi santi musulmani». Ecco la posizione dei turchi. Bekir Bozdag, il vicepremier: «Questa scelta potrebbe far precipitare la regione in uno scontro senza fine». L’Onu critica la decisione e Hamas minaccia: «Aperte le porte dell’Inferno». Ha parlato anche il Papa, invitando a lasciare le cose come sono, cioè la città divisa con gli arabi a est e gli israeliani a ovest e le tre religioni padrone di pregare nei loro luoghi sacri, la Spianata per i musulmani, il Muro del Pianto per gli ebrei, la via Dolorosa per i cristiani. «Gerusalemme è una città unica — ha detto Francesco — sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani, e ha una vocazione speciale per la pace».


• Molti speravano che Trump non prendesse una decisione tanto impegnativa in tempi così rapidi.
Era un punto di speranza. Finché non si annuncia ufficialmente la decisione, si può ancora negoziare e il presidente americano non è nuovo a qualche marcia a zig zag. E, in effetti, un annuncio in tv non è ancora un atto ufficiale. Ma il presidente ha accompagnato la cosa mostrando la firma su un documento con cui si riconosce formalmente Gerusalemme capitale e con il quale si conferma la deroga alla legge votata dal Congresso nel 1995. La deroga obbliga la Casa Bianca a traslocare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme entro sei mesi. A Gaza già ieri erano state date alle fiamme bandiere americane e d’Israele. Ma lui ha deciso di tirare dritto, si è presentato nella Diplomatic reception room della Casa Bianca e ha detto: «È ora di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, è l’inizio di un nuovo approccio al conflitto israelo-palestinese (...) È una condizione necessaria per raggiungere la pace (...) Oggi riconosciamo l’ovvio: Gerusalemme è la capitale d’Israele». 


• E il premier israeliano Benjamin Netanyahu come mai sta zitto?
Se ci pensa, è normale che non parli o parli il meno possibile. Si tratta di non buttare benzina sul fuoco e soprattutto non serve assolutamente a niente parlare. Ieri Netanyahu s’è trovato in una conferenza stampa organizzata dal quotidiano Jerusalem Post, e i giornalisti, naturalmente, l’hanno pressato per strappargli qualche dichiarazione. Il massimo che hanno ottenuto è questo: «L’identità storica e nazionale di Israele sta ricevendo riconoscimento, soprattutto oggi». Su Netanyahu possiamo dire ancora quanto segue: l’idea dell’ambasciatore americano a Tel Aviv, avvocato David Friedman, secondo cui in Palestina ci vuole uno stato solo, e non due, guidato dagli israeliani è di sicuro condivisa da Netanyahu. L’anno scorso, proprio durante il transition period di Trump, il comune di Gerusalemme, di sicuro ispirato dal premier, ordinava di costruire 618 case nella parte orientale della città, quella araba, case destinate agli israeliani. Era una mossa coerente con la politica degli insediamenti, che Tel Aviv persegue tenacemente, quella di mandare coloni in terra palestinese e puntare agli effetti di lungo termine. In Cisgiordania è una pratica comune, i coloni recintano una proprietà, la coltivano, la fanno prosperare e la trasformano di fatto in un pezzo di Israele che cresce in territorio palestinese. La comunità internazionale non è d’accordo, ma di solito evita di pronunciarsi. Però sulla storia degli insediamenti a Gerusalemme Est, il consiglio di sicurezza dell’Onu si pronunciò e Obama, allora ancora in carica, lasciò che Israele venisse condannato per la sua politica degli insediamenti. Non era mai accaduto in passato. Con Donald Trump, tutto è cambiato. E non è l’unica modifica del quadro internazionale ad aver giocato in favore della radicalizzazione dello scontro.


• Che altro è successo?
C’è un uomo nuovo anche a Riad, cioè in Arabia Saudita, il principe Salman, quello che ha messo in galera quasi tutti i suoi parenti. Salman, a differenza dei suoi predecessori, è in buoni rapporti con Israele perché il suo nemico principale è l’Iran sciita, lo stesso di Netanyahu. Senza che alla cosa si desse troppa pubblicità, lo scorso ottobre il principe saudita è addirittura andato a trovare Netanyahu a Tel Aviv.


• E Trump ha anche denunciato il trattato sul nucleare di Barack Obama con gli iraniani...
Già. C’è un formidabile nemico che incoraggia la formazione di un fronte comune. Proprio l’Iran e la sua fede sciita.
(leggi)

Dai giornali