Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Lo sconsolante rapporto del Censis sull’Italia
Un altro quadro sconsolato del nostro paese ci viene restituito dal Censis, che conferma sì i numeri della ripresa conditi con la buona notizia di una ripartenza dei consumi. Però in un contesto generale di rancore, di nessuna speranza per il futuro e anzi di timore di star sempre peggio, di giovani che scappano all’estero, di immigrati pochissimo istruiti perché quelli più istruiti scelgono altri paese. E col mito del posto fisso, idea che nasconde la vecchia magagna ideologica italiana, quella secondo cui è lo Stato a dover risolvere ogni minimo problema inidivudale, mentre a noi cittadini non compete che di aspettare a bocca aperta che ci servito il pasto bell’e pronto.
• Non è troppo nero, questo quadro? In definitiva la ripresa c’è e i consumi sono ripartiti.
La Camusso, qualche giorno fa, ha definito iniquo un sistema pensionistico che si basa sulla compatibilità finanziaria. Dichiarazione figlia di quella di Lama di un mezzo secolo fa, quando si sosteneva che il salario era una variabile indipendente dal profitto. Del resto la metà degli iscritti al sindacato, come documenta anche l Censis, è formata da gente che sta in pensione ed è uscita dal ciclo produttivo. E il sindacato, spiega ancora il Censis, perde iscritti, 180 mila tessere in meno tra il 2015 e il 2016. Questa percentuale riflette la crisi in genere dei corpi intermedie, cioè fa parte del dissolvimento in corso del vecchio sistema. Il vecchio sistema si dissolve senza che si veda come sarà il nuovo. E gli ultimi capaci di farcelo vedere (ma il Censis non si spinge fino a questo punto) sono i politici.
• Parliamo di questi numeri della ripresa e dei consumi.
Niente, sarebbero cifre consolanti. Corre la produzione industriale, con performance che superano anche quella tedesca, volano gli investimenti, almeno quelli privati. I consumi negli ultimi tre anni sono cresciuti del 4%. Si spende di nuovo in cultura, parrucchieri, prodotti cosmetici e trattamenti di bellezza, pacchetti vacanze (il 10,2% in più nel biennio 2014-2016). «Torna il primato del benessere soggettivo» col problema però che a far levitare queste cifre è una minoranza, formata da quelli che sono riusciti a superare la crisi. La maggioranza è invece ancora lì, che aspetta di capire che destino le sarà riservato dal futuro. E non avendo più ideologie consolatorie da praticare né figure di riferimento di cui innamorarsi, cova un rancore generico verso gli altri, specie se più fortunati. Non parliamo dei sentimenti provati in genere verso la cosddetta classe dirigente. Spiega il Censis: «Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore». Ossia chi stava bene sta ancora meglio e chi stava meno bene sta sempre meno bene. In numeri: l’87,3% degli appartenenti al cento popolare pensa che sia difficile risalire nella scala sociale, una posizione condivisa dall’87,3% del ceto medio e persino dal 71,4% del ceto benestante. Tutti invece pensano che sia estremamente facile scivolare in basso nella scala sociale, compreso il 62,1% dei più abbienti.
• Che cosa pensano i giovani di tutto questo?
Ma i giovani, dice il Censis, hanno il mito dei social network, del telefonino e del posto fisso, un insieme che potremmo tradurre nella frase: «Non rompeteci troppo le palle». Del resto i giovani migliori se ne vanno all’estero, e quelli che restano hanno quasi il profilo di un’entità residuale tanto sono pochi. Appena l’11% degli italiani sta nella fascia fra i 18 e i 34 anni, e abbiamo escluso dal conto i dieci milioni che non hanno ancora l’età per votare (dieci milioni). Il «degiovanimento» (al Censis a Giuseppe De Rita è subentrato suo figlio Giorgio, ma la capacità di coniare neologismi assai significativi è rimasta la stessa) sta in queste percentuali: gli over 64 intanto hanno superato i 13,5 milioni, il 22,3% della popolazione, mentre le previsioni annunciano oltre 3 milioni di anziani in più già nel 2032, quando saranno il 28,2% della popolazione complessiva. Un tempo il «degiovanimento» era contrastato dalle immigrate che facevano figli, ma anche questa mezza soluzione oggi non funziona più. Nel 2010 il numero di nascite per le extracomunitarie era in media di 2,43, ma nel 2016 è sceso a 1,97. Per le italiane il tasso di fecondità è sempre di 1,26 figli per donna. Sono dell’idea, però, che se questo dato costituisce una colpa, essa vada condivisa anche dagli uomini.
• Come va coi migranti?
Il Censis non si occupa dell’aumento o della diminuzione dei flussi. Gli interessa la qualità degli stranieri che restano da noi. E conclude che è bassissima: a fronte di un dato medio degli extracomunitari con istruzione terziaria in Europa pari al 28,5% (ma con punte del 50,6% nel Regno Unito e del 58,5% in Irlanda), da noi ci si ferma al 14,7%. Nel 2016 su 52.056 nuovi permessi rilasciati dalla Ue a lavoratori qualificati, titolari di Carta blu e ricercatori, appena 1.288 erano per l’Italia, a fronte di 11.675 per i Paesi Bassi. L’altro grande problema è il Sud.
• La desertificazione... Ne abbiamo parlato tante volte.
Tra il 2012 e il 2017 nell’area romana gli abitanti del capoluogo sono aumentati del 9,9% e quelli dell’hinteland del 7,2%. A Milano l’incremento demografico è stato rispettivamente del 9% e del 4%, a Firenze del 7% e del 2,8%. Si spopolano invece le grandi città del Sud, a cominciare da Napoli, Palermo e Catania, dove affonda anche il Pil.
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