Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
I tassisti protestano ma si può fermare il mondo che cambia?
I tassisti sono tornati a scioperare. Per tutta la giornata di ieri le auto bianche sono state introvabili in buona parte delle città italiane. Da Milano a Napoli, l’adesione alla protesta è stata massiccia. A Roma, sotto al ministero dei Trasporti, si sono visti fumogeni e sono esplosi petardi, con momenti di tensione tra manifestanti e forze dell’ordine.
• Niente di nuovo mi sembra. Perché i tassisti scioperavano?
Contestano la proposta del governo di riforma della legge quadro. Reputano non sufficienti le misure che prevedono l’obbligo per la vettura con conducente di ritornare nel garage di partenza prima di poter ripartire per un altro cliente e i vincoli sulla territorialità. Accusano l’esecutivo di aver deregolamentato il servizio pubblico dei taxi, aprendo il mercato alle multinazionali e favorendo concorrenti come Uber.
• Ecco, mi sembrava strano che ancora non avesse citato Uber. Mi ricordi cos’è e come funziona.
Uber è una società che offre vetture con conducente che dai clienti vengono chiamate scaricando un’app sul cellulare. Grazie alla app il cliente è raggiunto dalla vettura più vicina e conosce in anticipo la tariffa per il suo percorso. I tassisti accusano Uber di concorrenza sleale perché, pur svolgendo il servizio di Ncc, funzionano di fatto come taxi. «Siamo di fronte a un insopportabile abusivismo che si sta trasformando in un vero e proprio caporalato digitale», sostengono i sindacati.
• E hanno ragione secondo lei?
I tassisti hanno le loro ragioni, soprattutto perché molti hanno una licenza pagata a peso d’oro in passato – dai 100 ai 300 mila euro – e ora queste licenze rischiano un crollo di valore con l’apertura del mercato a nuove forme di mobilità. Ma non è possibile immaginare di fermare un processo globale che passa per la tecnologia. Ad esempio, i tassisti sono divisi anche su Mytaxi, l’applicazione che permette di chiamare un taxi via app. La piattaforma fa concorrenza al radio taxi (per cui i tassisti pagano circa 400 euro al mese) e per questo le maggiori società hanno imposto dei contratti di esclusiva. In risposta alle proteste, il viceministro ai Trasporti Riccardo Nencini ieri ha fatto notare «che il mondo attorno a noi è cambiato. Abbiamo messo in piedi più tavoli perché vi fosse una concertazione sulla riforma, abbiamo già adottato un decreto contro l’abusivismo. Quello che ci viene chiesto oggi è che vengano messe fuori legge le piattaforme tecnologiche. Non è possibile». Allargando lo sguardo oltre Uber, chi vive a Milano, Roma o in qualsiasi altra città medio-grande negli ultimi anni ha cominciato a vedere in giro sempre più auto e biciclette di servizi di car sharing e bike sharing. Si tratta di una via di mezzo tra trasporto pubblico e privato: di fatto si possono usare bici e auto per brevi periodi pagando una sorta di affitto. Servizi del genere si sono moltiplicati. Pensi che a Milano da poco è attivo un nuovo servizio, detto di free floating: gli utenti prendono le bici, le usano e le lasciano dove vogliono in città. Non devono riporle nelle apposite stazioni a rastrelliera, insomma.
• Ma ci sono dei numeri su quanta gente utilizza il car sharing?
Nel 2016 in Italia gli utenti hanno sfondato quota un milione e i noleggi sono stati almeno 6,4 milioni. Le auto in condivisione sono ormai entrate nelle vite dei cittadini. Sono semplici da usare, si paga poco, tra i 22 e i 34 centesimi al minuto. Vanno di moda, hanno un’immagine innovativa, incuriosiscono. Il car sharing è in continua crescita a livello europeo e, dove è già disponibile da più tempo, sembra che stia avendo impatti positivi sulla riduzione dell’uso di auto private, soprattutto tra i più giovani.
• In effetti mi sembra che i giovani non abbiano più il mito dell’auto.
Per quelli della mia generazione prendere la patente era una conquista e la prima auto di proprietà un trofeo. Oggi i numeri parlano chiaro: le patenti conseguite nel 2016 dai giovani tra i 18 e i 19 anni sono state 287.551, contro le 314.070 del 2012, con un calo dell’8,4%. C’è in parte un aspetto economico: prendere la patente, tra corso ed esame costa in media 1.054 euro a Milano, 800 a Roma, 820 a Napoli. Ma è soprattutto un cambiamento culturale. I giovanissimi non hanno più l’auto come status symbol, preferiscono concentrarsi sulla tecnologia. In alcuni c’è un’attenzione a stili di vita più sostenibili, meno inquinanti. Soprattutto, c’è una maggiore offerta di mobilità: l’auto è diventata un mezzo accanto agli altri.
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