Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Caso Regeni, l’ambasciatore italiano torna al Cairo
Ferragosto turbato dalle novità sul caso Regeni. Il 14 la Farnesina fa sapere che il nostro ambasciatore Giampaolo Cantini sarà rispedito al Cairo, e che quindi le relazioni diplomatiche tra noi e loro tornano alla normalità. Seguono le proteste indignatissime dei genitori di Giulio Regeni, a cui telefona il premier Gentiloni in persona, per spiegare che in questo modo, con un nostro uomo laggiù, sarà più probabile ricostruire la verità. I genitori non ci credono e, per quanto risulta a noi, anche Gentiloni era molto dubbioso su questa mossa, voluta soprattutto dal ministro degli Interni Marco Minniti (sempre più in primo piano in questa fase della nostra vita politica), ma anche da Alfano e Pinotti, i ministri degli Esteri e della Difesa. Il via libero definitivo è venuto dal presidente Mattarella, che s’è lasciato convincere dell’opportunità dell’operazione.
• Ma proprio a Ferragosto...
La data è stata evidentemente scelta per togliere impatto alla notizia, visto che il 16 i giornali non sarebbero usciti. La giustificazione: sono arrivate delle carte importanti dal Cairo, contengono gli interrogatori di poliziotti coinvolti o comunque informati dell’omicidio.
• È evidente che una decisione tanto impopolare ha un suo rovescio della medaglia.
L’Egitto, finora, ha appoggiato il generale Haftar, dominus della Cirenaica, la parte orientale della Libia, quella dove c’è il petrolio e il governo di Bengasi concorrente di quello di Tripoli guidato da Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale e amico dell’Italia. Haftar, ricordo, ha minacciato di sparare sulle navi italiane che incrociassero al largo della costa libica per contrastare, oggi anche con la collaborazione della guardia costiera di Tripoli, i trafficanti di uomini. I rapporti non buoni con il Cairo hanno reso più facili le operazioni francesi nell’area. Macron manovra per toglierci l’iniziativa, ha convocato a Parigi Serraj e Haftar, s’è proposto come il mediatore e il risolutore del guazzabuglio libico. Naturalmente a nostro danno. Un mese fa una delegazione del Parlamento italiano, composta dal forzista Maurizio Gasparri, dal grillino Vincenzo Santangelo e soprattutto dal piddino Nicola Latorre, uomo che fu dalemiano, poi renziano e adesso è segnalato vicinissimo a Marco Minniti, è stata ricevuta addirittura dal presidente Al Sisi nei suoi uffici del quartiere Heliopolis. Colloquio lungo (un’ora e mezza), nel corso del quale Al Sisi ha detto: «Vedrete che avrete la verità», «Faremo di tutto per consegnare i colpevoli dell’omicidio Regeni alla giustizia», «L’Egitto sta sostenendo alti costi per contenere l’emigrazione, evitando partenze per l’Italia e senza chiedere soldi a nessuno», «Non voglio smembrare la Libia», «Come mai ci fu un attentato al consolato italiano del Cairo nel 2015, e poi questo omicidio del giovane Regeni proprio mentre la vostra ministra dello Sviluppo, Federica Guidi, stava qui con un gruppo di imprenditori italiani desiderosi di fare affari con noi? Sembra tutto studiato per dare un colpo alle relazioni tra Italia e Egitto, come se ci fosse chi vuole inquinare i nostri rapporti». La mossa del 14 agosto va letta in questo quadro di lavorìo diplomaticìo all’interno di una cornice più ampia del solo caso Regeni.
• Ricordiamo i termini di questo caso Regeni.
Giulio Regeni, un ricercatore italiano di 28 anni che studiava a Cambridge, fu mandato dai suoi professori inglesi al Cairo, per perfezionare un dottorato di ricerca. Qui fu rapito il 25 gennaio dell’anno scorso e il suo cadavere martoriato fu ritrovato poi il 3 febbraio lungo l’autostrada Alessandria-Cairo. Oggi sappiamo con certezza che Regeni è vittima di una lotta tra i vari apparati dello Stato egiziano, in particolare tra il servizio segreto del ministero degli Interni, ovvero la cosiddetta State Security (SS) di cui fa parte il sospettato numero 1, cioè il generale Khaled Shalabi, e la Gis - cioè la loro Cia - molto irritata perché al Sisi ha sostituito completamente i vertici con uomini a lui fedeli. È altrettanto certo che gli egiziani hanno ostacolato in ogni modo la ricerca della verità sul delitto Regeni, divenuto però nel frattempo un caso internazionale con prese di posizione da parte di tutto il mondo e di molti governi. Tranne che da parte del governo francese, che richiesto di premere su Al Sisi perché aprisse i dossier di quel misfatto, ha sempre fatto finta di non sentire. La ripresa di relazioni normali tra Italia ed Egitto è uno smacco soprattutto per Macron.
• Che cosa c’è scritto nelle carte che il procuratore egiziano ha mandato a Roma?
Dovrebbero essere gli interrogatori dei poliziotti. Ma, come hanno detto i genitori di Regeni, è materiale in arabo, dunque a Roma non potevano esser certi - dati anche i precedenti - che si trattasse di roba importante. Il procuratore romano Giuseppe Pignatone e il procuratore generale della Repubblica Araba d’Egitto, Nabil Ahmed Sadek, hanno tuttavua firmato una nota comune in cui affermano che la collaborazione continuerà fino a quando non sarà raggiunta la verità. Si garantisce per settembre, da parte di una società tedesca, il lavoro di decrittazione dei filmati della metropolitana, sovrascritti dai poliziotti egiziani. Questo dovrebbe chiarire ancora meglio gli ultimi movimenti del povero Giulio.
• Perché il New York Times ha pubblicato proprio adesso una lunga inchiesta sul caso Regeni?
Non ci vedo un’intenzione nascosta. La coincidenza con il ritorno dell’ambasciatore non può che essere casuale. Il giornale americano sostiene che Obama fece sapere subito al governo italiano (c’era Renzi) che Regeni era stato rapito, torturato e ucciso dalla sicurezza egiziana. Palazzo Chigi risponde che nella informativa Usa non c’erano poi tutti questi elementi di fatto.
(leggi)