Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’acqua razionata è solo colpa della siccità o pure dell’incuria?
Questa settimana si dovrebbe vedere un po’ di pioggia al Nord, forse già da oggi. Ma intanto dieci regioni si preparano a chiedere lo stato d’emergenza per la perdurante siccità e il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, è d’accordo. Poi c’è il caso di Roma, dove, salvo ripensamenti, da venerdì l’acqua sarà razionata per otto ore al giorno.
• Che c’entra il ministro delle Politiche agricole?
Scusi, anche lei fa delle belle domande. Il primo settore colpito dalla mancanza d’acqua è l’agricoltura. È vero che il gran caldo, pur diminuendo le quantità, dovrebbe darci vino, olio, grano, pomodori di qualità straordinaria, però le mancate piogge, e le mancate nevicate di quest’inverno, produrranno comunque un saldo fortemente negativo. Il governo, prima ancora degli allarmi di ieri, aveva già stanziato 107 milioni in aggiunta a 600 precedenti, «per rafforzamento ed efficientamento delle strutture irrigue», attivando anche il fondo di solidarietà nazionale e decidendo di aumentare gli anticipi dei fondi europei. Misure, pare, ancora insufficienti.
• In che consiste l’allarme di ieri?
I due terzi dei campi coltivati sono a secco, condizione che vale una perdita di due miliardi di euro (calcolo Coldiretti). Le dieci Regioni che presenteranno la richiesta di emergenza (stato di calamità naturale) puntano alla sospensione delle rate di mutuo, al blocco dei contributi e agli aiuti per il ristoro dei danni previsti dall’apposito fondo. La Coldiretti riassume la situazione così: il Lago di Garda è al 34,4% della sua capacità, il Po al Ponte della Becca (Pavia) è tre metri e mezzo sotto lo zero idrometrico (il livello del mare), in Lombardia l’erba a disposizione del bestiame è calata del 20%, in Piemonte del 50%, in Trentino del 30%. In Veneto, per prevenire il fuoco, «gli agricoltori sono costretti a bagnare la soia, il mais, barbabietola, tabacco oltre a tutte le orticole, comprese le frutticole già in emergenza ma anche i prati stabili con conseguente aggravio dei costi di produzione». Nelle Marche la scarsità dei foraggi ha provocato la diminuzione di un quinto nella produzione di latte. In Sicilia, oltre l’allarme per le produzioni, sono già triplicati i costi per chi è costretto a irrigare i campi con l’acqua che in alcune zone agricole del catanese non arriva a causa di una rete colabrodo. In Sardegna, nel Sulcis-Iglesiente, 4 mila aziende agricole sono rimaste praticamente senz’acqua a causa della siccità e degli incendi. Le ho fatto un elenco molto parziale. Si stimano forti tagli della produzione anche in Friuli, Venezia Giulia, Toscana, Emilia, Lazio, Campania, Calabria. Non parliamo poi degli incendi. I Canadair sono intervenuti 29 volte ieri in tutt’Italia e sei volte in Sicilia (ma di questo parliamo meglio qui a fianco).
• Poi c’è il razionamento dell’acqua a Roma.
Sì. La Capitale è servita da tre acquedotti: Peschiera (9.100 litri al secondo), Capore (4.200 litri), Marcio (3.600 litri). Il Marcio si alimenta anche con il lago di Bracciano, uno specchio d’acqua privo di affluenti e il cui livello è ormai di un metro e mezzo sotto il livello del mare (zero idrometrico). In base alla concessione del 1990 l’allarme sarebbe dovuto scattare già a un dislivello di un metro e 14 centimetri. Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, competente in materia, ha imposto il razionamento da venerdì prossimo. Si terranno a secco per otto ore consecutive un milione e mezzo di romani e, scaduto questo primo lasso di tempo, resteranno con i rubinetti asciutti un altro milione e mezzo di abitanti della Capitale. Per quanto tempo? Non si sa. L’acqua è gestita dall’Acea, una società partecipata dal Comune di Roma al 51%. C’entra dunque in qualche modo anche la sindaca Raggi, che ieri ha invocato la concordia delle parti. Il capo dell’Acea, infatti, Paolo Saccani, giudica il razionamento fissato da Zingaretti inutile e sbagliato, «ogni giorno la siccità provoca un’evaporazione di otto millimetri d’acqua, il razionamento non potrà recuperare più di un millimetro e mezzo...». La polemica politica infuria.
• Che polemica politica ci può essere? Se non piove non è mica colpa dei cinquestelle o del Pd.
Non tutta l’acqua prelevata alla fonte arriva nelle case. I tubi sono molto vecchi e perdono. S’è calcolato che se ne va via in questo modo il 44%. Lo scandalo sta nel fatto che l’Acea guadagna e paga dividendi a molti zeri (per esempio, l’anno scorso ha versato nelle casse del Comune 70 milioni, e in proporzione a impinguato anche le casse della francese Suez, che ha circa il 20% delle azioni, e di Caltagirone che ha il 5), ma a quanto pare poco ha investito nel rammendo di queste infrastrutture.
• E se si provassero a diminuire gli sprechi?
Sì, è la vecchia ricetta di Fulco Pratesi. Fare pipì senza tirare lo sciacquone (20 litri) ma ricorrendo a un secchio (tre litri), razionare le docce che valgono 50 o 60 litri a colpo, cambiarsi le mutande o i calzini solo ogni tre giorni, lavarsi i denti senza far scorrere l’acqua, eccetera eccetera. Se tutti facessero così si risparmierebbe molto. Si tratta, naturalmente, della rivoluzione più difficile.
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